Fermati con passaporti falsi

Il processo ai siriani fermati a Orio Jihadisti o profughi in fuga dall'Isis?

Il processo ai siriani fermati a Orio Jihadisti o profughi in fuga dall'Isis?
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«Non ho mai fatto male a nessuno, non ho mai ucciso nessuno». Piange Al Hassan Hazem, siriano di 19 anni, mentre l'agente della penitenziaria gli stringe le manette ai polsi e lo porta via dall'aula. Ci tornerà il 17 dicembre per rispondere dell'uso di passaporto falso, cui la procura di Bergamo ha aggiunto l'accusa di ricettazione, visto che il documento sarebbe stato acquistato in Italia. Nel frattempo, l'antiterrorismo avrà tempo e modo di indagare su di lui e sul compagno di viaggio Al Ali Fawaz, 30 anni, siriano di Raqqa, che deve rispondere delle stesse imputazioni.

I contenuti dei due cellulari. Ma più che ai passaporti falsi, la Dda di Brescia è interessata alle foto imbarazzanti trovate nei loro telefonini: scene di guerra e soprattutto di uomini con la divisa nera dell'Isis. La pm Silvia Bonardi, che ha interrogato i due (uno giovedì e l'altro sabato scorso), ha disposto l'isolamento in carcere. Vietato ogni contatto con altri detenuti, in attesa che si faccia chiarezza sulla loro reale identità: poveri profughi o reclute del Califfato? Intercettati a Orio il mercoledì successivo agli attentati di Parigi mentre tentavano di prendere un volo per Malta, i due sono sotto i raggi X dell'intelligence italiana. Anche in aula sono spuntati due agenti dell'antiterrorismo venuti apposta da Brescia per studiarne parole e comportamenti.

Le foto di guerra. A giudicare dalle apparenze, i due sembrano poveracci in fuga dalla guerra. Il più giovane, Hazem, ha continuato a ripetere che lui in carcere non può resistere. «Mi trattano male, da una settimana sono chiuso in una cella. E ho paura che mi diano da mangiare carne di maiale. Non posso restare in prigione ancora per un mese», ha detto alla traduttrice, senza però riuscire a impietosire la giudice Maria Luisa Mazzola. Durante l'interrogatorio in carcere, assistito dall'avvocato Nicola Offresi Geddo, entrambi hanno raccontato storie drammatiche. Vero, sui loro Samsung ci sono le foto di uomini dell'Isis. Ma si tratta, dicono, dei fratelli morti combattendo per il Califfato. Loro, Hazem e Fawaz, hanno scelto strade ben differenti. Giurano di odiare gli integralisti, che hanno plagiato i loro fratelli portandoli a morire in battaglia. E si dicono addirittura pronti ad apparire in tv per raccontare agli occidentali le scelleratezze dei fanatici islamici.

In fuga dall'Isis? Hazem e Fawaz raccontano di essersi conosciuti in Turchia. Hazem stava cercando di raggiungere i parenti a Malta, dopo esser fuggito in Arabia Saudita proprio all'invasione dell'Isis. Fawaz invece per il Califfato avrebbe persino lavorato, come vigile urbano: ecco spiegato il perché dello scatto che lo ritrae con una divisa e una pistola. Da Raqqa sarebbe però fuggito perché coinvolto in un giro di corruzione. Scoperto dai gendarmi dell'Isis, sarebbe stato punito con cento frustate e minacciato di morte. Di qui la decisione di scappare, lasciandosi dietro la moglie incinta. Sullo smartphone, tra i selfie a sfondo bellico, compare in effetti la foto di un neonato, che Fawaz dice di non avere ancora potuto abbracciare. Insieme a Hazem avrebbe lasciato la Turchia per seguire la rotta balcanica dei profughi, su fino all'Austria.

Verso Malta. Giunti a Vienna i due siriani chiedono asilo, ma la risposta tarda ad arrivare e allora scendono in Italia, dove si sarebbero procurati i passaporti falsi. «Non che qui i tempi siano più corti... - fa notare la giudice - perché non attendere?». La risposta la dà l'avvocato: la domanda di asilo serviva solo per ottenere un permesso valido che gli avrebbe consentito di volare a Malta, dove anche Fawaz ha delle conoscenze. Resta però un grande interrogativo: perché fare il giro largo, attraversando mezza Europa, anziché raggiungere direttamente la meta? È una delle cose che non quadrano, almeno secondo la Dda. Vero che a Malta esiste una grossa comunità di connazionali, ma gli ultimi rapporti di intelligence indicano proprio nell'isola una nuova testa di ponte verso la Siria, utilizzata dagli aspiranti "foreign fighters" o dai veterani di ritorno.

Chi sono veramente i due siriani fermati a Orio? In altri tempi sarebbero probabilmente già stati scarcerati, ma in piena emergenza terrorismo non si può sottovalutare niente e nessuno. Prima di lasciarli andare, la Dda di Brescia vuole essere sicura che dietro la maschera di bravi ragazzi non si nasconda il diavolo.

 

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