Si chiama Bandar Mahshahr

La città in cui il termometro è a 74°C E poi ci lamentiamo della nostra afa!

La città in cui il termometro è a 74°C E poi ci lamentiamo della nostra afa!
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Ci lamentiamo del «caldo che fa», dell’afa e dell’umidità, ma c’è chi sta (molto) peggio di noi. La città di Bandar Mahshahr, in Iran, è diventata il luogo più caldo del nostro pianeta il 31 luglio scorso, quando la temperatura percepita è stata di 74 gradi Celsius; il giorno prima era stata invece di 70 gradi. I centomila abitanti della cittadina portuale che si trova nell’ovest dell’Iran si difendono come possono dal clima infuocato, ma è superfluo notare che 70 gradi non sono facili da “ingannare” con aria condizionata e un po’ di anguria fresca.

Iran, un paese caldissimo (per l’umidità). Bandar Mahshahr, affacciata sul Golfo Persico, è così ferocemente calda soprattutto per via dell’umidità. Le acque del Golfo, infatti, hanno di per sé una temperatura superiore ai 30 gradi e questo causa una delle più dure condizioni di umidità del mondo, accentuata dal vento caldo che si alza dal mare. Non a caso il 31 luglio la temperatura effettiva era di 45 gradi, ma il vapore acqueo presente nell’aria l’ha portata d’un balzo ai 70 percepiti: un vero inferno climatico.

L’Iran ha altre città calde senza redenzione, come Jask, una città di circa 10mila abitanti che si trova nel sud dell’Iran, anch’essa affacciata sul Golfo Persico, e di poco più “fresca” di Bandar Mashahr. Ad Ahvaz, nella provincia petrolifera del Khuzestan, a volte la temperatura supera i 50 gradi a luglio; in questo caso, non è l’umidità, ma l’inquinamento, il maggiore responsabile delle caldissime temperature.

 

 

I valori altissimi di fine luglio, del resto, fanno parte di un’ondata di caldo che ha investito tutto il Medio Oriente, e non solo l’Iran. Giovedì 30 luglio a Baghdad, in Iraq, la temperatura è stata di ben 50 gradi. Il caldo, l’inquinamento, le infrastrutture inefficienti e il servizio idrico disastroso, soprattutto per le fasce di popolazione più povere, causano centinaia di decessi. A Karachi, in Pakistan, il mese scorso sono morte 780 persone per la calura, mentre a Delhi, in India, c’è stato un picco nei ricoveri ospedalieri per colpi di calore a maggio, quando la temperatura ha superato i 45 gradi.

Il caldo è una questione molto seria. Le città mediorientali sono sfavorite dalla posizione geografica e da altri fattori ambientali, ma è indubbio che anche il contesto cittadino incide non poco sul clima. Il caldo, infatti, influisce non poco sui problemi causati dall’inquinamento. La Banca mondiale si è già occupata dell’aria irrespirabile in alcune delle più grandi città del Medio Oriente.

Dal recente rapporto intitolato Turn down the heat sembra che la situazione sia destinata a peggiorare a causa del cambiamento climatico – anche se servirebbero proiezioni più accurate. I dati non sono in grado di stabilire le conseguenze sulla salute della combinazione tra caldo e inquinamento, ma è certo che esse saranno molto più gravi per chi non potrà permettersi cure adeguate o un trasferimento in una città meno calda. La questione del caldo estivo, dunque, è evidentemente uno dei tanti elementi che alimentano il divario tra ricchi e poveri. Una faccenda seria, che decide della sopravvivenza o meno delle persone.

 

 

Un possibile rimedio. Ma un rimedio, anche se parziale, esiste. Il caldo aggravato dalla concentrazione urbana non è un problema solo mediorientale, infatti, e in alcune città si sono già presi dei provvedimenti. A Melbourne, ad esempio, si sono piantate delle vere e proprie foreste urbane, per affrontare il problema delle temperature sempre più alte. L’assessore all’ambiente dell’amministrazione cittadina, Arron Wood, ha dichiarato che intende raddoppiare l’estensione della superficie boschiva nei prossimi vent’anni, per passare dal 22 al 40 percento: «Sappiamo in base ad alcune ricerche che questo porterà a un abbassamento della temperatura in città di circa quattro gradi». Di recente, inoltre, Melbourne è stato il luogo di incontro di rappresentanti delle amministrazioni locali provenienti da tutta l’Australia e la Nuova Zelanda per condividere le scoperte relative alla sua strategia di riforestazione urbana – sono le città resilienti, una rete fondata dalla Rockefeller Foundation per rispondere ai cambiamenti climatici, sociali ed economici di questo secolo. Tra queste, per chi ancora non lo sapesse, c’è anche la nostra Milano, unica città italiana insieme a Roma.

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