Dopo un'infanzia difficile

Melo da Treviolo, avventure in sella dalle Alpi alle Piramidi (e oltre)

Melo da Treviolo, avventure in sella dalle Alpi alle Piramidi (e oltre)
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Samuele Parimbelli, in arte Melo, è un personaggio che ha tantissime cose da raccontare. A cominciare dall’origine del suo soprannome, con il quale è famoso in tutta la frazione di Albegno, nella quale abita e lavora. «Io per tutti sono Melo. Da sempre. Da quando sono nato. Devo questo soprannome alla mia madrina del battesimo, il cui nonno si chiamava come me Samuele Parimbelli. Solo che a quei tempi, stiamo parlando di circa 150 anni fa, Samuele era un nome da ricchi e, se nascevi povero, non ti potevi chiamare così. Per questo il nonno della mia madrina fu da sempre chiamato Melo. E visto che anch’io mi chiamavo come lui, divenni Melo anch’io».

L'infanzia, la caparbietà e il Giro. Classe 1939, ma ancora giovanotto nello spirito, il Melo così parla di sé: «Ho avuto un’infanzia un po’ difficile. A sei anni ho riportato una lussazione della gamba che ha richiesto un intervento chirurgico, durante il quale, purtroppo, qualcosa è andato storto. La conseguenza è stata che per quasi tre anni sono stato ingessato. Non solo. Da allora mi ritrovo con una gamba più corta di 6,5 centimetri rispetto all’altra». Ma neanche questa menomazione è servita a fermare il suo indomabile spirito d’avventura.

 

 

«Ho cominciato ad andare in bici all’età di 27 anni, quindi relativamente tardi. Macinavo chilometri e chilometri, prima nei paesi limitrofi, poi spingendomi sempre più lontano. Mi documentavo a casa, preparavo i percorsi e poi, armato dell’attrezzatura necessaria, mi mettevo in viaggio. Finché, a 33 anni, i miei amici non mi hanno convinto a partecipare al Giro d’Italia per amatori ed ex professionisti». Quella per lui è stata la prima grande esperienza, grazie alla quale si è guadagnato anche un articolo sulla Gazzetta dello Sport. «Mi chiamavano la Pulce della montagna per la mia bassa statura (sono alto un metro e cinquanta). Tra tutti i corridori ero il più piccolo ma anche il più determinato perché, pur con una gamba più corta dell’altra, non mollavo mai». L’esperienza al Giro d’Italia, anziché placare la sua sete d’avventura, era servita ad alimentarla.

Il giro del mondo in bici: Europa. Così, con l’amico e compagno di pedalate Virginio Medici, aveva deciso di portare le sue due ruote all’estero, percorrendo itinerari suggestivi e affascinanti. Il primo tour è stato quello nei paesi dell’Est. I due amici, partiti da Berlino, toccarono le città di Varsavia, Praga e Vienna, prima di tornare in Italia, dopo 21 giorni e 2.340 chilometri trascorsi in sella alla bici. «Quello è stato l’itinerario più culturale di tutti. Prima di partire, cartine alla mano, organizzavamo e pianificavamo il viaggio nei minimi dettagli perché, quando si percorrono tratti così lunghi, nulla deve essere lasciato al caso».

 

 

Egitto. Dopo i paesi dell’Est, era stata la volta dell’Egitto. «Siamo arrivati al Cairo in aereo, con le nostre bici al seguito. Da lì siamo partiti alla volta di Assuan, percorrendo 800 chilometri all’andata e 800 chilometri al ritorno. L’Egitto ha un fascino speciale, particolare. È stato tutto molto bello, l’unica nota negativa era il troppo caldo. Eravamo in agosto e, in certi momenti, le temperatura erano talmente alte da farci stare male. Costeggiavamo il deserto cercando di percorrere le piste al suo interno solo quando non potevamo proprio farne a meno, anche perché di notte lì l’escursione termica era fortissima, e noi dormivamo nel sacco a pelo sotto gli alberi».

India. Dopo l’Egitto è stata la volta dell’India. Ma con una spiacevole novità. L’amico Medici non se l’era sentita di seguirlo in quella grande avventura, quindi il Melo partì da solo alla volta di Nuova Delhi. Da lì avrebbe toccato Jaipur e Agra, per poi ritornare a Nuova Delhi, per un totale di 1400 chilometri pedalati. «L’India è stata l’avventura più fantastica ma anche la più dura. L’ambasciata italiana non voleva darmi il permesso di partire. Avevo già 39 anni, avrei viaggiato da solo, senza accompagnamento, non conoscendo la lingua e a bordo di una bici. Per loro era una cosa assurda. Alla fine, dopo lunghe trattative, ero riuscito a convincerli. Ad un certo punto del mio viaggio sono incappato nei monsoni. Ho vissuto sotto la pioggia per tre giorni e tre notti. Mangiavo, dormivo e pedalavo sempre sotto l’acqua. E lì, quando piove, non è come da noi. Quelli sono stati momenti veramente difficili, in cui ho pianto e sofferto per il fatto di essere lì da solo. Ho mangiato anche serpenti e scarafaggi. Dall’Italia mi ero portato i medicinali e gli integratori che mettevo nell’acqua, la quale doveva sempre essere bollita per non incappare in pericolose infezioni. Di notte dormivo all’aperto nel sacco a pelo oppure, quando le trovavo sulla mia rotta, nelle capanne in cui dormivano i camionisti.

 

 

Ma dopo i monsoni sono incappato in un'altra disavventura. A un certo punto il tragitto che avrei dovuto percorrere aveva subito una deviazione per dei lavori, e io ero stato costretto a costeggiare un parco nazionale nel quale vivevano anche animali feroci. Le autorità del posto mi avevano munito di fischietto, consigliandomi di usarlo se avessi avvistato qualche bestia. Pare che il suono le facesse fuggire, ma per fortuna non ho avuto modo di verificarlo e sono passato incolume e senza fare incontri. Se dovessi descrivere l’India in due parole direi che è dura ma bella. Lì ci devi arrivare con uno spirito umile, non devi fare il ricco con i poveri. Io ho vissuto e dormito con loro per 21 giorni, e ho dei ricordi bellissimi. Dal punto di vista sportivo è stata dura perché lì le strade sono quasi tutte sterrate, quindi è molto più difficile procedere. Quando sono arrivato all’ambasciata italiana hanno riconosciuto la bici e non me. Ero dimagrito di 10 chili, ne pesavo solo 39».

Quella è stata l’ultima avventura del Melo oltre frontiera. Parimbelli non è stato solo un grande ciclista, ma molto di più. Ha fatto ben cinque volte la marcialonga in Val di Fassa, lunga 70 chilometri. A quarant’anni compiuti, partiva la mattina alle 6 per arrivare la sera alle 20. Lo sci gli è servito per anni come allenamento invernale per prepararsi alle grandi avventure estive sulle due ruote. È stato anche per ventiquattro anni volontario delle Croce Rossa di Bergamo e per più di dieci istruttore di movimento motorio per i bambini dell’asilo. Ora si dedica al volontariato in parrocchia. Famose ad Albegno sono le Tombole del Melo, che hanno luogo una domenica al mese. Inoltre, non ha ancora appeso la sua bici al chiodo. A settembre, per il secondo anno consecutivo, ha partecipato ad una cronometro a squadre di 17 chilometri sul lago d’Iseo. Dice di non avere altre corse in programma, perché si reputa molto soddisfatto di quello che ha già fatto. Possiamo dargli torto? Direi che possiamo solo amm i ra rl o.

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