Conviene veramente all'Italia?

Trivellazioni sì, trivellazioni no Breve analisi di un acceso dibattito

Trivellazioni sì, trivellazioni no Breve analisi di un acceso dibattito
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Negli ultimi giorni si è riaperta, con toni ben più accesi che in precedenza, la discussione attorno alle attività di esplorazione dei giacimenti di idrocarburi nel territorio italiano. Allo scadere del 2015, infatti, il governo Renzi, attraverso un documento “marchiato” ministero dello Sviluppo Economico, ha assegnato diverse concessioni per le ricerche e lo sfruttamento, precisamente 90 permessi di ricerca per la terraferma e 24 per i fondali marini. Nello specifico, come riporta L’Espresso, il 22 dicembre, sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi, sono stati pubblicati alcuni decreti, due dei quali riguardano zone molto “calde” in tal senso: il 176, infatti, concede alla società irlandese Petroceltic il permesso di ricercare idrocarburi, per 6 anni, al largo della costa delle Tremiti. Un’area grande 370 chilometri quadrati con un incasso per lo Stato, almeno finché non verrà trovato gas o petrolio, di circa 1.900 euro l'anno. Il secondo è il decreto 175, che concede invece alla società britannica Rockhopper il rinnovo del permesso di ricerca per un altro anno, fino al 31 dicembre 2016, nell’area del giacimento Ombrina Mare 2, situata in Abruzzo, a metà strada fra Pescara e Vasto, da anni al centro delle proteste dei “No Triv”.

 

federica guidi ansa

 

Lo scontro governo-Regioni. Naturalmente la notizia ha scatenato le ire delle tante associazioni ambientaliste che da anni lottano affinché attività di questo tipo non avvengano in Italia, ma anche di diversi presidenti di Regioni, che da tempo portano avanti una battaglia affinché sia la cittadinanza a esprimersi sul tema attraverso un referendum. La richiesta di un referendum è stata avanzata da 10 Regioni (Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Marche, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise), con la Corte di Cassazione che il 26 novembre ha accolto i sei quesiti referendari così come deliberati dalle Assemblee delle stesse. Dopo gli interventi del Governo, però, cinque di questi quesiti referendari sono stati praticamente annullati e ne è sopravvissuto soltanto uno, quello che riguarda la durata delle autorizzazioni a trivellare, sul quale la Consulta dovrebbe esprimersi nelle prossime ore. Attualmente il permesso di estrarre vale per l’intera vita del giacimento: i referendari chiedono di cancellare questo automatismo.

La situazione ha fatto letteralmente infuriare il governatore pugliese Michele Emiliano, che ha parlato di «tradimento da parte di Renzi» e che ha definito la scelta del governo «una vergogna». A rispondere agli attacchi è stato il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, la quale afferma che la discussione sollevatasi sia «un polverone pretestuoso e strumentale: non c'è nessuna trivellazione». In un successivo comunicato stampa, il ministero dello Sviluppo Economico fa riferimento solo al permesso rilasciato alla Petroceltic, di fronte alle Tremiti, un permesso che «riguarda soltanto, e in una zona oltre le 12 miglia, la prospezione geofisica e non prevede alcuna perforazione che, comunque, non potrebbe essere autorizzata se non sulla base di una specifica valutazione di impatto ambientale. Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, conosce benissimo i termini esatti della questione». Come dire: è vero che è stato rilasciato un nuovo permesso di ricerca, ma davanti alle Tremiti si faranno solo rilevamenti geofisici. Emiliano lo sa e crea una polemica solo per avere visibilità. Ma la domanda che, in questo momento, si fanno gli italiani è ben più semplice: cercare e trivellare, conviene oppure no all’Italia?

 

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[Mappa delle concessioni di ricerca di giacimenti in Italia del Corriere della Sera]

 

Perché conviene. Naturalmente il primo ad essere convinto della giustizia di questo provvedimento, come anche delle attività di ricerca di idrocarburi e, probabilmente, di successiva estrazione degli stessi, è il governo, supportato anche da Confindustria e da diversi esponenti e teorici del mondo economico italiano. Punto forte di questa posizione sono i numeri: attualmente, infatti, il nostro Paese si trova nella difficile posizione di chi è costretto, per forza di cose, ad acquistare quasi il 90 percento dell’energia di cui ha bisogno (sottoforma di petrolio e gas) dall’estero, con un risicato 10 percento circa di energia prodotta invece attraverso le fonti rinnovabili in Italia. Ciò significa 60 miliardi di euro l’anno spesi dallo Stato per l’approvvigionamento energetico.

