Come procedono le indagini

Il giallo dell'omicidio di Colognola Si sta cercando l'iPhone di Daniela

Il giallo dell'omicidio di Colognola Si sta cercando l'iPhone di Daniela
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Foto BergamoPost/Bdi.

 

Nella serata di martedì 20 dicembre, Daniela Roveri, 48 anni, dirigente dell'Icra di San Paolo d’Argon, è stata trovata uccisa, con un profondo taglio alla gola, sul pianerottolo d’ingresso della sua casa nel condominio Azzanella di Colognola, in via Keplero 11. Il primo a trovarla, morente, è stato un vicino di casa: «Aveva il terrore negli occhi». Poi sulla scena del delitto è arrivata la madre, Silvana Arvati, con cui Daniela viveva al quarto e ultimo piano della palazzina (99 appartamenti in tutto). Sul posto sono immediatamente accorsi la Squadra mobile della questura, i poliziotti della Scientifica e le volanti, con il Pubblico Ministero Davide Palmieri, che coordina le indagini assieme a Fabrizio Gaverini.

Chi era Daniela. Daniela si era trasferita a Bergamo da piccola con la sua famiglia, di origini emiliane. Da sempre viveva in questa palazzina con la madre, tra l'appartamento di Silvana al quarto piano e una mansarda al quinto. Orfana di padre, perso in un incidente stradale nel '75, si era diplomata al Lussana e poi laureata in Economia e Commercio all'Università di Bergamo. Alla Icra, dove una cinquantina di dipendenti producono e vendono rulli ceramici, aveva preso il posto della madre all'ufficio contabilità nel 1996: una carriera brillante, fino a incarichi di responsabilità nel settore amministrativo. Chi l'ha conosciuta la descrive come una persona gentile ma riservata, tanto che non vi sono sue tracce sui social network, nemmeno sul professionale Linkedin. La sua era una vita regolare, tra casa, lavoro e corsi in palestra al Club di Stezzano, con qualche viaggio assieme alla madre e a una nipote. Una sola nota stonata: anni fa, una denuncia per minacce nei confronti di un uomo, che però gli inquirenti non ritengono significativa.

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La ricostruzione del fatto. Il crimine si è consumato attorno alle 21. Daniela stava rientrando dal lavoro e dalla palestra, tanto che aveva addosso la valigetta dell’ufficio e il borsone per fare sport. Una tranquilla giornata come le altre, una routine di apparente normalità. Lei e la madre hanno due auto, ma il posto nel box è solo uno. Così, Silvana tiene parcheggiata la sua vettura negli spazi in strada, e la sposta poi nel box quando Daniela rientra dal lavoro, cedendole così il posto. Lo stesso fanno, dopo la telefonata di avviso di Daniela alla madre, anche martedì sera. Ma, nel tempo in cui Silvana fa il giro dell'isolato da via Linneo, riposto l'auto nel box e preso l'ascensore dal -1 al 4, Daniela viene seguita da qualcuno oltre le tre vetrate dell'androne. Non se ne accorge, o forse gli volta le spalle dopo averci scambiato qualche parola. E sta ancora dando le spalle all'assassino, quando viene uccisa, con un unico profondo taglio alla gola da sinistra a destra (lo accerta l'autopsia, condotta dall'anatomopatologa Yao Chen, dell'Istituto di Medicina Legale di Pavia), inferto da una lama affilata e «importante». Lei non ha il tempo di gridare né di opporre alcuna resistenza: sul suo corpo non ci sono tracce di ferite da difesa. Cerca di voltarsi, e poi cade a terra, con il viso rivolto all'ascensore. Muore quasi istantaneamente.

La madre intanto prepara la cena e, non vedendo Daniela entrare in casa, decide di andare a controllare. Sono passati solo due o tre minuti. Prova a prendere l'ascensore, ma lo sta utilizzando il vicino Marco Dozio, 27 anni, operaio in una ditta di Verdellino. Sente dei rumori e dei colpi, nessun grido, e poi, quando arriva al piano 0, si trova di fronte la scena tremenda e scioccante: «Il corpo della donna uccisa era con la testa rivolta verso le scale, la bocca aperta e gli occhi sbarrati che sembrava mi stessero fissando, in un lago di sangue. È stato un colpo, mi è mancato il fiato». Dozio risale immediatamente di sopra, chiama il padre Fabio (vedovo, che vive con i due figli Marco e Luca) e gli dice: «Hanno ucciso una donna». Non l'ha nemmeno riconosciuta, pensa addirittura sia una straniera, si chiede come mai non indossi né giacca né cappotto. Poi insieme chiamano il 113.

