Mentre il cinese Xi Jinping...

Trump dice no alla globalizzazione (segno che il mondo è cambiato)

Trump dice no alla globalizzazione (segno che il mondo è cambiato)
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Segnatevi la data: 20 gennaio, fine dell’era della globalizzazione. Con il cambio di guardia alla Casa Bianca e l’insediamento di Donald Trump finisce un’epoca. O meglio, come precisa Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia e personaggio di grandi visioni, è la fine di un’utopia. Sui libri storia verrà segnata così: 1996 – 2017 era del consumismo globale. Il 1996 è una data indicata dallo stesso Tremonti: la globalizzazione venne lanciata nel gennaio del 1996 col secondo mandato alla Casa Bianca di Bill Clinton, immaginata come l’anno zero dell’umanità, articolata come progetto di creazione dell’uomo nuovo e di un mondo nuovo.

 

 

Quali sono state le parole d’ordine della globalizzazione? Esportazione della democrazia come veicolo ideale per una crescita economica senza fine, grazie alla conquista di nuove enormi platee di consumatori. Quindi abbattimento delle frontiere, libera circolazione e grandi accordi commerciali, che hanno cercato di farsi strada anche con veri capovolgimenti politici, com’è accaduto con la serie delle primavere arabe. Con la sua grande capacità di spiegare la storia per metafore, Tremonti dice che è stata la vittoria di Creso sul potere. Cioè il potere è passato tutto nelle mani di chi gestisce il denaro. Con scivoloni drammatici come quello accaduto nel 2007 con la bolla dei subprime che ancora buona parte del mondo sta pagando.

E oggi perché finisce quest’epoca? Perché il denaro, per quanto potente, si è dimostrato non in grado di garantire l’ordine del mondo e ha lasciato crescere fenomeni che sempre più finiscono fuori controllo. Non è un caso che tre giorni dopo il 20 gennaio, ad Astana, prendano il via i colloqui di pace per la Siria: al tavolo ci saranno tutte le potenze regionali, guidate dalla Russia di Putin. Comunque la si pensi sulla guerra che ha sconvolto negli ultimi otto anni il grande Paese mediorientale, e che attraverso il terrorismo ha tenuto in scacco l’Europa, questa iniziativa rappresenta una svolta: è la politica, che con metodi anche brutali, riprende le redini della situazione.

 

 

Al tavolo emblematicamente mancheranno gli Stati Uniti. Ma quel vuoto è il vuoto lasciato dagli Stati Uniti di Obama, a testimonianza di una presidenza che non ha saputo capire che si era di fronte a un cambio d’epoca e che è rimasta sino all’ultimo sulle barricate della globalizzazione. Ed è una strategia che ha portato alla sconfitta elettorale: perché il problema non era solo quello di ordine geopolitico ma anche di ordine sociale. E all’interno della società americana in troppi avevano pagato, con l’impoverimento e la precarizzazione del lavoro, il prezzo della globalizzazione.

Ora è arrivato Trump e come primo segnale di discontinuità ha lanciato un’alleanza politica con la Russia di Putin: per tutte e due le potenze la priorità è la difesa dei rispettivi interessi nazionali, compresi quelli economici. Dove però l’economia è soprattutto quella reale, quella cioè in grado di garantire posti di lavoro; e non quella finanziaria e virtuale, che è solo un moltiplicatore di fortune per un’elite di fortunati miliardari.

 

 

Nella lettura politica della coppia Putin e Trump emerge con chiarezza che il “nemico” è la potenza che sulla globalizzazione ha costruito la sua formidabile crescita e che oggi viene vista come un pericolo da arginare: cioè la Cina, che in dieci anni ha visto quintuplicare il reddito pro capite dei suoi abitanti e il cui Pil è ormai vicino a quello americano. Non è un caso che il presidente cinese Xi Jinping per la prima volta nella storia si sia presentato in questi giorni al consesso più esclusivo del capitalismo mondiale, il World Economic Forum di Davos. Un comunista che cerca un’alleanza con i miliardari globali perché i loro interessi sono convergenti. A Davos è stato invitato anche Giulio Tremonti. Chissà che dirà all’orecchio di Xi Jinping...

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