Il tour del debuttante

La mia prima volta a Oriocenter

La mia prima volta a Oriocenter
Pubblicato:
Aggiornato:

La prima cosa - mi hanno detto - è segnarmi dove lascio la macchina. Parcheggio, scendo, apro il taccuino giallo e scrivo “Parcheggio ovest A9”. Certo, quanto è grande questo parcheggio! La dimensione è la cosa che colpisce di più e provoca un senso di smarrimento: oggi è soltanto martedì mattina, sono le 9.40. Ma se venissi qui un sabato pomeriggio? I cartelli con scritto “entrata” sono ben chiari, la strada la trovo facilmente. Ho deciso di festeggiare anch’io Oriocenter per i suoi vent’anni: gli regalo la mia prima visita. Meglio tardi che mai.

 

 

Mi colpisce la dimensione, ma anche la segnaletica stradale, ben tenuta; i passaggi pedonali sono tracciati in maniera evidente con la resina rossa. La porta scorrevole si apre, nemmeno devo spingere una maniglia, la scala mobile mi aspetta, salgo e sbuco davanti a una libreria, la “Feltrinelli Village”. Sarà il destino. Il destino a volte non lo puoi prevedere, tesse le sue trame per fatti suoi e poi te le presenta. Libreria, giusto. In vetrina chitarre, Dvd, libri. Quindi a Oriocenter abita anche la cultura. Accanto vedo un grande negozio, enorme, con la scritta H&M. Famoso. Poi Scarpe & Scarpe, la Rosa del Gusto, ristorante e bar, il negozio “Esercito”... Fuori fa freddo, stamattina; dentro invece no. Un bel vantaggio. Cammino in questo largo viale e sono tutti negozi, a destra e a sinistra e sopra, in alto, ci sono luci e grandi farfalle, come se volassero. Mica male, dai. Ed ecco davvero un bel negozio: il Disney. Qui l’atmosfera chiara e algida (i gelati non c’entrano) del centro commerciale lasciano il posto al calore del legno, delle tinte notturne e stellate, come questo sentiero blu, punteggiato di stelle, che sta sul pavimento, e mi guida fra i giochi; su una parete un grande schermo dove scorrono le immagini di un cartone animato. Qui anche i prezzi - scopro - sono magici: sopra una serie di pupazzi c’è scritto “meno 25 per cento”. Accanto a Disney - questo di Orio, mi spiegano, fu il secondo negozio Disney in Italia, adesso ce n’è una ventina - ecco lo spazio dei Lego: dentro al grande emporio - mi pare che adesso sia più figo dire “store”, come gli inglesi, oppure “shop”, sempre come gli inglesi, o gli americani, o gli australiani -, costruzioni in mattoncini di tutti i tipi. Ma, soprattutto, un Darth Vader, il nero cattivo di Guerre Stellari, pardon, Star Wars, in altezza naturale, un marcantonio con mantello, alto due metri. E tanto di spada laser. Scusi signorina, ma quanti mattoncini ci vogliono per costruire Darth Vader? La ragazza va a vedere e risponde: «44.173». Be’, qualche anno di lavoro.

C’è poca gente in giro, i commessi e le commesse ne approfittano per sistemare gli scaffali in vista degli acquisti di Natale. Mi viene voglia di un cappuccino e brioche, cado dentro uno dei numerosi bar, bistrot e ristoranti. E casco male: la brioche è cattiva, secca. Poca gente in giro, soprattutto gente di una certa età. E il barista, che si scusa per la brioche, mi spiega che lavorare a Oriocenter non è niente male. Dice che hai il parcheggio garantito, durante l’ora di pausa ti puoi fare anche la spesa senza problemi, puoi comprare pure i giocattoli ai figli. Di contro, ti manca un po’ la clientela fissa perché qui è un gran viavai. «Però c’è anche qualcuno che viene qui tutti i giorni. Succede al mattino, ci sono delle persone di una certa età che vengono a bere il caffè e a leggere il giornale, tutti i giorni, sì». De gustibus. Del resto, mi hanno detto che c’è chi vive in questo luogo. Arriva al mattino, passa la giornata e la sera va a casa a dormire. Il mondo è bello perché è vario. Ma che cosa è davvero questa rutilante architettura rigonfia di negozi come un calzone è ripieno di mozzarella e pomodoro? Una commessa che sta qui da vent’anni, dal primo giorno, dice: «Era partito come un centro commerciale, un grandissimo centro dove venire a fare le spese, lo shopping. Negli anni è diventato anche un luogo di ritrovo. Per i ragazzi, per le famiglie...». Un luogo di ritrovo. Lontano dal caldo, lontano dal freddo, dalla pioggia. Lontano dai pachistani che vogliono venderti la rosa e dai rumeni che suonano la fisarmonica. Qui non è possibile. Qui è tutto luminoso, è tutto pulito. Anche i servizi igienici sembrano usciti da una storia di fantascienza, con quei pannelli verdi lucidi, con quei rubinetti satinati che non si capisce bene cosa facciano: da dove esce l’acqua? e il sapone? È tutto cromato, lucido, perfetto.

