«Come sono i bergamaschi?»

L’ufficiale pacifista di Azzano che insegna yoga da quarant’anni

L’ufficiale pacifista di Azzano che insegna yoga da quarant’anni
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Sguardo sereno, a tratti severo, una parlata ferma e puntuale: Giuseppe Cicirata, classe 1930, nato a Lentini (Siracusa), nella vita ha ricoperto diversi ruoli all'interno dell’esercito, fino a raggiungere il grado di ufficiale. Da quarant’anni però insegna yoga. «Mi sono iscritto all’accademia militare nel 1948, ho fatto questa scelta perché fin da bambino mi piacevano l’ordine e la disciplina, nonostante una timidezza iniziale, ma una volta entrato in accademia sono riuscito a superare in parte alcuni miei limiti caratteriali». Fa una pausa guardando altrove e gli sfugge un sorriso compiaciuto. «Uscito dall’accademia ci spedivano per tutta Italia, non volevano che ci si potesse lasciare influenzare dalle conoscenze e dai legami creati all’interno con gli altri commilitoni. Perciò con la mia famiglia ho girato molte città, ogni promozione era un trasferimento, siamo stati a Messina, Sassari, Milano, Cagliari, Torino, Roma, Legnano, Trieste e infine Bergamo. Sapevo che non era facile, per i ragazzi, cambiare amicizie e scuola, ma ogni volta che cambiavamo città e dovevamo reinventarci, facevo di tutto per metterli a loro agio, pensavo prima di tutto alla loro istruzione, la famiglia ha sempre avuto la precedenza per me».

 

 

Quanto a Bergamo: «Sono arrivato nel 1985 per lavorare nella Caserma Montelungo e poi alla caserma Flores, tra i quartieri di Campagnola e Boccaleone. A quei tempi la Protezione civile non c’era a Bergamo, perciò ero stato incaricato insieme a un collega maresciallo di gestire il piano di sicurezza del territorio, creare le misure di emergenza e coordinare i diversi apparati presenti sul territorio della provincia. Poco dopo il mio arrivo, il 18 luglio 1987, ci fu il disastro in Valbrembana, quando il Brembo esondò e fece gravi danni: io e la mia squadra intervenimmo subito, dormimmo nelle tende per diversi giorni, il lavoro era tanto e tra vigili del fuoco, carabinieri, esercito, c’era molto da fare e gestire. Fu un lavoro duro ma insieme riuscimmo ad affrontare quel grosso problema».

E sull’accoglienza orobica dice: «Come pensi che potesse essere accolto un meridionale, negli Anni Ottanta in una ricca provincia del Nord, oltretutto in divisa e abituato a comandare? I primi tempi sono stati difficili, nessuno mi chiamava con il mio grado di colonnello e nemmeno mi considerava, sono sempre stato piuttosto riservato e quando, qualche giorno dopo il mio trasloco in condominio, ho sentito una vicina dire “Ecco, ci mancava solo questa”, ammetto di essermi arrabbiato parecchio. Gli unici incontri che avevo fatto con i bergamaschi fino ad allora erano avvenuti durante gli anni dell’esercito, quando dovendo scegliere chi mettere in armeria o in fureria, luoghi molto importanti, sceglievamo sempre i bergamaschi, perché erano precisi, affidabili e bravi lavoratori, ma non sapevo altro. Inizialmente trovai i bergamaschi molto chiusi, freddi e silenziosi. Ma proprio mentre mi ritrovavo a lavorare a stretto contatto con colleghi bergamaschi, ho capito perché Bergamo era stata chiamata “La Città dei Mille”: perché è piena di gente volenterosa, propositiva e sempre disponibile a dare una mano a chi ne ha bisogno. Mi sono ricreduto, ho iniziato ad avere più confidenza e ad allacciare rapporti con più persone, anche qua ad Azzano, e mi sono sentito accolto».

 

 

Da molti anni Pippo, così lo chiamano famigliari ed amici, ha abbracciato lo yoga e la meditazione e da circa quarant’anni la insegna e pratica la naturopatia, sostiene che la pulizia e la purezza del proprio spirito passino dalla riflessione, dall’alimentazione e da uno stile di vita che contempli l’amore verso il prossimo e l’apertura mentale verso gli eventi che la vita ci presenta. È per questo che da qualche tempo lui, ex militare in congedo, parla di non violenza e di rifiuto della guerra. «Ho deciso di entrare nell’esercito perché il ministero che lo gestiva non si chiamava più ministero della Guerra, ma ministero della Difesa. L’attacco e la violenza non possono essere la soluzione ai problemi, usare le armi a scapito del dialogo e del rispetto non sono la risposta più lungimirante per la pace. Produrre armi da impiegare contro civili non farà altro che armare a loro volta queste persone e l’odio non avrà mai fine. È per questo che quando vengo invitato dalle autorità del paese a tenere il discorso delle cerimonie istituzionali del 4 novembre, del 2 giugno o del 25 aprile, non manco mai di ribadire che la guerra deve servire a non ripeterla».

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