Un fattore storico inevitabile

Quanti falsi miti sugli immigrati

Quanti falsi miti sugli immigrati
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Gli immigrati presenti in Italia sono 78.784 e di questi 14.285 sono giunti nei primi otto mesi del 2015, cioè da gennaio ad agosto. In tutta Europa i rifugiati di guerra, i richiedenti asilo e quelli che sono fuggiti da condizioni economiche e sociali molto difficili sono 150mila. I numeri sono questi, e dato che i numeri non possono mentire, è chiaro che il suolo nazionale ospita più della metà di tutti i migranti presenti sul continente. È altrettanto chiaro che l’Italia non ha l’estensione della Francia, perciò il nostro Paese sta facendo molta fatica nel far fronte agli oneri legati all’“emergenza migranti”. Questo fatto non è nuovo per nessuno di noi, dal momento che viene ripetuto più o meno quotidianamente dai giornali, oltre ad averlo sotto gli occhi nelle nostre città. Tuttavia, richiamare l’attenzione sui dati sopra riportati ci torna inutile per introdurre l’argomento di cui ci vogliamo occupare, e cioè: quanti miti (falsi) sono sorti e sono stati alimentati intorno alla questione migratoria, diffondendo opinioni basate su fondamenti fallaci?

 

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Un fattore storico inevitabile. Qualche risposta è stata data da Hein de Haas, professore di sociologia dell’Università di Amsterdam ed ex co-direttore dell’International Migration Institute di Oxford. Prima di tutto, occorre partire dall’assunto che le migrazioni costituiscono un fenomeno storico inevitabile. Lo storico greco Tucidide parlava di certe costanti umane che influiscono sul corso ciclico della storia: poiché la natura di noi uomini è “strutturata” in un certo modo e poiché questa struttura non può essere sovvertita, ne deriva che azioni, scelte e proponimenti si manifestino con una certa ricorrenza. Ora, le migrazioni si sono sempre verificate e pretendere che cessino nel ventunesimo secolo è come negare la scoperta dell’acqua calda. Detto ciò, de Haas fa notare come le cosiddette politiche migratorie siano state dettate più da scopi politici, appunto, che da una vera e profonda conoscenza della contingenza migratoria. I capi di Stato e i ministri tendono ad agire conformemente al proprio elettorato e agli equilibri internazionali. Da ciò l’atteggiamento di chiusura adottato da molti Stati europei che rifiutano o hanno rifiutato in passato di accogliere entro i rispettivi confini gli immigrati. Lo scopo principale è quello di fare sentire al sicuro i cittadini, garantendo loro l’“inviolabilità” delle loro case. Il paradosso è che, in tono diverso ma non per questo meno preoccupante, ci pensa Internet e la connessione globale a smantellare il concetto di privacy e di intimità, con la collaborazione entusiasta di quegli stessi cittadini; ma questa è già un’altra storia.

 

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L'errore delle politiche migratorie. Le frontiere, intanto, vengono chiuse e la rigidità dei controlli, insieme alle restrizioni in campo di immigrazione, favoriscono e incoraggiano il diffondersi di pratiche di contrabbando di persone, oltre alla clandestinità. De Haas è convinto di questo: sono le politiche migratorie europee le principali responsabili dell’emergenza attuale. Il vero problema è l’incapacità dell’Unione di fare fronte comune, di collaborare per accogliere l’enorme massa di persone in difficoltà. La questione è europea, ma nel senso che riguarda l’Europa in prima persona. La crisi che stiamo vivendo ha rivelato la scarsa coesione dell’Ue. Non poco tempo fa, per fare un esempio, la Francia riportava in Italia i migranti che cercavano di valicare il confine.

 

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Inutile costruire muri. Un’altra falsa credenza stigmatizzata da de Haas è quella secondo cui i migranti ruberebbero lavoro e farebbero diminuire gli stipendi. Lo studioso ricorda che l’immigrazione fa anche aumentare il Prodotto Interno Lordo, ma non incide in maniera significativa sul bilancio economico di un Paese: «Benché l’immigrazione sia causata principalmente da fattori economici, non è a sua volta un fattore di cambiamento per l’economia del paese ospitante». A ricavare lauti guadagni sono piuttosto le grandi imprese, che possono avvalersi di molta forza lavoro a costi bassissimi. L’immigrazione, quindi, non è affatto la causa di tutti mali. Secondo de Haas, la vera responsabile della crisi è l’ipocrisia con cui gli Stati si stanno comportando nei confronti dei flussi migratori. I cambiamenti economici dell’ultimo secolo hanno portato a un’apertura progressiva delle frontiere, alla liberalizzazione dei commerci, a una maggiore circolazione di persone. Chiedere ora di fermare l’arrivo dei migranti e di arrestare gli spostamenti sarebbe oltremodo incompatibile con il mantenimento di uno standard economico globalizzato. La costruzione di muri, come quello ungherese, e i divieti d’ingresso per i migranti sono misure destinate a fallire. Le uniche iniziative che possono sortire effetti positivi a lungo raggio richiedono solidarietà tra i Paesi europei e tra questi e i nuovi arrivati.

 

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Le parole di Todorov. «Quante persone dovranno ancora morire asfissiate o annegate prima che si risvegli la compassione dei governi?», se lo chiede il filosofo francese (ma di origine bulgara) Tzvetan Todorov, intervistato da Repubblica. Le sue parole prendono di mira l’immobilismo del Vecchio Continente di fronte agli incessanti arrivi di migranti. «La crisi dei rifugiati che stiamo vivendo in questi giorni rivela che la costruzione europea è molto meno avanzata di quanto non si creda. Diversi governi lontani dai confini esterni dichiarano che quello che vi sta accadendo non li riguarda. Come è possibile scaricare esclusivamente su Grecia e Italia la gestione dei rifugiati che arrivano da sud e da est?». Todorov fa notare come molti migranti scappino da situazioni di guerra di cui l’Europa è stata responsabile, come in Afghanistan, Libia, Iraq, Mali, Repubblica Centroafricana… «Il risultato di tali scelte militari sono davanti ai nostri occhi: insicurezza sempre più diffusa, inasprimento dei conflitti etnici e religiosi, guerre civili e ora questo flusso di rifugiati che cerca di raggiungere un’oasi di pace e di prosperità». Nessun timore, da parte sua, per l’arrivo di sempre più musulmani: «Non a caso, tutte le grandi religioni e tutte le morali profane raccomandano l’ospitalità e la benevolenza nei confronti dei nuovi arrivati: siamo tutti potenzialmente stranieri e la compassione è una caratteristica insita nel profondo della nostra civiltà. Come non essere sconvolti di fronte alla sorte di esseri umani costretti a fuggire e a pagare una fortuna a trafficanti senza scrupoli, e a rischiare la vita su imbarcazioni inaffidabili o dentro camion frigoriferi?».

 

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