Il primo amore non si scorda mai

Quelli che, se mai moriranno, moriranno di certo democristiani

Quelli che, se mai moriranno, moriranno di certo democristiani
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La Prima Repubblica non si scorda mai e si ritrova una volta al mese in un ristorante al confine della città. Ospiti fissi due ex onorevoli e un ex assessore regionale, democristiani di lungo corso. Con loro c’è sempre anche un amico, stasera due. I tre “ex” sono reduci di battaglie memorabili, si conoscono da una vita e pagano a turno. Tema delle serate, che vanno avanti ininterrottamente da vent’anni è (indovinate un po’?) la politica. Il più loquace dei tre è l’ex assessore regionale. Tocca a lui alzare la palla. Poi a turno, e senza mai interrompere il ragionamento dell’altro, esporranno domande e pronunceranno giudizi. Primo tema, in attesa dell’antipasto, le promesse elettorali.

 

 

Antipasto di pesce. «Le promesse sono state esagerate» esclama l’onorevole più anziano snocciolando numeri che dimostrerebbero l’impossibilità della “Flat tax” proposta dal centrodestra e del reddito di cittadinanza di matrice grillina. «Dovranno partire dal 29 per cento, poi vedranno come si mette», ribatte l’ex assessore. A suscitare sconcerto però è la proposta di Grasso di rendere gratuita l’università . «Dunque – commenta il secondo onorevole – se fossi giovane avrei un reddito di cittadinanza, mi iscriverei gratis all’università e vivrei in casa coi genitori. Sveglia a mezzogiorno, il pomeriggio navigherei un po’ in internet e la sera in birreria con gli amici. Tutti incentivi a non far niente. È il Paese dei Balocchi». Mi inserisco nel discorso con tono provocatorio: «Non è che ai vostri tempi mancassero le promesse elettorali irrealizzabili». Le forchette restano, per così dire, a mezz’aria. «No – riprende l’onorevole anziano –, non è sempre stato così. Queste non sono promesse: sono prese in giro. Perché poi i conti devono tornare. Qui sembra di essere a un’asta, tutti giocano a rilanciare senza fare i conti con la realtà».

 

 

Primo piatto. In attesa degli spaghetti il discorso si sposta sui leader, vivisezionati l’uno dopo l’altro. Giudizi severi, che tuttavia non mancano mai di rispetto. «Tu considera – mi dice il primo onorevole –, che Berlusconi ne ha combinate peggio di Bertoldo e che oggi è diventato di nuovo accettabile...». La frase resta in sospeso, come a dire: non c’è più religione e tantomeno politica. «Salvini?». «Non saprei come definirlo..., però è efficace, studia la battuta che resta in testa alla gente. Per me il vero candidato premier di Berlusconi è Mario Draghi». Il secondo onorevole si occupa del lato sinistro: «Grasso e la Boldrini? Politicamente sono improponibili. Li aveva messi lì Bersani, che allora pensava a gente al di fuori dalla mischia. Un magistrato e una esponente della società civile per ammiccare ai Cinque Stelle. Ma quelli della società civile si sono sempre dimostrati un fallimento». Nessuno sconto neppure a Grillo che – secondo l’ex assessore – «è riuscito a prendere in giro il Paese. Adesso ha rotto con Casaleggio jr e farà fuori Di Maio. Il nuovo sarà Di Battista». Non si capisce da dove arrivino queste informazioni, ma vengono offerte come sicure. E poi c’è la questione preferenze: «Siamo qui in tre che hanno fatto politica attiva. Alle ultime elezioni alle quali abbiamo partecipato il primo di noi ha raccolto nella Bergamasca 42 mila preferenze, io alle regionali 29.500. Tu?», chiede all’altro onorevole. «56mila». «Ecco, il buon Luigi di Maio invece ha preso 31mila voti online su tutto il territorio nazionale. A Napoli alle parlamentarie s’è fermato a 397». La Prima Repubblica si rivolta nell'urna.

 

 

Secondo piatto. Il tema più discusso in assoluto è però Maroni, la cui rinuncia è un enigma. «Perché ha lasciato?» chiede l’onorevole anziano. Le congetture si sprecano: «Perché non si fida della magistratura di Milano e potrebbe essere coinvolto in qualche altra vicenda», ipotizza il primo. «Perché si sarebbe trovato a governare con gli uomini imposti da Salvini», sostiene il secondo. «Perché Berlusconi gli ha prospettato la presidenza del Consiglio nel caso di larghe intese», sancisce il terzo. Alla fine il mistero resta, ma sono tutti d’accordo su un punto: Maroni avrebbe fatto meglio di Fontana, che tuttavia – loro lo sapevano già prima – ha vinto contro Gori grazie al trascinamento delle elezioni politiche. Il voto disgiunto è un’illusione, dice l’ex assessore regionale che snocciola numeri a ripetizione: «Lo fa il due per cento dell’elettorato, dove vuoi andare».

Il dolce. La serata scorre e dopo aver “risistemato il mondo” è il momento della nostalgia. «Noi – confida l’onorevole più anziano – la politica ce l’abbiamo nel sangue. È una passione nata dentro lo scontro ideologico con il Pci: cattolici contro comunisti («A proposito, avete visto come han trattato il Sanga?»), una passione diventata una droga. Neanche dopo tanti anni riusciamo a non interessarcene. Ma era un altro mondo: c’erano i partiti, le sezioni, la gente partecipava: era una vita. Adesso un parlamentare deve solo lisciare il pelo al suo leader per farsi rinominare, non ha neppure bisogno del territorio. Noi avevamo passione, oggi è diventata una professione».

Il caffè e l'ammazzacaffè. Va bene, ma da dove si riparte? La risposta è tenera (o patetica, dipende dai punti di vista): «Dalla Democrazia Cristiana che sta rinascendo e sarà pronta per le prossime elezioni. Abbiamo già il manifesto economico». Questi sono i veri irriducibili. Se mai moriranno, moriranno democristiani.

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