Scarseggiano zucchero e acqua

Venezuela, Namibia, India Perché si dice stop alla Coca Cola

Venezuela, Namibia, India Perché si dice stop alla Coca Cola
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La Coca Cola ha da poco compiuto 130 anni e continua a essere una delle bibite più bevute in tutto il mondo. Nata come rimedio per mal di testa e stanchezza, è diventata il simbolo della globalizzazione e il suo è il logo più famoso del pianeta. La ricetta originale è sempre stata top secret, motivo per cui i numerosi tentativi di imitazione non sono mai andati a buon fine, e nessuno eccetto i produttori ha mai saputo quale fosse il vero elenco di tutti gli ingredienti contenuti. Quel che è certo è che la Coca Cola è composta in gran parte da acqua e zucchero, più una serie di estratti, aromi e coloranti. Un mix di ingredienti da sempre oggetto di critiche per i danni alla salute che esso comporta. Obesità in primis. Ma le cose stanno cambiando, e accanto a una maggiore attenzione da parte dell’azienda produttrice alla salute, ci sono problemi di reperimento delle materie prime che costringono la Coca Cola a cambiare strategia.

 

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Il caso di Caracas. È proprio lo zucchero, o meglio la sua scarsità, che ha determinato la scelta dell’azienda di sospendere la produzione della bibita in Venezuela. Il Paese sta attraversando una pesantissima crisi economica che sembra essere giunta a un punto di non ritorno, con un’inflazione destinata a superare il 700 percento. Anche il cibo comincia a scarseggiare e i fornitori hanno dichiarato l’indisponibilità della materia prima per la produzione di Coca Cola. Da Atlanta, quartier generale della multinazionale, hanno fatto sapere che negli stabilimenti venezuelani si continuerà a produrre e imbottigliare la versione senza zucchero, almeno per il momento.

 

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La Namibia e la siccità. In Namibia le cose non vanno meglio per via della siccità. I terribili effetti del Nino stanno provocando una scarsità d’acqua senza precedenti nel Paese, il che ha costretto a ridurre la fornitura e contingentare le scarse risorse idriche. In particolare, per quanto riguarda lo stabilimento di Windhoeck, capitale della Namibia, è stata decisa una riduzione del 30 percento dell’acqua a disposizione. Una decisione che ha spinto la locale sede della multinazionale di Atlanta a sospendere la produzione della Coca Cola nelle bottiglie di vetro da un litro in tutto il Paese. D'ora in poi verranno importate dal Sudafrica. Il resto della produzione, invece, continuerà solo nella fabbrica di Oshakati, nel nord della Namibia.

 

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Il caso Bolivia e il Sudamerica. Acqua e zucchero a parte, sono molti i Paesi che per vari motivi hanno boicottato o vietato la commercializzazione e la produzione della Coca Cola. E se è vero che la bibita si sta apprestando a sbarcare a Cuba, è altrettanto vero che già nel 2012 il presidente boliviano Evo Morales, prendendo spunto dalla fine del mondo del calendario Maya, il 21 dicembre di quell’anno, vietò la vendita della famosa bibita gassata nel Paese. La motivazione aveva una forte valenza simbolica, essendo la Coca Cola il simbolo del capitalismo “made in USA”, condita con ragioni di natura economica. Tra gli ingredienti della Coca Cola ci sono degli estratti provenienti dalle foglie della pianta di coca privati delle sostanze tossiche.

Morales, vietando la bibita, ha voluto in parte proteggere le piantagioni di coca e chi vi lavora. In Sudamerica, infatti, la Coca Cola ha alle spalle una lunga storia di sfruttamento, inquinamento, condizionamenti politici. In Colombia la multinazionale, per mano della sua filiale Panamco S.A., è accusata di sfruttare da quasi trent’anni la corruzione del governo nazionale e la tensione sociale del paese per imporre condizioni inumane ai propri lavoratori e attuare strategie di repressione verso le organizzazioni sindacali. In particolare, Coca-Cola Company è accusata di essere responsabile di una campagna repressiva attuata per mezzo degli squadroni della morte dei paramilitari colombiani.

 

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In India è guerra. Si può dire, però, che la guerra più aspra alla Coca Cola, o meglio alla multinazionale che la produce, sia stata condotta dall’India. Anche in questo caso per via dello sfruttamento delle risorse, acqua in particolare. Recentemente la Coca Cola ha fermato la sua produzione in 3 stabilimenti indiani, cedendo alle pressioni dei contadini che da oltre 10 anni stavano protestando contro la multinazionale di Atlanta e contro la concorrente Pepsi accusandole di derubare le risorse idriche destinate alle campagne, di usurpare le terre delle comunità contadine e di inquinare il suolo, attraverso il rilascio nel terreno di sostanze chimiche usate per il riutilizzo delle bottiglie. Ufficialmente dal quartier generale dell'azienda hanno motivato la chiusura degli stabilimenti con la necessità di riorganizzazione causata dalla mancanza di domanda in quelle regioni, ma già nel 2005 era stato chiuso l’impianto del Kerala in seguito alle proteste delle comunità rurali.

 

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E in Russia? Anche dalla Russia le notizie che arrivano non sono buone, poiché la Coca Cola lo scorso Natale è finita nel mirino della Duma, il parlamento russo, per aver realizzato uno spot pubblicitario di auguri in cui si vedeva la mappa della Russia senza la Crimea. Immediate le proteste che hanno portato a una sostituzione del post con un altro che aveva la cartina geografica “corretta”. Ma a quel punto a protestare è stato Kiev e il post è stato del tutto rimosso dal web. Incidente finito? Non del tutto, perché il presidente Putin, ancora ferito dalle sanzioni occidentali, potrebbe rispolverare la vecchia proposta del 2014 di proibire il consumo di bevande straniere nelle occasioni ufficiali e razionalizzare quindi anche la Coca Cola.

 

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