Tribunale di Bergamo

«Avvocato, la prego, i domiciliari no: meglio il carcere di mia moglie»

«Avvocato, la prego, i domiciliari no: meglio il carcere di mia moglie»
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Questa è una storia "rubata", nel senso che è stata ascoltata da chi scrive fuori da un’aula del tribunale di Bergamo, dove si celebrava un processo contro un 50enne bergamasco accusato di furto di materiale elettrico. Ebbene, l'uomo, discutendo con il suo legale prima dell'inizio del dibattimento, ha confessato candidamente al difensore: «Per favore, non chieda gli arresti domiciliari, preferisco andare in carcere piuttosto che tornare a casa con mia moglie». Sì, avete capito bene.

Il maldestro ladruncolo non ne voleva sapere di tornare a vivere con quella donna che, parole sue, «mi tratta come una scopa vecchia. Mi rimprovera sempre». Lo sguardo allarmato, la voce tremebonda, le mani che si muovono in continuazione, quasi in un disperato gesto di difesa, il 50enne "prega" il suo avvocato di esaudire la sua richiesta. «Non ne posso più, sono esausto. Mia moglie non mi lascia in pace, è un continuo rimbrotto. Se vado al bar con gli amici e rientro tardi la sera, mi aspetta sveglia e, appena apro la porta di casa, mi riversa addosso un sacco di contumelie. Se vado alla stadio a vedere la partita della mia squadra del cuore l'Atalanta, idem. “Come si fa a perdere tempo dietro a ventidue persone che, in pantaloncini e maglietta, rincorrono un pallone e si scannano per un fallo non dato?”, mi rimprovera. Non solo. Più di una volta mi ha dato dello sfaticato e del lazzarone, perché, essendo purtroppo senza un lavoro, passo, a suo dire, il mio tempo guardando la televisione tutto il giorno, alla ricerca di partite di calcio a appuntamenti sportivi. Una litania senza fine, che prosegue anche durante il pranzo e la cena, quando mi accusa di non apprezzare la sua cucina e quello che mi prepara».

La discussione tra l'imputato e il legale è andata avanti per parecchi minuti, in attesa dell’arrivo del giudice, con i carabinieri a poca distanza che sorridevano. Il legale ha faticato parecchio a convincere il suo assistito che gli arresti domiciliari erano la soluzione migliore, meglio sicuramente di una cella della casa circondariale di via Gleno, e che le cose con la moglie si sarebbero appianate. Alla fine, l'uomo si è convinto e, dopo la decisione del giudice, che gli ha concesso la misura invocato dal suo difensore, ha abbassato la testa e ha mormorato: «Va bene, andiamo a vedere se questa volta mia moglie mi lascerà in santa pace. Ma dubito di ciò, visto che adesso l'ho combinata grossa con questo tentato furto».

Resta da sottolineare che il 50enne, il cui rapporto con la consorte è burrascoso da qualche anno (ma, nonostante ciò, non si sono mai separati, continuando a vivere sotto lo stesso tetto), era finito in manette per aver rubato materiale elettrico da una ditta orobica. Il colpo, però, era andato male in quanto era stato notato da un passante mentre, con il bottino, si apprestava a fuggire a bordo di un piccolo furgone. Il testimone aveva avvertito i carabinieri, che erano giunti sul posto in pochi minuti e avevano arrestato il malcapitato già alla guida del mezzo.

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