Dal Giornale di Treviglio

Leo, ultima lettera dall’ospedale «A vent’anni rivoglio la mia vita»

Leo, ultima lettera dall’ospedale «A vent’anni rivoglio la mia vita»
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Il cielo leggermente velato e il vento freddo hanno spezzato per qualche minuto una bella giornata di sole, lunedì pomeriggio, quando la bara di Leonardo “Leo” Ghilardi,  20 anni, ha lasciato la chiesa di San Pietro Apostolo in zona nord, a Treviglio, accompagnata dalle voci commosse di decine di amici. Ne parla il Giornale di Treviglio.

Ucciso dal sarcoma a vent’anni. La storia del giovane Leo, pattinatore dello Skating club d Cassano e molto conosciuto oltre l’Adda così come a Treviglio, aveva commosso tutti quando alcuni mesi fa sembrava, si sperava almeno, che avesse vinto la sua battaglia contro la malattia.  Alla fine, però, venerdì si è dovuto arrendere e si è spento, dopo circa 19 mesi di lotta. Aveva scoperto di avere il sarcoma di Ewing, una forma tumorale molto aggressiva, diagnosticata dai medici dell’Humanitas di Rozzano. Ha tentato in ogni modo di reagire ed era tornato persino in pista,  ma la passione e l’affetto degli amici non sono bastati.

 

 

L’addio sulle note di Bennato. Centinaia gli amici di Cassano e di Treviglio che hanno riempito la chiesa, molti con la divisa bianca e blu dello Skating club. Dal pulpito, quattro compagni di classe hanno letto una lettera al loro amico scomparso: «Sembra ieri che ci hai dato la notizia della malattia, e ci chiedevi di prenderla con filosofia come hai sempre fatto tu. Ora hai l’immortalità, quella dei più grandi». Poi è stata una compagna di squadra a salutare Leo per conto della società sportiva, e infine un’amica, che ha letto alcune parole scritte da Leo soltanto alla fine di febbraio, dal suo letto d’ospedale.

La lettera dall’ospedale. Era il 26 febbraio quando Leo Ghilardi prese carta e penna, dal suo letto d’ospedale e scrive “Flusso di coscienza”.  Eccone uno stralcio, che amici e compagni hanno ascoltato con le lacrime agli occhi. «Scrivo dall’ospedale, scrivo mentre sto male. Scrivo perché  ho voglia di altro, non più i siringhe, boccette e farmaci. Voglio qualcosa di diverso, voglio la fine di tutto questo. Voglio l’inizio della mia vita. Rivoglio la mia vita. Ora devo aspettare, così dicono. Aspettiamo. Ma sono un anno e otto mesi che aspetto, che lotto. Lottiamo. Un anno e otto mesi che vedo la fine, ma poi sparisce nelle mie mani. Si tiene duro, si va avanti. Niente boccate d’aria, non c’è tempo». Sul sagrato infine, l’ultimo saluto. I compagni hanno cantato “Un giorno credi” di Edoardo Bennato. Accompagnati da una chitarra e da un flauto, la voce rotta e le note a perdersi nel vento.

 

Maggiori informazioni sul Giornale di Treviglio in edicola da venerdì 29 marzo.

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