Cifre da capogiro e iter lunghissimi

Perché in Italia non si adotta più

Perché in Italia non si adotta più
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Perché in Italia, secondo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti per generosità, le coppie non adottano (quasi) più? Anche se gli ultimissimi dati parlano di una leggerissima ripresa del numero di bambini arrivati nel nostro Paese, il trend è chiarissimo: in 10 anni le adozioni si sono praticamente dimezzate. Nel 2014 le coppie che si sono dichiarate disponibili sono state 3.857 contro le 8.724 del 2004. Dal 2010 il calo delle adozioni internazionali è andato avanti a colpi di -10% l'anno, i Paesi da dove un tempo provenivano i bambini abbandonati chiudono le frontiere, l’iter preadottivo dura sempre di più e costa molto, il fondo governativo da cui si attingevano i rimborsi fiscali per le coppie adottanti è fermo a zero euro.

 

adozione cina

 

I costi. È forse la prima causa della crisi delle adozioni. quelli dell'adozione internazionale sfiorano spesso cifre da capogiro. Si arriva fino a 40mila euro, senza calcolare le difficoltà che possono verificarsi nella lunga fase istruttoria. Pensiamo alle fasi di stallo, ai ritardi alle diverse crisi che i Paesi che offrono le adozioni possono subire. Le famiglie che scelgono l’adozione internazionale sostengono interamente il costo della procedura adottiva. Per loro è prevista solo una deducibilità del 50% delle spese sostenute, oltre un contributo forfettario d’importo variabile di anno in anno. Ma in tempi di crisi come quelli che le famiglie hanno vissuto in questi anni, è chiaro che siamo di fronte a cifre spesso assolutamente fuori budget. Il Paese meno caro è l’Albania: tra viaggio, soggiorno, spese legali e tecniche e ciò che spetta all’ente per seguire la trafila si va dai 10 ai 15 mila euro. Almeno il doppio ce ne vogliono invece per accogliere un bambino da Haiti o dalla Russia.

La complicazione. L’adozione in Italia avviene attraverso la mediazione di enti autorizzati, circa una sessantina, che sostengono le coppie nel complicato percorso, in Paesi spesso dalle legislazioni opache. Gli enti sono dei facilitatori, ma spesso agiscono in concorrenza tra di loro, creando anche un po’ di confusione tra le coppie desiderose di adottare.

 

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I Paesi di origine. Questa è un altro grande fattore che spiega la crisi della adozioni. Sempre più i Paesi anche poveri tendono a stringere le condizioni di adottabilità dei bambini. Il caso dei 69 bambini congolesi dicihiarati adottabili e rimasti in una sorta di limbo per quasi due anni è emblematica. I genitori li avevano incontrati e conosciuti, ma poi il braccio di ferro ingaggiato dalle autorità dello stato africano ha allungato a dismura i tempi del loro arrivo in Italia, che è avvenuto poco più di un mese fa. C’è poi anche un orgoglio dei Paesi di origine, che non amano vedere le coppie occidentali arrivare, pur armate di ottime intenzioni, a portare via i loro figli. Alcuni Paesi hanno anche bloccato del tutto le adozioni, come il caso della Bielorussia.

I tempi. Le attese sono interminabili. In particolare quelle dei Tribunale dei Minori. Ai tempi si aggiunge anche una senso di abbandono dal punto di vista delle istituzioni, a dispetto del tanto parlare di stepchild adoption che si è fatto in queste settimane recenti. La Cai, Commissione adozioni internazionale, organismo governativo, non si riunisce da 24 mesi e non ha più ascoltato le voci degli enti, delle associazioni familiari, dei Paesi di origine. E questo naturalmente aggrava l’incertezza e aumenta le incognite che una coppia deve affrontare una volta varcata la frontiera.

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