Si parla di tasse ridicole

Il patron di Ikea (e gli altri) nella Svizzera delle meraviglie

Il patron di Ikea (e gli altri) nella Svizzera delle meraviglie
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Il Paese delle Meraviglie, se mai dovesse esistere a questo mondo, sicuramente sarebbe la Svizzera. Per essere precisi, delle meraviglie fiscali: è veramente difficile trovare un altro posto in cui un uomo con un patrimonio stimato intorno ai 34 miliardi di euro versi al fisco appena 37mila euro all’anno. Sembrerebbe un più che palese episodio di evasione delle tasse, e invece nulla di tutto questo: è proprio lo Stato elvetico stesso a dar la possibilità ai numerosissimi fantamilionari residenti nel territorio di lasciare giusto una piccola mancia per quanto riguarda i doveri fiscali.

Il caso di Ingvar Kamprad, patron dell’Ikea. L’esempio citato riguarda Ingvar Kamprad, l’ideatore e proprietario di quel colosso dei mobili fai-da-te che è l’Ikea: uno degli uomini più ricchi del mondo, qualcuno dice addirittura il più facoltoso in assoluto. Dal 1976, Kampard ha trasferito la propria residenza in Svizzera, per la precisione a Epalinges, un piccolo comune nei pressi di Losanna.

Non si pensi ad un particolare amore per le montagne o per l’Emmentaler dietro a questa scelta: la vera ragione risiedeva nella politica fiscale particolarmente vantaggiosa che la Svizzera riservava (e riserva tuttora) per alcune categorie di soggetti. Nello specifico: a chiunque abbia la residenza in un qualsiasi cantone, ma non abbia alcun tipo di attività lucrativa sul territorio elvetico, viene offerta la possibilità di pagare le tasse solo secondo le spese annuali corrispondenti al proprio tenore di vita.

Kamprad, che naturalmente ha approfittato di un tale beneficio, per il 2014 ha fatto registrare, come si diceva, un contributo fiscale di 37mila euro, ovvero circa 2mila volte inferiore rispetto a quanto avrebbe dovuto versare in condizioni di normalità. E non si pensi che sia l’unico, o uno dei pochi, a godere di questo regime: complessivamente, questo tipo di imposizione particolarmente clemente riguarda 5634 persone che, in media, pagano l'equivalente di poco più di 100mila euro di tasse all'anno. Oltre a molti imprenditori multimiliardari, approfittano del forfait fiscale personaggi dello sport come Michael Schumacher, la tennista a riposo Amelie Mauresmo, e del mondo dello spettacolo, quali le star Johnny Hallyday e Tina Turner.

Cosa ci guadagna la Svizzera. Si capisce che nessuno al mondo, da un punto di vista delle tasse, elargisce benefici per un genuino spirito di liberalità, ma dietro c’è sempre un ritorno economico che giustifica determinate scelte. E anche questo caso non fa eccezione: un sistema del genere, infatti, ha come ovvia conseguenza il trasferimento di residenza in Svizzera da parte di tanti ricchi del mondo. Cosa che comporta l’acquisto e la manutenzione di case favolose, faraoniche spese ai ristoranti, shopping economicamente folle e via dicendo; oltre ad un, seppur minimo, introito fiscale che altrimenti non ci sarebbe. In totale, da questi soggetti privilegiati l’erario svizzero incassa circa 580 milioni di euro all’anno, che vanno ad aggiungersi ai circa 2 miliardi di spese annuali per la per la vita quotidiana e i 22 mila posti di lavori esistenti, parrebbe, proprio grazie alla presenza (e allo scialacquio) di questi soggetti in Svizzera. A conti fatti, quindi, un paio di ragioni per adottare un sistema del genere ci sono, eccome.

I cittadini sono d’accordo? Ma se allo Stato va benissimo così, a molti cittadini un po’ meno: sono in tanti infatti (e come dar loro torto?) che non accettano di pagare molte più tasse rispetto a persone infinitamente più facoltose. Ecco perché il 30 novembre, grazie all’insistenza della maggior parte dei partiti della sinistra elvetica, i cittadini saranno chiamati alle urne referendarie per esprimersi circa la volontà o meno di abolire questo privilegio fiscale. Decisamente contrari alla soppressione sono invece i partiti di destra e di centro, i quali ritengono sia anzitutto un fattore di arricchimento altrimenti inesistente per il Paese, e in secondo luogo che non si tratti di un’ingiustizia, poiché questi soggetti pagano le tasse relative alle proprie attività nei vari Paesi esteri in cui queste sono dislocate.

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