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I 20 cognomi più diffusi a Bergamo

I 20 cognomi più diffusi a Bergamo
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Qualche tempo fa abbiamo pubblicato un articolo sui cognomi più diffusi a Milano e avevamo scoperto che i Rossi sono seguiti da vicino dagli Hu. A Bergamo, invece, non si rileva nessuna sorpresa che possa interessare gli studiosi di geopolitica: le venti “famiglie” più numerose sono tutte locali.

Rota. La maggior parte dei bergamaschi fa Rota di cognome (in tutto sono 2.891) e questo non meraviglia nessuno. I nobili e guelfi Rota sono originari dell’omonimo paese della Valle Imagna. Alcuni ritengono che sia questo il motivo per cui i Rota si chiamano Rota, ma è altrettanto verosimile che sia stato il paese a prendere il nome dalla famiglia, e non viceversa – insomma, è la nota questione dell’uovo e della gallina. Altri sostengono invece che Rota sia un latinismo: rŏta significa ruota, che difatti è raffigurata nello stemma di famiglia. Secondo altri ancora, Rota deriverebbe dal longobardo Rot har, cioè «Rosso di pelo». Rothar, peraltro, era il nome del duca longobardo meglio conosciuto come Rotari. Il duca di Bergamo e Brescia è ricordato anche per avere promulgato nel 643 un editto di tipo legislativo, il celebre Editto di Rotari. Si trattava della prima volta, nella storia del suo popolo, che le norme del sovrano erano messe per iscritto, un chiaro segno che i barbari longobardi stavano assimilando la cultura degli ormai decaduti romani. I Rota, che siano discendenti di Rotari o che abbiano avuto più modeste origini, si distinsero comunque nel corso dei secoli per avere messo al mondo cavalieri, uomini d’arme e magistrati.

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Locatelli. A seguire c’è la grande tribù dei Locatelli (se ne contano 2.682), nativi del paese di Locatello, sempre nella Valle Imagna. In questo caso parrebbe non esserci dubbio alcuno sull’origine del nome, che infatti deriva dal celtico leukos, «piccolo feudo». Affermatisi come agiati mercanti di lana, notabili e possidenti, ebbero tuttavia la sventura di essere guelfi fino al midollo – e dico la sventura, perché quando Bernabò Visconti prese le redini del Ducato di Milano, intorno alla metà del Trecento, incominciò a imporre tasse e dazi ai «mercatanti» Locatelli, che iniziarono ad accusare il colpo. La caduta della famiglia fu definitiva dopo il crollo del Ponte della Regina sul Brembo, avvenuto nel 1493 per una piena eccezionale del fiume.

Ci permettiamo, a questo punto, una breve nota di natura eziologica: il Ponte della Regina fu così chiamato, perché il popolo riteneva che fosse di età longobarda e che fosse stato voluto dalla regina Teodolinda. In realtà, la costruzione della struttura risaliva all’età traianea, cioè ai Romani, abili ingegneri. I resti del ponte sono ancora visibili ad Almenno San Salvatore. L’impraticabilità della via di collegamento con Como, da un lato, e con il Friuli, dall’altro, fece morire d’inedia i traffici commerciali dei Locatelli.

Il tracollo negli affari e le pressioni esercitate dai Suardi, ghibellini, indussero una parte di loro a emigrare nel lecchese e in Valsassina, dove infatti vivono ancora oggi molti dei loro discendenti. Dai vari rami della famiglia nacquero personaggi illustri. Tra i più notabili c’è l’antenato Alberto Locatelli, nominato barone del castello di Locatello dal sovrano Federico II di Svevia, nel Duecento. Molti secoli più tardi, nel Seicento, Domenico Locatelli fu un apprezzato attore della Commedia dell’Arte in Francia e nel Settecento un Michelangelo Locatelli ospitò Mozart a Verona. Giacomo, vissuto tra Ottocento e Novecento, si distinse invece per essere un abilissimo organaro. Dopo essere entrato garzone nella Fabbrica d'Organi dei Fratelli Serassi, fu infatti responsabile del montaggio dell’organo Serassi nella Basilica Ostiense di S. Paolo in Roma, nel 1858, e di quello nell'insigne Regia Basilica di San Lorenzo in Firenze, nel 1865. Per avere un’idea della difficoltà dell’impresa, basti pensare che l’organo ha tre tastiere di settanta tasti ciascuna. Ben presto, Giacomo fondò una ditta tutta sua e, agli albori del Novecento, incominciò ad esportare organi in America del Sud. La sua attività durò fino al 1917, quando viene rilevata dal capofabbrica Canuto Cornolti.