Intanto Silvana ha a sua volta trovato il corpo senza vita della figlia. «L'ho sentita urlare "Me l'hanno ammazzata! Me l'hanno ammazzata"», racconta l'anziana vicina Adriana Colleoni. Poi le volanti, i vicini che scendono in strada. E nessuno ha visto nulla.

L'assassino aveva un piano preciso. Che nessuno abbia visto nulla non è una coincidenza sfortunata, ma probabilmente conseguenza del fatto che l'omicida, pur non essendo un sicario o un professionista (difficilmente si sarebbe inoltrato fino a casa della vittima), ha agito come tale, sicuramente premeditando e studiando un piano, forse addirittura emulando il delitto di Seriate nel tentativo di sviare le indagini.

Per non essere visto nell'atrio illuminato, considerando anche che sono quattro le luci, accese dalle 17, a illuminare la facciata del condominio, il killer potrebbe essere arrivato dai garage tramite la scala a destra dell'ascensore, che non è visibile dall'esterno. Ed essersi appostato lì, pronto a colpire. Nascosto magari dalla siepe che circonda l'area del garage o da una delle colonne che reggono la struttura dell'edificio e che si trovano verso i box.

Durante la fuga, poi, non ha lasciato nessuna traccia di gocciolamento di sangue dal luogo del delitto alla porta, come se avesse infilato l'arma in un sacchetto e si fosse dileguato. Poi dov'è andato? Gli inquirenti hanno ipotizzato alcune vie possibili. Attraverso il parco, per raggiungere via Einstein, oppure attraverso i garage fino a via Linneo e poi fino a via Fermi. Una zona che rende agevole raggiungere l'autostrada, sguarnita di telecamere. E con un rischio ridotto di incontrare qualcuno per strada.

 

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La borsetta mancante e le indagini. Quando è stata aggredita, Daniela aveva in mano, oltre alla borsa per la palestra e a quella per l’ufficio, anche la sua borsetta personale. Che però non si trova più. La polizia l’ha cercata ovunque. È diventata in questi giorni sempre meno probabile la pista della rapina sfociata nel sangue, né gli inquirenti credono che vi sia un'assimilabilità con il delitto di Seriate, in cui il marito ha confessato di aver visto un uomo incappucciato scappare. Cioè: non pare ci sia un serial killer che opera nei dintorni di Bergamo.

C'è anche un'altra pista possibile: che si sia trattato di un delitto passionale, magari con una frequentazione che Daniela non aveva rivelato, o comunque di un assassino che conoscesse la vittima, la sua quotidianità, le sue abitudini e quel gesto condiviso con la madre. L'uomo con cui Daniela aveva un legame, al quale aveva promesso un regalo per Natale e che pare avesse problemi di gioco d'azzardo, è stato sentito dalla polizia, ma ha un alibi di ferro.

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L'arma del delitto intanto non si trova, anche se sono stati ispezionati tutti i cestini della zona e visionate le registrazioni delle (poche) telecamere private presenti in zona, in particolare quelle di una tabaccheria, di uno
studio di amministratori di condominio e della farmacia. Anche il cellulare costituisce un punto di mistero: l'iPhone 6 di Daniela ha mandato segnali dalla cella telefonica di Colognola fino a giovedì mattina e si trova in un raggio di 500 metri dall'abitazione di Daniela. Gli inquirenti lo stanno cercando ininterrottamente da giorni, Natale e Santo Stefano compresi: potrebbe presentare impronte del killer o messaggi e chiamate utili a ricostruire una qualsiasi pista.

È stato sentito anche lo spasimante non corrisposto destinatario della denuncia di Daniela, ma che non ha mai messo in atto stalking o atti pericolosi, e un suo coinvolgimento risulta improbabile. Non sono naturalmente escluse nemmeno le piste legate a un odio che Daniela avrebbe potuto raccogliere nell'ambiente di lavoro, per la sua fermezza e la sua irreprensibilità o anche solo per il suo ruolo di responsabilità (per questo sono stati analizzati pc e telecamere dell'Icra), o un'inimicizia con qualcuno dei vicini, chissà per quale motivo.

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