 

 

Vago lungo i viali della perfezione, un commesso mi spiega che qui arriva gente di ogni tipo, anche tanti maleducati; mi spiega che sempre più gente diventa esigente, sprezzante, non è disposta ad aspettare, è molto brava a pretendere le cose. Così va il mondo dei tanti piccoli padri eterni con il suv, due soldi in tasca e magari anche un diploma o una lauretta strappata e dimenticata anni prima. Ci sono anche tante belle ragazze. Come questa Irina Shayk che mi guarda con occhi di gatta dalle vetrine di Intimissimi, o come questa di Stroili, quello dei gioielli, che mi fissa e dice: «Voglio romanticismo, voglio un po’ di follia, voglio novità, voglio fermare il tempo, voglio sognare... Voglio Tutto». C’è da dire che lei è un gran pezzo di ragazza, con uno sguardo che promette molto. Ma quelle parole sono un vero manifesto di questi anni, della direzione verso la quale marciamo. Non mi piace, no. E poi c’è la Alejandra Alonso che campeggia nella vetrina del negozio di scarpe, con le sue splendide gambe; e poi il bel viso di questa ragazza di “A Men” che vende gioielli e “pipottini” e il cui slogan è: «L’amore è una scelta». Sono d’accordo. Cammino e cammino e lo smartphone mi dice che ho percorso due chilometri e quattrocento metri. Ecco quelli del pollo fritto, il colonnello di Kfc mi spiega che a lui piace la compagnia e che allora devo andare a trovarlo con gli amici per condividere il bucket di pollo fritto. Boh.

Sono nella “food court” con le sue belle colonne rivestite di legno e quei rami che come spire sinuose salgono al soffitto. Non c’è quasi nessuno. Seduta su un divanetto blu, a un tavolino di legno, c’è una ragazza con davanti una tazza. Ha i capelli castano scuri che le cadono sulle spalle, una elegante giacca principe di galles, dolcevita nera. Sta leggendo un libro. Non ci posso credere. Mi avvicino, chiedo scusa, dico buongiorno, lei sorride, dico: «Lei è l’unica persona in tutto l’Oriocenter che sta leggendo un libro». Il sorriso si allarga, mostra il volumetto, è di Diderot (quello dell’Enciclopedia degli Illuministi, ricordate?), si intitola Saggi sulla pittura. La ragazza racconta che è laureata in Storia dell’arte a Bologna, che ha fatto un paio di master, che ha venticinque anni e che ha trascorso otto mesi a Londra, ma che poi è ritornata un po’ per nostalgia e un po’ per cercare lavoro, magari non lontano da casa. Ma dice che è stato inutile, solo contratti senza prospettiva. «E adesso sono qui perché fra un’ora ho un colloquio di lavoro, farò qui un mese per Natale, raccolgo un po’ di soldi. Poi tornerò a Londra». Dice che Oriocenter non è niente male per i bergamaschi perché offre molti posti di lavoro e perché «almeno alla domenica sanno che cosa fare». Dice che è un luogo di ritrovo per tanti giovani, ma... «Io preferisco andare in giro a vedere città, paesi, magari andare al lago, o al mare... Sa qual è la città che preferisco? Napoli, perché è splendida e vera, non un prodotto per turisti». Già, i centri storici che diventano prodotti commerciali per turisti. Ringrazio, le auguro buona fortuna prima di tornare a esplorare Oriocenter. Lei riprende il libro, saluta. «Mi chiamo Giulia», dice.

Seguici sui nostri canali