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Carrara. Terzi nella classifica dei cognomi bergamaschi sono i Carrara (1.533), originari di Padova, ma scacciati dalla città nel 1234 dal tiranno Ezzelino da Romano, insieme ad altre famiglie. Non si ha alcuna notizia dei Carrara a Bergamo, fino a quando due cavalieri di Ottone I, i fratelli Ceronius e Carrerius, approdarono in Valle Brembana superiore. Stanchi di battagliare e di vivere all’addiaccio, decisero di fermarsi in quella valle che tanto assomigliava alle terre teutoniche in cui erano nati. Fondarono così Lepreno (il primo) e Serina (il secondo), ponendo le basi per la presenza della famiglia sul territorio - una famiglia di illustre prosapia, dato che il Conte Giacomo, erudito e collezionista d’arte, fondò la celebre Accademia. Una certa vena militaresca continuò però a correre in seno alla famiglia, dato che tre di loro si fecero Garibaldini per amor della patria: Antonio Pietro, Giuseppe Antonio, Giuseppe Santo.

Belotti e Carminati. Meno numerosi dei Carrara sono i Belotti (1.514). Sulla loro storia circolano poche notizie, ma quelle reperibili confermano la lunga vocazione alla mercatura, attività che ha sempre fruttato loro lauti guadagni. I Carminati (1.483), subito dopo i Belotti, erano invece gli antichi castellani del monte Ubione, in Val Brembilla, e difensori della rocca di Ca’ Eminente. Nel 1428, quando il territorio bergamasco passò sotto il controllo di Venezia, la ruota della fortuna girò a loro sfavore. I Carminati erano ghibellini, Venezia guelfa, anzi guelfissima. Si capisce bene che non potevano andare d’accordo, e così fu. I villaggi della Valle furono purtroppo distrutti e gli abitanti costretti all’esilio. I Carminati si spersero tra Treviglio, il lodigiano e il milanese. Tra loro si sarebbe distinto Giovanni Battista, che nel 1655 annunciò per primo la vittoria delle truppe cristiane contro i Turchi, riportata nello stretto dei Dardanelli. Un po’ come il greco di Maratona, con la differenza che non ci fu nessuna corsa a strappacuore. La prontezza con cui diede la notizia, in ogni caso, valse al Carminati onori e regalie, di cui ebbe modo di godere, crediamo, in tutta salute.

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Cattaneo. Dopo gli “indigeni” Carminati, ecco presentarsi un’altra gens che viene da fuori: i Cattaneo (1.267) hanno infatti radici genovesi. Il loro cognome è frutto di un’alleanza strategica, di una consorteria insomma, e ha, fatto notevolissimo, persino un atto di nascita, con tanto di data e di firme in calce. Nell’anno del Signore 1309, i Della Volta, i Mallone, i Bustarino, i Marchione, gli Stancone, gli Ingone e i Libertino decisero di unirsi in un’associazione e fondarono l’«albergo» dei Cattaneo, uno dei tanti che esistevano allora a Genova (nota bene: per albergo si intende un gruppo di famiglie nobili, legate da vincoli di sangue e da comuni interessi, economici e politici). Da allora, e per molto tempo, coloro che facevano parte dell’alleanza usavano anteporre al loro cognome originario quello di Cattaneo: Cattaneus olim De Volta. Il nome Cattaneo fu affibbiato loro addirittura da Federico Barbarossa, che insignì di questa carica («cattaneo» è il signore di castello) Ingo II de Volta, ambasciatore di Genova a Pavia.

