Ma la Coldiretti è sul piede di guerra

Il falso problema dell’olio tunisino La verità è che ne abbiamo bisogno

Il falso problema dell’olio tunisino La verità è che ne abbiamo bisogno
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Sta facendo molto discutere la decisione presa la scorsa settimana dal Parlamento europeo in seduta plenaria, che con 500 voti favorevoli, 107 contrari e 42 astenuti ha dato il via libera finale all’ingresso nell’Unione europea dell'importazione, senza dazi fino al 2017, di 70mila tonnellate l’anno in più di olio d’oliva tunisino (35mila per il 2016 e altrettante per il 2017). Ciò in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall’accordo di associazione già in vigore. Trattandosi di un regolamento, dopo l’approvazione formale da parte del Consiglio e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, l’accordo sarà immediatamente esecutivo, probabilmente a partire da aprile. Una decisione che, come da previsione, ha scatenato le ire degli antieuropeisti, oltre che delle associazioni dei produttori di olio italiano.

 

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L'allarme della Coldiretti. Obiettivo dichiarato della misura è dare sostegno all’economia tunisina, che a causa della minaccia terroristica ha subito una forte contrazione nel 2015. Essendo uno dei pochi Paesi relativamente stabili del Maghreb, non stupisce l’Europa (così come anche gli Stati Uniti) abbia tutto l'interesse ad aiutare la Tunisia a risollevarsi. Con una misura che, inoltre, aiuta i tunisini “a casa loro”, come spesso è stato chiesto dalle forze politiche di opposizione di fare. Eppure le voci di forte critica sono state e continuano ad essere molte. Tralasciando le posizioni politiche, è la Coldiretti a costruire le barricate a suon di dati: secondo l’associazione, l’accordo metterà a rischio un’azienda agricola italiana su tre e andrebbe a favorire ulteriormente il fiorente mercato delle contraffazioni, che costerebbe all’Italia 60 miliardi di euro e 300mila posti di lavoro. Una posizione che, però, si scontra con altri dati, ovvero quelli dell’International Olive Council, che dimostrano come la produzione di olio italiana non riesca a rispondere alla domanda interna e che quindi il nostro Stato sia costretto a importare quantità non indifferenti di prodotto.

 

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L'Italia ha bisogno di importare olio. Osservando i dati dell’ente, si può notare come dal 1991 ad oggi l’Italia abbia prodotto sempre meno olio d’oliva di quanto ne abbia consumato ed esportato. The Fielder spiega che, analizzando «l’andamento qualitativo delle curve, emerge anche che la domanda interna del prodotto ha sempre seguito il trend dell’offerta derivante dalla produzione interna e che, quando la produzione sensibile ai raccolti delle olive non soddisfaceva la domanda, il generico consumatore italiano s’è rivolto anche a prodotti surrogati oltreché a prodotti d’importazione». Ciò significa che un supplemento di 35mila tonnellate all’anno provenienti dalla Tunisia verso tutta Europa, senza dazi, non giustifica i tanti timori italiani, soprattutto considerando che nel 2015 il nostro Paese ha importato poco più di 20mila tonnellate, nemmeno un quinto delle oltre 100mila importate a cavallo tra il 2005 e il 2007. In sostanza l’Italia, data l’elevata domanda di olio e la scarsa produzione, ha bisogno di importare il prodotto e che, in quest’ottica, l’abolizione dei dazi per l’importazione dell’olio tunisino rappresenta una notizia positiva perché significa costi più bassi, anche, si spera, per noi consumatori. Del resto l’Italia, secondo i dati raccolti dal Corriere della Sera, è il Paese che con 298mila tonnellate di olio prodotte nel 2015/16, 553mila consumate, 570mila importate e 300mila esportate è in testa ai consumi europei, insieme alla Spagna.

A far storcere il naso a molti contestatori dell’accordo è anche il prezzo dell’olio tunisino, inferiore mediamente di circa 3 euro a quello italiano. Confrontando però il costo con quello di altri due oli stranieri importati in Italia, ovvero quello spagnolo e quello greco, il tunisino, stando ai dati Ismea Servizi, è sì inferiore a quello iberico, ma è superiore a quello ellenico, che però può tranquillamente circolare sul territorio europeo. Se il ragionamento “prezzo basso uguale scarsa qualità” è valido, allora non si vede perché farlo valere solo per l’olio tunisino e non anche per quello greco. I difensori dell’accordo sottolineano infine come 35mila tonnellate in più all’anno siano, a paragone del consumo annuale medio europeo stimato in 1,7 milioni di tonnellate, una goccia nell’oceano.

 

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Un accordo positivo, se ben regolato. Chi ha quindi ragione? Come sempre sarà il tempo a dare una risposta definitiva al quesito. Certo è che, sulla bilancia, le ragioni dei favorevoli paiono pesare molto di più di quelle dei contrari. Anche perché la misura della Ue favorirà (in teoria) il commercio trasparente dell’olio, contrastando quello in nero che tanta paura (giustamente) fa ai produttori e ai consumatori. Non va dimenticato, inoltre, che i recenti scandali sull’olio d’oliva (extra vergine e non solo) sono scoppiati attorno a produzioni che, teoricamente, erano italiane al cento per cento, cosa che dimostra che il vero ago della bilancia sarà soprattutto il sistema di controllo che seguirà all’entrata in vigore della misura. Se si riuscirà a tutelare la qualità dell’olio tunisino messo sul mercato europeo, ne gioverà anche il libero mercato. E siamo certi che data la bontà dell’olio italiano non saranno certo 35mila tonnellate di olio tunisino in più in tutta Europa a mettere gambe all’aria il mercato.

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