Il sogno di una vita

Il Gianni d’Albino canta i Beatles tradotti in dialetto bergamasco

Il Gianni d’Albino canta i Beatles tradotti in dialetto bergamasco
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«Imagina sènsa ‘l Paradìs / Se tél proèt l’è bèl fa / Gna ù infèren sóta i pe / ma sura ‘l có domà del cél...». Giovanni Carrara, per tutti Gianni, ha vissuto appieno, dai loro inizi, il mito dei Fab Four, i fantastici quattro baronetti di Liverpool. Nato nel 1947 ad Albino, Gianni è un fiume in piena di ricordi e passioni che lo portano a impegnarsi in un progetto musicale per far rivivere un fenomeno globale in forma locale. Le canzoni dei Beatles in dialetto bergamasco.

 

[Gianni Carrara a destra con il gruppo Ombre]

 

Quando ha iniziato a suonare?

«All’età di circa sei anni. Quando abitavo in “piasa Campér” ad Albino Alta, nel cortile di casa, un ragazzo di una decina d’anni più di me suonava spesso il mandolino, verso Natale questo giovane musicista si trovava con altri ragazzi per preparare i canti natalizi da portare, nei giorni di festa, lungo le strade del paese e nelle case. Mia mamma mi lasciava scendere in cortile per poterli ascoltare. Oltre alle pastorali suonavano anche alcuni motivi in voga all’epoca. Quei momenti di gioia diedero il “là” alla mia passione per la musica che ho coltivato in tutti questi anni. Dopo le elementari frequentai l’avviamento al lavoro, tra le materie la musica e una brava insegnante. Fui talmente affascinato dalle sette note che convinsi mio padre a lasciarmi partecipare alla scuola di musica della banda, per imparare uno strumento. A quel tempo la sede era all’interno del Cotonificio Honegger, promotori e finanziatori di questa iniziativa. Dopo un anno di solfeggio si poteva passare allo strumento e riuscii a farmi dare un vecchio sassofono, così iniziai a suonare nella banda».

Ma puntava ad altro.

«Sì, il mio sogno era di suonare nelle sale da ballo. Il mio percorso extra-banda partì in oratorio con il complesso dei Jolly e poi i Crickèt. Cominciavamo i nostri piccoli tour per suonare alle feste o come gruppo spalla alle recite teatrali, molto frequenti in quegli anni, in particolare quelle della compagnia fondata da don Giuseppe Rizzi».

Ed eccoci arrivati al 1962, data cruciale: nascono i Beatles e pubblicano il loro primo brano Love Me Do.

«In Italia arrivò verso la fine del 1963, erano altri tempi, tutto era più lento. Quella musica fu per me una folgorazione, peccato che il sassofono non fosse contemplato. Non abbandonai lo strumento, ma non potevo che imparare a suonarne un altro, la chitarra. Da quel momento ho formato e partecipato ai miei primi gruppi beat, suonavamo nelle sale da ballo. Al ritorno dal militare presi parte ad altri gruppi molto forti come “I Tappi” e l’Orchestra “Roby de Niro”. Di giorno lavoravo ma di sera e nei fine settimana il mio tempo era dedicato alle prove e alle serate nelle balere, anche fuori provincia, dove proponevamo parecchi brani dei Beatles in inglese (senza conoscerne il significato) e in italiano nelle traduzioni di grandi autori come Mogol. Con la pensione, avendo più tempo, entrai a far parte dell’orchestra “I Barry”, girammo mezza Italia per sei anni».

Come è nata l’idea di tradurre le liriche dei Beatles in bergamasco?

«Faccio un passo indietro: negli anni Novanta suonavo nell’orchestra “Live Music” che proponeva anche cover dei successi dei Beatles. Nel nostro ensamble c’era una cantante, Laura Bettini, laureata in lingue che conosceva perfettamente l’inglese; mi disse: “Ma cosa stai cantando, cosa dici?”, io risposi “Quello che c’è scritto sulla parte che è la traduzione prodotta dai migliori parolieri italiani”. “Ma qui – aggiunse Laura - è tutto storpiato, la melodia e la metrica è rispettata ma il significato delle canzoni è un altro”. Fu così che mi feci tradurre letteralmente le prime canzoni dei Beatles in italiano, scoprendo che raccontavano altre storie rispetto ai testi che cantavamo. Mi aprì gli occhi. “Fino ad ora che cavolo avevo cantato?”, mi dissi. Con i testi in italiano fedeli all’originale cominciai a sperimentare l’adattamento musicale, molto difficile, se non impossibile, con la nostra lingua. Pensai così di tradurli a loro volta in dialetto bergamasco, lingua prima per me, che considero anche più malleabile nelle sfumature, con la possibilità di colorarla con luoghi, detti e proverbi. Il progetto era nato, l’idea mi piaceva e si prestava: far parlare alcuni evergreen internazionali con la lingua della mia terra, legandoli così al nostro territorio».

 

 

Quando ha iniziato la realizzazione di questo progetto?

«Circa quindici anni fa con la canzone In My Life diventata In da me eta. Ho tradotto e “bozzato” circa 120 canzoni, alcune complete, altre ferme in attesa di quella parolina che ancora non arriva. Quando completo una canzone nel rispetto della storia per me è il massimo... e poi sotto con un’altra. Le canzoni che ho riadattato fanno parte del repertorio dei Beatles, sia quelle scritte da loro che le cover che adattavano al loro inconfondibile stile, ma ho dato spazio anche ad alcuni motivi incisi da Lennon e McCartney nei loro rispettivi percorsi solisti».

Avrà uno sbocco pubblico questo enorme lavoro?

«Ho inciso un album, pronto ma non ancora pubblicato, si intitola De che a là de la mènega e comprende tredici brani. Nel lavoro di registrazione, realizzato nello studio che ho allestito nella mia abitazione, sono stato aiutato con entusiasmo da Michele Mutti, un bravo musicista albinese, sia dal punto di vista tecnico che artistico. Il cd conterrà anche un libretto, ogni canzone con la sua storia».

I testi sono perfettamente fedeli?

«Sì, in alcune canzoni ho semplicemente adattato al nostro territorio alcuni nomi o luoghi lontani, così la “California” è diventata “Bont Petèl” e “Penny Lane” nella quale Paul McCartney raccontava la storia di quand’era bambino è diventata “Piasa Campér” dove io racconto la mia di storia... Manca ora solo la liberatoria del referente dai Beatles, in Italia è la Sony Music Publishing con sede a Milano, e il sogno si realizza».

Suona ancora?

«In pubblico no, ma un musicista non va mai in pensione, mi sono fatto uno studio in casa e suono ancora per un paio d’ore ogni giorno. E sono sempre più innamorato dei Beatles, tanto da collezionare tutto ciò che è legato a loro, e li leggo, e li vedo, e li ascolto, e li studio».

Ultimamente sta lavorando a Imagine: «Pure questa è una poesia». Prende in braccio la chitarra e ce la fa sentire.

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