Rossi, Ferrari e Mazzoleni. Ci sono poi i Rossi (1.190), che si dice discendere da Ugone il Rosso, figlio del re normanno Guglielmo d’Altavilla, i Ferrari (1.154), nati da una stirpe di fabbri e i Mazzoleni (1.132), originari di Vicenza e iscritti nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana nel 1899.

Cortinovis, Pesenti e Milesi. I Cortinovis (1.104), come i Belotti, si sono distinti per la loro attività di mercanti. Il nucleo originario proviene da Trafficanti, comune di Costa Serina posto sulla Via Mercatorum, tra Bergamo e l’Alta Valle Brembana. È probabile che il paese sia stato così chiamato da un Cortinovis, Lorenzo, detto anche Lorenzino trafficante.

Seguono i Pesenti (di questi, 1.071), dal comune toscano di Pescia, e i Milesi (845). Il nome deriva dal latino miles, soldato, oppure dalla provincia romana Melense in Francia. A quanto pare, infatti, un ramo della stirpe vive tuttora Oltralpe, nella regione di Bordogna. La parte “nostrana” della famiglia è dell’Alta Valle Brembana, dove si è dedicata all’attività mineraria fin dal Cinquecento. I Milesi sembrano avere una propria dote per i metalli e i minerali: nell’Italia centrale, infatti, sono famosi maestri di forni di fusione.

 

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Ravasio e Salvi. Torniamo a famiglie di ceppo germanico con i Ravasio (in numero di 835). Il nome ha due spiegazioni, entrambe plausibili: da rava, che nella lingua dei Celti liguri significa «frana», e –asio, suffisso celtico che si riferisce a luoghi ricchi di acqua; oppure da rawa, voce del germanico medievale che ha il significato di pace. I Ravasio, dunque, sarebbero i «portatori di pace».

Come questi, anche i Salvi (alla conta sono 832) potrebbero avere delle radici celte, come informano le fonti: i Salii, infatti, erano una tribù celtica, così chiamata perché si occupata delle attività connesse alle saline. Salii, aggiungiamo, erano però anche dei sacerdoti romani, dediti a riti di fertilità che prevedevano canti, i carmina saliares, e danze con salti (da salio, appunto). Ma questa è già un’altra storia.

Vitali, Manzoni, Gritti, Previtali, Colombo e Ghilardi. In fondo alla classifica troviamo i Vitali (830), dall’aggettivo latino vitalis,e, di evidente significato, e i Manzoni (ce ne sono 748), nobili lombardi tra i cui membri celebri va annoverato il conte Alessandro, il celebre e odiatoamato autore dei Promessi sposi.

Il capostipite dei Gritti (in tutto 738) circola una storia curiosa. Salvino, questo il nome dell’antenato, era stanco delle contese tra guelfi e ghibellini e, per cercare un po’ di quiete e di tranquillità, decise di portare la sua famiglia su un monte. La casa super partes prese il nome di Selvino, i discendenti si moltiplicarono e la dimora si sviluppò in un borgo, con tanto di castello sul monte Podona. A un certo punto della loro storia, i Gritti si unirono poi alla famiglia Morlacchi, ragion per cui sono talvolta chiamati anche Gritti Morlacchi.

Seguono i Previtali (n. 731), ramo, poi divenuto albero, che esce dal ceppo dei Vitali. La nascita dei Previtali si attribuisce infatti a un certo pré Vitali, un Vitale divenuto prete (anche se è probabile che fossero stati più d’uno).

Agli ultimi due posti, infine, ci sono gli onnipresenti Colombo (in numero di 729), famiglia ligure, e poi anche spagnola (Colòn), che ha tra i suoi membri Cristoforo, scopritore del Nuovo Mondo, e i Ghilardi (in 728), famiglia originaria della Spagna.

[La classifica è stata ricavata dal sito www.cognomix.it]

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