L'omicidio di Seriate

Nessuna prova contro Tizzani Eppure qualcosa non torna...

Nessuna prova contro Tizzani Eppure qualcosa non torna...
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È l'ennesimo colpo di scena di un'indagine che, più passa il tempo più risulta essere complicata per gli inquirenti. E l'omicidio di Gianna Del Gaudio, l'ex professoressa di 63 anni brutalmente uccisa alle 00.43 del 27 agosto nella sua villetta in via Madonna delle Nevi a Seriate, resta un mistero. Le analisi dei Ris sul cutter rinvenuto in una siepe di via Cornagera, a 400 metri circa dal luogo del delitto, hanno appurato che il sangue sull'arma è proprio quello della vittima, ma su di esso non sono state trovate impronte o tracce biologiche; allo stesso tempo, sui guanti in lattice rinvenuti insieme all'arma c'era invece del Dna, ma non quello del marito della donna, Antonio Tizzani, 68enne ex ferroviere al momento unico indagato, come invece molti si aspettavano.

 

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I guanti sono stati trovati lo scorso 6 ottobre in un sacchetto di plastica (uno di quelli per le mozzarelle confezionate) insieme all'arma del delitto e ad alcuni avanzi di cibo. Il tutto era stato attentamente nascosto nella siepe di un'abitazione distante diverse centinaia di metri dalla casa dei coniugi Tizzani dove si è consumato il delitto. La notizia del ritrovamento è stata data soltanto la scorsa settimana, forse con la speranza degli inquirenti che le analisi dei Ris sui reperti fornissero finalmente delle risposte. Invece nascono nuovi enigmi. Sui guanti, infatti, i Ris hanno rinvenuto sì un profilo genetico, ma di un soggetto maschile al momento ignoto. Una scoperta che spiazza considerando che gli investigatori hanno appurato che tutto ciò che è stato trovato in quel sacchetto proviene sicuramente dalla casa della vittima. Per questo erano quasi certi di ritrovare almeno un elemento che riconducesse a Tizzani, che in quella casa ci viveva. Invece niente.

Quanto riportato nella relazione sui primi accertamenti preliminari depositata in procura venerdì 21 ottobre dal comandante dei Ris Giampiero Lago, riapre in modo importante la pista dell'uomo incappucciato, cioè la versione fornita sin dall'inizio da Antonio Tizzani, che ha sempre raccontato di aver visto fuggire dalla sua abitazione un uomo con il volto coperto da un cappuccio la sera in cui ha ritrovato il corpo senza vita della moglie. Il procuratore capo di Bergamo Walter Mapelli, il 18 ottobre ha dichiarato di ritenere «inverosimile» questa versione, soprattutto perché tutte le indagini fatte non hanno fornito alcun elemento a sostegno della tesi del 68enne. Ma ora anche il magistrato, attraverso le pagine de L'Eco di Bergamo, ammette che siamo di fronte a «un fatto nuovo e importante». Chi ha accolto la notizia con un sospiro di sollievo è proprio Tizzani: raggiunto dal quotidiano orobico nell'abitazione del figlio Paolo, dove vive dal giorno successivo al delitto, l'ex ferroviere ha ammesso di sentirsi un po' sollevato, ma anche di provare «paura per la mia incolumità. Chi ha fatto quella cosa a mia moglie è ancora in giro e magari potrebbe venire da me. Io l'ho sempre saputo, l'ho detto fin da subito come sono andate le cose e che mia moglie non l'ho uccisa io».

 

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Eppure, per quanto importanti, queste novità non scagionano totalmente Tizzani, almeno secondo gli inquirenti. Sono ancora troppe le domande senza risposta. Ad esempio: oltre che sul cutter, anche sul sacchetto che conteneva l'arma e i guanti non sono state trovate impronte o tracce biologiche. Eppure, se l'assassino si era liberato dei guanti, almeno sul sacchetto dovevano esserci delle impronte. Le ipotesi sono due: o che l'omicida indossasse non uno, ma ben due paia di guanti, oppure, più semplicemente, che le condizioni climatiche (ha piovuto diversi giorni dal 27 agosto al 6 ottobre) abbiano cancellato ogni possibile traccia. Se la prima ipotesi fosse quella esatta, Tizzani resterebbe il primo sospettato, perché potrebbe aver architettato tutto per sviare le indagini. Se invece fosse la seconda la tesi seguita, allora anche il Dna rinvenuto sui guanti e riconducibile a un soggetto ignoto andrebbe preso con le pinze, perché c'è la possibilità (comunque remota) che queste tracce genetiche siano state trasportate dalla pioggia e si siano depositate sui guanti dopo essere filtrate attraverso il sacchetto. Intanto, però, gli investigatori si sono mossi effettuando svariati prelievi salivari a una quarantina di persone che potrebbero essere entrate in contatto con quel sacchetto: Paolo, il figlio della coppia, e sua moglie Elena; l'altro figlio Mario e la sua compagna Alessandra; il commerciante che aveva venduto ad Antonio Tizzani le mozzarelle; il postino.

Chi indaga, però, ancora non è convinto che il vero assassino sia l'uomo incappucciato di cui ha parlato sin dall'inizio Tizzani. Durante uno dei primi interrogatori, infatti, il marito della vittima aveva dichiarato di aver notato le mani abbronzate del presunto omicida. Eppure gli ultimi risvolti dimostrano che l'assassino indossava i guanti. Così come sembra assurdo che il ladro, colto sul fatto da Tizzani e dopo aver ucciso la Del Gaudio, si sia premurato di mettere arma e guanti in un sacchetto prima di fuggire, per poi nascondere il tutto in una siepe distante soltanto 400 metri dall'abitazione del delitto piuttosto che a chilometri e chilometri di distanza. Da una parte, dunque, ci sono delle prove che allontano ogni sospetto da Tizzani, dall'altra il convincimento di chi indaga che qualcosa non torna nella versione che l'uomo ha sempre fornito agli inquirenti. E in mezzo resta l'enigma del terribile assassinio di Gianna Del Gaudio.

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