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«Meglio volontari che sottopagati» Il (giusto) no di tanti giovani a Expo

«Meglio volontari che sottopagati» Il (giusto) no di tanti giovani a Expo
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Lavorare ad Expo 2105? No, grazie. Sono circa 5mila le posizioni da coprire per garantire che la macchina dell'Esposizione funzioni. A ieri, per ammissione della stessa multinazionale incaricata della selezione, come si legge sul sito di Expo, c’erano ancora 800 posti scoperti. Per ora sono stati chiusi i contratti per mille assunzioni per Expo SPA e per 3200 persone destinate ai vari padiglioni, nazionali o tematici. Ma la notizia che ha destato più scalpore è quella delle tantissime rinunce che hanno messo in difficoltà i reclutatori. Sullo stesso sito di Expo si ammette che le rinunce sono state vicine al 50 percento. Che sono tante, anche se lontane da quell’“otto su dieci” che strillava mercoledì il Corriere della sera, con un suo titolo.

Quali i motivi? Per farsene un'idea basta leggere le migliaia di reazioni che sono piovute sul sito del qutidiano milanese (ben 23mila commenti...) che per primo ha sollevato il caso. Sono in gran parte di giovani che hanno partecipato alla selezione e che vogliono mettere in evidenza la scarsa chiarezza delle condizioni, la lentezza nelle risposte. Per tutti vale il conteggio tra quel che si guadagnerebbe e quel che costa la vita per sei mesi a Milano, senza aver nessun benefit, neppure sui trasporti. Sul caso ovviamente si è accesa una polemica generazionale, con gli osservatori che hanno bollato le nuove generazioni di essere  dei "bamboccioni". E i ragazzi che si sono ribellati a questa etichetta, denunciando le condizioni contrattuali ed evidenziando come si tratti di un lavoro senza futuro. Scrive ad esempio Giampiero Maggi, uno dei tantissimi che ha commentato la notizia sul sito del quotidiano milanese, scoprendo la propria identità: «Io sono dell'80 percento che si è ritirato, l'offerta era molto inferiore per la maggior parte di noi, di 800 euro lordi e non 1300, inoltre le pretese erano di vera e propria schiavitù, non facevi più vita per non parlare del fatto che il pendolarismo ti avrebbe mangiato tutto lo stipendio e meno di affittare una camera da qualche parte ma a Milano lo sapete cosa costa?».

 

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Oggi Manpower, la multinazionale che ha seguito il lavoro di recruiting, ha precisato che quell’80 percento  era relativo non alle posizioni con stipendio da 1300 euro, ma a posizioni molto più marginali con compensi quindi ben sotto i mille euro. Eppure le candidature a Expo erano state tantissime. Oltre 64mila persone, infatti, hanno inviato il loro curriculum per seguire, in particolare, il percorso South training program (oltre 83mila candidature) per lavorare come Area team leader, o come operatore grandi eventi. Altri 38.093 candidati, si legge sul sito di Expo, hanno chiesto invece di lavorare nel melting pot culturale dei padiglioni. Anche il prototipo del candidato è ben delineato: Expo ha attirato soprattutto le donne: oltre il 59 percento di chi ambisce ad una posizione nella società Expo e quasi il 57 percento di chi punta a un’occupazione nei padiglioni. La maggior parte dei candidati è naturalmente giovane (tra i 18 e i 30 anni), di nazionalità italiana (provenienti soprattutto dal Nord Italia) e ha un alto livello di istruzione: la percentuale di laureati che vogliono varia tra il 63,6 percento (per chi si candida alle posizioni Expo) e il 52,3 percento (per i padiglioni).

Ma da tutti questi conteggi resta fuori quella fetta di ragazzi che con con buon spirito d’iniziativa stanno avviando microimprese, approfittando delle opportunità generate da Expo. Un caso emblematico è quella di UIDU, la start up bergamasca, fondata da Andrea Vanini, 28 anni, che ha creato la piattaforma (una sorta di social network privato con una serie di strumenti di gestione del lavoro e delle persone) che gestirà una questione complessa come il lavoro dei quasi 8500 volontari (tutti ragazzi) che si alterneranno nei sei mesi di Expo. I giovani sono molto migliori delle etichette che vengono affibbiate loro.

 


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