Bergamo perde centralità

Siamo arrabbiati con Ubi e affini (Al via il processo «banca unica»)

Siamo arrabbiati con Ubi e affini (Al via il processo «banca unica»)
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Un mese fa, in Ubi, si è votato per la «banca unica», che comporterà per la Popolare di Bergamo la perdita di 38 filiali. Erano state chiuse, già allora, le quattro sedi di Desenzano del Garda, Orzinuovi, Rezzato e Roma. L'operazione «banca unica» ha poi cominciato a diventare realtà martedì 15 novembre, con gli accordi di fusione che prevedono l'incorporazione della Commercio e Industria e della Bre nella capogruppo Ubi Banca e che avranno efficacia a partire dal 21 novembre: tutte le azioni di queste due banche verranno concambiate quindi in azioni Ubi. Il processo è iniziato. E tra qualche mese, anche la Popolare, che genera per Ubi utili pari all'80-90 percento del totale, continuerà a trascinare il terzo gruppo bancario italiano, ma lei come banca autonoma non ci sarà più: nel cosiddetto “Bancone”, della Banca Popolare di Bergamo resterà solo il marchio affisso sulle filiali, a rassicurare gli investitori. E, in quei 38 casi, nemmeno quello.

 

In banca tira una brutta aria e non è colpa del meteo. Freddo polare e caldo torrido si alternano da inizio mese nelle filiali dei principali istituti di credito, Gruppo Ubi e Banco Popolare compresi. Il che vuol dire, per noi: Popolare di Bergamo (Ubi) e Credito Bergamasco (Banco Popolare). Il gelo è quello sceso sui rapporti tra risparmiatori e banche; il caldo, quasi infernale, è quello della rabbia dei clienti, che fa salire la pressione e la frequenza cardiaca a livelli pericolosi. Il motivo? L’ennesimo aumento delle spese ai danni dei risparmiatori.

I rincari sui conti correnti. Partiamo dagli ultimi rincari, che hanno motivazioni e tempistiche diverse. Nel caso di Ubi, il 29 settembre è scattato l’aumento di 12 euro del canone annuo del conto corrente (esclusi i clienti under 30), per rendere più sostanzioso - dice Ubi - il Fondo interbancario, lo strumento creato dalle banche per tutelare i correntisti (sino a un massimo di centomila euro) in caso di fallimento degli istituti di credito. Le nuove entrate pagate dai correntisti servono per coprire, così dice Ubi, i costi di produzione (quest’anno dovrebbero essere circa 60 milioni) che la banca sostiene per detenere i depositi dei clienti, chiesti da due direttive dell’Unione europea in tema di garanzie dei depositi e fondo di risoluzione.

I correntisti del Banco Popolare si vedranno invece trattenuti 25 euro in più (al massimo e una tantum) a dicembre, con le spese fisse di chiusura annuo del conto. In questo caso i soldi versati finiranno nel Fondo nazionale di risoluzione, lo strumento creato in Italia nel novembre scorso per soddisfare la direttiva europea sul bail in.

 

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A pagare sono sempre i clienti. In pratica, i correntisti del Creberg, con le nuove spese (anche se una tantum) pagano il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti. Ricordiamo che il bail in (letteralmente, salvataggio interno) è lo strumento che consente alle autorità competenti di disporre, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, di risorse per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in modo da mantenere la fiducia del mercato. In tal modo, gli azionisti e i creditori non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie. Sui rincari c’è quindi soprattutto lo zampino dell’Unione europea. Si ha però la sensazione che, normative italiane o europee, a pagare siano sempre gli stessi, ovvero i clienti, anche quando le colpe sono di altri.

L'ira dei correntisti. Ne sono convinti i tanti correntisti con cui abbiamo parlato fuori dalle sedi delle due banche. L’aumento dei costi del conto corrente ha interessato anche i clienti di altre banche: è il caso di Unicredit e CheBanca!. Facile pensare che presto anche altre banche faranno ricadere sui loro clienti i costi del sistema. Al momento, tra i big, si è chiamato fuori il gruppo Intesa Sanpaolo, così come non risultano aumenti a Monte dei Paschi e Banca Popolare Milano. I rincari sui conti correnti sono però solo l’ultima goccia che ha fatto tracimare il malumore dei clienti della due banche del nostro territorio. Vicende che hanno messo in secondo piano persino le buone notizie arrivate dai recenti «stress test» condotti dall’European Banking Authority (Eba).

In Bergamasca sono tante le vicende che hanno negli anni scorsi minato i rapporti tra i risparmiatori e gli istituti di credito. Perplessità iniziate nel momento in cui sia Bpb sia Creberg si sono aggregate con altre banche per non rischiare di rimanere stritolate delle dure leggi del mercato globale. Sulla carta, quindi, operazioni necessarie. È bastato poco però a far capire a clienti e dipendenti che nulla sarebbe stato più come prima, e in peggio. I matrimoni con Brescia e Verona hanno portato a Bergamo molti più dolori che gioie. E non solo per il fatto che Bpb e Creberg, macchine quasi perfette che macinano risultati invidiabili, fanno quadrare spesso da sole i conti globali del gruppo.

