I padroni raccontano

Bergamo a quattro zampe Un cane ogni sette abitanti

Bergamo a quattro zampe Un cane ogni sette abitanti
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A Bergamo vivono 16.302 cani. Regolarmente dichiarati. Un cane ogni sette abitanti, circa. E sono in aumento. Ai cani bisogna aggiungere i gatti, i conigli, i canarini e via dicendo, ma di questi non abbiamo numeri. Viene spontaneo pensare che la città non è soltanto quella dei 119mila residenti umani, ma che è anche quella di tante altre creature viventi che pure provano sentimenti, bisogni, affetti, pensieri. Esiste un’anagrafe dei cani, con tanto di date di nascita e di nomi. E pure sono registrati tutti gli amici a quattro zampe di tutti i paesi della Bergamasca, raccolti dall’Ast (ex Asl). Così scopriamo che ci sono paesi dove la popolazione canina è quasi pari a quella umana, come Brumano e Blello. Non è un caso: sono i paesi più piccoli, quelli dove vivono circa cento persone e allora la compagnia di un cane diventa ancora più preziosa. I nomi non sono più quelli classici, niente Fido, per dire. Arrivano i Gigi, Ugo, addirittura nomi letterari come Ulisse, Yago, Dylan, Momo. E nomi di popoli antichi come Inca e Maya, di attrici come Grace. E poi ci sono anche Jelena, Marley, Lella, Lacrima Christi (!), Cleopatra, Achille Starace, Morgana, Gaia... Qualcuno ha scomodato le stelle e ha dato nome Sirio al suo cane, o Antares. C’è chi forse ha pensato a un grande regista e lo ha chiamato Lucas, oppure a un grande musicista jazz e lo ha chiamato Jarrett, che è un Pinscher, nato nel 2010…

 

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«Vi racconto di quella volta in cui sono uscito di casa e ho trovato un volpino rannicchiato nel mio cortile. Era il cane dei miei vicini. Loro erano in vacanza al mare e lo avevano lasciato a casa da solo: passava soltanto una signora ogni tanto a dargli da mangiare, e durante una visita probabilmente è scappato da quella casa. Si deve essere ricordato di qualche carezza o di qualche osso, fatto sta che tra tutto il vicinato ha scelto proprio casa mia. Ancora oggi non so come abbia fatto ad entrare, dato che non mi risultava di avere buchi nella recinzione o altri punti da cui un cane di media taglia potesse entrare così agevolmente. Però è stato un dono inaspettato, un segno di Dio magari. Avevo perso mia moglie da poco, mia figlia era malata di cancro ed era ancora molto lontana dalla guarigione che per fortuna è arrivata dopo qualche anno. Insomma, ero a pezzi e quel cane mi ha cambiato la vita. Quando l’ho preso aveva già credo cinque o sei anni. Ne sono passati quasi venticinque, e lui è tanto che è morto. Ma per quasi otto anni siamo stati inseparabili. Il mio vicino all’inizio ha provato a convincerlo a tornare da lui, ma alla fine aveva scelto me, e ho sempre pensato che non potesse essere un caso. Si chiamava Tequila». Una storia d’amore bellissima: a raccontarcela è Fendo, settantottenne di Bergamo. La sua è solo una delle tante vicende che legano i bergamaschi ai loro cani.

 

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Un’altra ce la racconta Marco, cinquantadue anni, e il protagonista si chiamava Roy, in onore di Roy Hodgson, ed era un bastardino di quindici anni: «Mi ricordo benissimo gli ultimi giorni prima che morisse. Per quindici anni siamo andati ovunque: in montagna, al mare, al lago. Non l’ho mai lasciato solo per più di poche ore, cercavo gli alberghi che lo potessero ospitare, e vent’anni fa non era così facile, tant’è che quando ne abbiamo trovato uno che poteva ospitarlo ci siamo andati per almeno dieci anni di fila: era a Cattolica. A un certo punto io e mia moglie ci siamo accorti che non abbaiava più, e che passava tutto il giorno sdraiato, lui che era sempre stato vivacissimo. Aveva già quindici anni, e quindi ce lo aspettavamo. Quello che non ci aspettavamo era però di sentirci dire che probabilmente aveva un tumore alle tonsille, che comunque stava soffrendo tantissimo e che avremmo dovuto sopprimerlo. Alla fine, dopo aver parlato con mia moglie, mi sono convinto che forse potesse davvero essere la cosa migliore. Però ricordo che la notte prima di portarlo a morire non ho dormito, e per la prima volta l’ho lasciato venire nel lettone con noi. Mi sono passati per la mente tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme. E sinceramente non me la sentivo di compiere quel passo, mi sembrava di tradire la fiducia che lui aveva sempre riposto in me. Non riuscivo a concepire il fatto che potesse essere il suo bene. E invece la mattina dopo... Ora, so che ti aspetteresti una cosa del tipo “non si è svegliato, ed era morto felice nel sonno accanto a me”. La verità è che mio cognato, che...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 5 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 7 giugno. In versione digitale, qui.

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