Attraverso il tentativo di sfruttare al meglio i giacimenti sul suolo italiano, l’obiettivo è abbassare quel 90 percento di combustibili acquistati dall’estero al 67 percento entro il 2020, favorendo sì l’uso delle energie rinnovabili (cosa che comunque costa allo Stato italiano 6 miliardi di euro attraverso gli incentivi fiscali concessi), ma spingendo anche sull’estrazione di gas e petrolio “italiano”. Ciò significherebbe un risparmio di 9 miliardi di euro l’anno, ma soprattutto la creazione di uno spazio da 170 miliardi di euro di investimenti industriali, che vorrebbero dire più Pil e, soprattutto, più lavoro. Tutto ciò, naturalmente, a patto di usare le tecniche di estrazione più avanzate, salvaguardare le ricchezze paesaggistiche italiane e controllare l’operato delle società petrolifere. Chicco Testa, rappresentante del mondo imprenditoriale italiano, intervenuto in un programma di Radio 24 ha affermato: «È ora che il Meridione la smetta di pensare che turismo non possa andare a braccetto con industria. Il turismo non esiste soltanto in zone incontaminate, basta guardare l’area del Garda».

 

rospo-mare-1

 

Perché non conviene. Diametralmente opposta, naturalmente, la posizione delle 10 Regioni che hanno avanzato la proposta di un referendum sul tema e di tante associazioni ambientaliste. La loro tesi è stata riassunta brillantemente da Andrea Carandini, presidente del Fai (Fondo ambientale italiano), che si è detto esterrefatto per le nuove concessioni. «Ma come? Si mettono a rischio ambiente e turismo per due spiccioli e quattro gocce di petrolio?». Perché un tasto su cui premono con insistenza gli esponenti dello schieramento “No Triv” è quello degli scarsi vantaggi economici dell’intera iniziativa. Secondo Legambiente le riserve di petrolio che si potrebbero rintracciare sui nostri fondali basterebbero a soddisfare l'intero fabbisogno italiano per 7, massimo 10 settimane l’anno, non di più. Poi saremmo costretti a comprare ancora all’estero. Rossella Muroni, presidente dell’associazione, si chiede: «Ha senso mettere in pericolo la pesca e il turismo per questo?».

Anche dal punto di vista “dell’incasso” l’operazione non sarebbe così vantaggiosa: le società attive in Italia per la produzione di gas e petrolio, ad oggi, pagano circa il 6 percento del ricavato come diritti di sfruttamento (le cosiddette royalties) ai territori in cui operano, per un totale di circa 400 milioni di euro l’anno. Una miseria secondo molti. E, come se non bastasse, questa decisione del governo è giunta proprio in una delle fasi di crisi più forti del petrolio, che ad oggi si scambia sul mercato mondiale a 30 dollari al barile, quota secondo molti destinata a calare ulteriormente nel 2016, a meno che l’Arabia Saudita non cambi nettamente politica. Insomma, non c’era momento peggiore per muoversi.

 

Michele Emiliano alla Sagra del programma a Bari

 

Uno scontro meramente politico. Non sono pochi, però, gli analisti politici convinti che, dietro questa grande battaglia ambientale e energetica, si celi in realtà una battaglia meramente politica. L’Espresso spiega che, sterilizzando con la Legge di Stabilità buona parte dei quesiti referendari, il governo ha lasciato intatto il cardine della legge "Sblocca Italia", che di fatto esclude gli enti locali, in primis le Regioni, dalle decisioni sui temi energetici, considerati strategici e dunque ad esclusivo appannaggio di Roma. Una mossa che le Regioni non accettano. Una buccia di banana assai scivolosa per Renzi, che sta facendo di tutto per evitare il referendum sulle trivellazioni: il Pd, infatti, al suo interno non sarebbe affatto compatto sul tema e un possibile referendum in concomitanza con quello ben più importante (almeno per il premier) sulla riforma costituzionale, previsto per ottobre, potrebbe avere un effetto negativo per il governo. Arrivare al referendum costituzionale con le Regioni del Pd allo scontro con il governo sarebbe quanto di peggio si potesse immaginare Renzi.

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