«Un vero scempio»

Quelle poltroncine alla Popolare sono uno schiaffo alla nostra storia

Quelle poltroncine alla Popolare sono uno schiaffo alla nostra storia
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L’avvocato Ettore Tacchini non si dà pace, si tocca la barba e sbotta: «Quando sono entrato in banca non volevo crederci... me lo avevano detto che avevano fatto uno scempio, ero preparato. Ma non fino a questo punto. Ma come è possibile una cosa del genere, che significato ha?». Sembra che la decisione di modificare in modo traumatico lo stile della vecchia sede della Banca Popolare di Bergamo sia partita da Ubi Commerciale e che la decisione di “restyling” riguardi un po’ tutte le filiali della penisola secondo uno stile moderno, “casual”. Non più una banca austera e severa, ma una banca amica, accogliente. Colori caldi, l’arancione e il giallo. E un po’ di discoteca, vedi quel banco circolare bianco, con tanto di luce al neon incorporata che fa american bar e che sarà il prossimo banco delle informazioni (magari con la possibilità di bere un Campari).

 

 

Un dirigente di Ubi chiede di non essere nominato, ma il suo commento è pure intriso di sconcerto. Dice: «L’idea di una nuova immagine della banca è condivisibile, certo, ma bisogna saper distinguere. Un conto è arredare di nuovo una filiale o un’agenzia posta in un condominio degli anni Settanta, un conto è aprire una filiale nuova. Ma completamente differente è intervenire in un luogo simbolo come è la vecchia sede della Banca Popolare, per i bergamaschi un’icona». Icona di serietà, anche di severità, perché per i bergamaschi i soldi sono una cosa seria e vanno utilizzati con cura. Per i bergamaschi (per molti di loro) i soldi si guadagnano ancora con il sudore, con la fatica. Non sono una bazzecola. E allora è giusto che la sede storica del denaro bergamasco sia in un palazzo ormai antico e anche un po’ severo. Perché non si dà del tu ai soldi. Dice ancora l’avvocato Tacchini: «Questa sistemazione è quella studiata dall’ingegner Luigi Angelini negli Anni Venti, ripeteva lo stile sobrio e un po’ ottocentesco di altre grandi banche italiane con gli sportelli in legno e vetro, i marmi, le colonne. Quando ho visto quell’obbrobrio ho ripensato a tutti i bergamaschi che hanno guidato questa banca, dall’avvocato Suardi a Zanetti, a Frigeni, fino a Moltrasio: non credo che lo avrebbero mai permesso. È uno schiaffo alla storia. Anzi, penso che l’avvocato Suardi si stia rivoltando nella tomba».

Ma il cambiamento non ha riguardato soltanto l’aula centrale, con quella poltroncine arancioni e quei tavolini bassi di plastica bianca. Anche le scrivanie a destra e a sinistra dell’entrata sono state cambiate; al posto dei bei tavoli in legno massello sono arrivate delle terribili scrivanie in laminato grigio, del tutto dozzinali, che forse nemmeno da Semeraro si trovano più. Gli impiegati appaiono sconsolati. Ufficialmente non dicono niente, in realtà confidano: «È il nuovo modo di fare banca». E aggiungono: «C’erano anche dei divanetti bassi azzurrini, ma sono durati un paio di giorni. Le persone anziane che si sedevano non riuscivano più ad alzarsi...».

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