 

 

Popolare Bergamo, da cooperativa a Spa. Nel caso del fedele cliente della Popolare Bergamo di una volta, sono seguite la trasformazione (un anno fa) da società cooperativa a Società per azioni (Spa), che ha mandato in soffitta il principio di «una testa un voto», a favore di quello decisamente meno popolare per cui ogni azione ordinaria attribuisce il diritto a un voto; la vittoria degli investitori istituzionali (i fondi) nel voto per il rinnovo delle cariche avvenuto all’inizio di aprile di quest’anno; l’imminente fusione per incorporazione in Ubi Banca delle sette banche, Popolare Bergamo su tutte.

La banca unica e le acquisizioni delle banche fallite. I vertici sottolineano che la banca unica, il cosiddetto bancone, farà fare un salto di qualità: la verità è che si tratta del colpo di grazia per la nostra vecchia Popolare Bergamo. Non aiuta neanche il fatto che Ubi sia una candidata a salvare Monte dei Paschi di Siena (ma l’ad Victor Massiah si è sgolato a forza di smentire le tante voci sulla vicenda, affiancato da Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di sorveglianza di Ubi: «non lavoriamo per salvare banche», ha detto), così come non entusiasma il sapere che Ubi sia interessata ad acquisire una bella fetta delle quattro cosiddette Good banks, ovvero quanto rinato sulle macerie delle vecchie (e molto bad) CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche, e CariChieti: tolta la prima, le altre tre potrebbero entrare nella galassia di Piazza Vittorio Veneto. Cambiano i personaggi, ma la sceneggiatura vale anche per il Credito Bergamasco.

 

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Creberg scompare e deve ubbidire a Verona. Il primo giugno 2014, incorporando il gioiello di famiglia Creberg, il Banco Popolare ha sistemato in un solo colpo i suoi conti piuttosto malandati. E, come accaduto alla Popolare, è vero che il Creberg ha mantenuto il marchio e la divisione territoriale, ma perdendo secco contro Verona. Perché anche in questo caso, al netto da ogni commento da galateo, a Bergamo non si può più far circolare nemmeno mezza pagina di informazione commerciale sui media senza dover attendere (anche per settimane) l’ok da Verona.

Cesare Zonca, stimato ex presidente del Credito Bergamasco e ora membro del Cda del Banco, continua a sottolineare i tanti vantaggi che il Creberg ha ottenuto entrando nella costellazione di Verona e che otterrà, a maggior ragione, quando il Banco convolerà a nozze (che appaiono sempre più imminenti) con la Banca Popolare di Milano. Sarà, ma ai clienti (e ci risulta, anche alla stragrande maggioranza dei dipendenti) tutte queste unioni sanno di grande ammucchiata che non fa altro che appannare la brillantezza del gioiello che fu il Creberg. Come interpretare il fatto che nel consiglio di amministrazione del nuovo Banco Bpm, gli unici a non trovare una sedia libera saranno proprio i rappresentanti del Credito Bergamasco? E questo nonostante, proprio come capita alla Popolare Bergamo, il Credito Bergamasco contribuisca in maniera (positivamente) determinante ai risultati del gruppo.

 

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Le batoste in borsa dell'ultimo periodo. Ancora più amaro il tasto delle quotazioni delle azioni. I vertici delle due banche cercano con il mal comune mezzo gaudio (a Piazza Affari, negli ultimi anni è stata una debacle per tutto il settore bancario) di placare la delusione degli investitori. Sta di fatto che, questo il ragionamento in sintesi dei clienti, non si capisce perché banche solide (lo stress test lo conferma) come la Bpb e il Creberg, debbano subire batoste così pesanti in borsa. Ubi, citando il meno 33 percento dall’aprile 2013 a oggi, sottolinea che il titolo ha perso meno di molti suoi competitori. Però perdere quasi il 70 percento nell’ultimo anno non è cosa da poco. Deludente anche il risultato negli ultimi tre anni (-54%), quasi un nulla di fatto (che sa però di vittoria visti i tempi che corrono) dall’ottobre 2011 a oggi (-0,26%). Sul versante Verona-Bergamo, il titolo del Banco ha lasciato sul terreno nell’ultimo anno circa l’80%, nei tre anni il 70%, la stessa perdita osservata anche negli ultimi cinque anni.

Come vendere e comprare. Non siamo analisti o gestori di grandi capitali, e non abbiamo quindi le competenze per consigliare cosa e quando comprare titoli in borsa. Però, analizzando i grafici, notiamo che dal 2011 a oggi, le azioni dei due gruppi (così come quelle di tutto il settore bancario), con il tipico andamento altalenante delle borse (soprattutto nei momenti di incertezza e conseguente volatilità), hanno offerto diversi momenti definiti «molto interessanti» dagli operatori del settore. Momento per vendere, evitando forti perdite; e momenti per acquistare, sfruttando la basse quotazioni e mediare anche i prezzi di acquisto (alto) del passato.

Lo stesso ad di Ubi Banca, Victor Massiah, negli ultimi anni ha comprato decine di migliaia di azioni di Ubi, ritenendo la (bassa) quotazione interessante. È il caso, ad esempio, del 27 giugno scorso: investimento complessivo di 119.545 euro, a un prezzo unitario per azione di 2,3909 euro. Confidiamo che gli esperti dei due istituti più significativi per i bergamaschi abbiano saputo fare altrettanto, acquistando e vendendo titoli (non solo azionari e non solo dei loro istituti) quotati a Milano e nelle altre borse mondiali con le giuste tempistiche. Non per fare speculazione, ma nell’interesse della banca e, conseguentemente, dei propri azionisti e clienti.

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