«Forse ho esagerato con Ally McBeal...»

«Sono appena diventata avvocato e per questo mi hanno licenziata»

«Sono appena diventata avvocato e per questo mi hanno licenziata»
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Pubblichiamo la lettera di una lettrice che preferisce restare anonima, uno sfogo che riteniamo meriti di essere condiviso. Se anche voi voleste sfogarvi o raccontare una storia, non esitate a scriverci alla mail redazione@bergamopost.it.

 

Cara Redazione di BergamoPost,

Sarà che ho esagerato con gli episodi di Ally McBeal - l'avvocato single di Boston - in tenera età, ma ho deciso di iscrivermi alla Facoltà di Giurisprudenza. Per qualche strano motivo, ho sempre pensato che il genere legal drama potesse fare al caso mio. E, in effetti, così è stato, ed è la storia di molti di noi.

Noi, studenti di giurisprudenza. Dopo aver trascorso la maggior parte del tempo durante l’Università ad immaginarci al lavoro, vestiti bene, con le maniche della camicia arrotolata, seduti insieme ai nostri colleghi attorno ad un grande tavolo di cristallo del nostro studio legale luminoso, a tirare le ore piccole concentrati su qualche caso importante (per le ragazze, va aggiunta la fantasia cliché della love story col collega, ma non divaghiamo), ci siamo laureati e abbiamo iniziato a lavorare in uno studio legale.

Niente di tutto quello che avevamo sognato: sono stati gli anni delle corse nei tribunali e alle udienze, delle trasferte, delle giornate di lavoro infinito, di questa nuova conoscenza, Miss Partita Iva, e della sua fedele compagna, Lady Indigenza. Gli anni d’oro del «Sei fortunata ad essere qui, ringrazia il cielo che hai un lavoro», «In certi studi lavorano anche il fine settimana». L'unica previsione azzeccata? Alcune di noi si sono effettivamente innamorate del collega ut supra - come diciamo noi -, io in particolare due volte.

Così passano i diciotto mesi di pratica obbligatoria, l’estenuante prova scritta e poi, ancora, l’esposizione dell’elenco dei nominativi degli ammessi nel corridoio della Corte d’Appello: prendete la scena dei quadri dei voti della maturità, moltiplicatela per dieci e considerate che sono tutti più sudati, perché è giugno, ma noi vogliamo fare gli avvocati e quindi abbiamo l’abito (che al collega cade benissimo). Se sei stato fortunato (ragazzi, ammettiamolo) e hai superato l’esame scritto, sosterrai un esame orale. Vorrei aggiungere qualcosa su quei mesi di studio, ma ricordo solamente di non aver dormito mai. So solo che alla fine, un giorno piovoso di questo autunno, ce l’ho fatta. Signori, ce l’ho fatta. La Commissione si congratula con la Dottoressa, che è diventata Avvocato (che poi, avvocata o avvocatessa? Una disputa senza fine). E pensi che basta la sottopaga, basta lo sfruttamento, adesso torno in studio trionfante e i miei sforzi saranno riconosciuti, chiederò un piccolo ma simbolico aumento (siamo abituati a faticare per la gloria) e il capo mi dirà «Te lo sei meritato, BRAVA».

E il capo l’ha detto. Ma ha aggiunto: «Le nostre esigenze si sono DISALLINEATE».

Questo, e la neo-avvocata lo scoprirà, in avvocatese significa che il capo non scuce un euro di più e che preferisce assumere (termine che il boss utilizza impropriamente, poiché presuppone l’esistenza di un contratto) una neolaureata, giovane, inesperta, ma economica, praticante. In poche parole mi MANDA VIA.

E dunque la piccola avvocatessa (avvocata, avvocato? è un sostantivo o un titolo?) si ritrova un lunedì mattina, che è oggi per la precisione, a pettinare gli orpelli della toga e a chiedersi che fine hanno fatto le corse in tribunale, il tavolo di cristallo, l’attesa prima dell’udienza (e l’affascinante collega!!). Ma ogni storia, si sa, è la storia di un matrimonio. E quindi stabilisca il candidato, assunte le vesti del legale della Carriera nell’Avvocatura, se questo è un piccolo bisticcio o l’inizio di un divorzio.

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