«Non ho mai scritto per il cantante, ma per me»

Mogol, 80 anni di un canto libero

Mogol, 80 anni di un canto libero
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Giulio Rapetti Mogol il 17 agosto compie 80 anni. Il più celebre autore italiano di testi di canzoni ha 4 figli, 5 nipoti e una laurea ad honorem. Abita un una immensa casa ad Avigliano Umbro, con tanto di chiesa e maneggio. Oltre alle immortali canzoni con Battisti, Mogol ha lavorato con Celentano (Ciao Ragazzi), Gianni Bella (L’emozione non ha voce), Cocciante e Mango, solo per citarne alcuni, e ha riscritto le cover più italiane degli Anni Sessanta: A Wither Shade of Pale o California Dreaming. E tradotto Bob Dylan e David Bowie. «Avevo un contratto per tradurre tutto Dylan – ha detto in una recente intervista a La Stampa - e ho stravolto anche Blowing in the Wind. Su Ballad of a Thin Man però si innervosì molto e ci organizzarono un incontro a Londra: stracciò il testo davanti a me. Io gli chiesi che cosa voleva dire la canzone, mi rispose che non aveva capito nemmeno lui. Ma fu carino, simpatico. Mi disse che aveva letto tutti i miei testi». Di sé Mogol dice: «Sono sempre stato libero e non condizionabile. Non ho mai scritto per il cantante, sono io che canto per me». Il grande pubblico ha imparato a conoscerlo cantando Battisti e quei due nomi messi uno dopo l’altro - «di Mogol-Battisti» - sono diventati un marchio inconfondibile di qualità assoluta. 

 

«Lucio mi proponeva le basi musicali, e io scrivevo i testi». Ecco, la grandezza di Mogol è tutta in questa frase, presa da un’intervista che il grande paroliere ha rilasciato al quotidiano Libero. Secondo il buon senso, e come d’altra parte accade solitamente nella composizione di canzoni, prima si pensa alle parole, e poi alle note più adatte ad accompagnare il testo. O al massimo si tratta di due procedimenti che avvengono contestualmente. Fra Lucio Battisti e Giulio Repetti, invece, accadeva il contrario: il primo si presentava con la melodia, e il secondo ci costruiva sopra i leggendari testi. E mica lo faceva in studio, solo e concentrato: Emozioni la scrisse in macchina, con moglie e figli accanto, sulla Milano-Genova; E penso a te sempre in automobile, nei 19 minuti che separano il capoluogo lombardo e Como. In questo particolare c’è tutto Mogol: l’immensa stima per Battisti, l’orgoglio, e ovviamente il genio, molto spesso autobiografico.

 

 

Nelle canzoni un solo protagonista: se stesso. Cominciamo dal fondo, allora: la maggior parte dei testi che Mogol ha scritto per Battisti (e non solo: le sue collaborazioni hanno coinvolto anche i Dik Dik, Bobby Solo, Little Tony, Celentano, e diversi altri) muovevano da esperienze fortemente personali. La famosa ragazza dalle bionde trecce e gli occhi azzurri, per dire, Mogol la vide per la prima volta quando aveva cinque anni, e non ne seppe più nulla fino a quando, un paio di anni fa, riuscì a sentirla per telefono; Pensieri e parole è un “vomito”, come dice egli stesso, di vita e dolore personale.

Ma come è possibile legare così perfettamente parole ed esperienze proprie ad una musica pensata da qualcun altro, con chissà quale spirito e quali intenti? Com’è possibile, solo ascoltando passare un Mi minore a un Fa, immaginarsi a planare sopra boschi di braccia tese? O che un Do7 maggiore e un Sol siano in effetti un’accoppiata perfetta per descrivere il mondo prigioniero opposto al proprio respiro libero che Mogol, per un qualche motivo, avvertiva nel 1972? Giulio dice che «quando scrivo una canzone, devo trovare quello che il musicista sentiva istintivamente, senza però averlo scritto». Un’identificazione, dunque, con l’intento altrui, attraverso una sorta di maieutica melodica da trasporre in testo chiedendosi: questo qui con queste note sta esprimendo una certa cosa, quando è capitata a me? Un livello di comprensione e rielaborazione davvero straordinario.

 

 

Il rapporto con Battisti. Nonostante le tante collaborazioni, come detto, la più feconda e senz’altro più nota fu quella con Lucio Battisti. Quest’ultimo fu presentato a Mogol da una comune amica francese, e il paroliere rimase inizialmente tutt’altro che impressionato dalle capacità del musicista: «Guarda, non sei nulla di eccezionale». Battisti ci rimase molto male, ma Mogol lo prese comunque in simpatia, e gli propose di iniziare a lavorare insieme per incrementare un talento che, seppur ancora molto acerbo, non si poteva dire che non ci fosse del tutto. Col tempo Lucio migliorò in maniera esponenziale, e Mogol lo convinse persino ad essere anche interprete delle canzoni, oltre che compositore, cosa che inizialmente Battisti non aveva la minima intenzione di fare in quanto non si riteneva abbastanza capace.

Per il lancio definitivo, occorreva solo una casa discografica disposta a rischiare su un pressoché sconosciuto. Ma nessuno ne voleva sapere, nemmeno la Ricordi, per la quale all’epoca Mogol lavorava. Giulio si mise sulle barricate nei confronti della sua direzione, minacciando di andarsene se non fosse stata concessa un’opportunità a quel ragazzo. La Ricordi allora si convinse: il resto è storia. Fra i due nacque così un sodalizio che durò ben 15 anni, fino al 1980, data in cui le stradi professionali di Battisti e Mogol presero direzioni diverse. Non per questioni legate ai diritti d’autore, come molti sostengono, ma per un semplice susseguirsi di eventi che hanno portato a un pacifico allontanamento: è lo stesso Mogol, sempre nell’intervista a Libero, a fugare ogni tipo di possibile dietrologia. Anche perché fra i due c’era un rapporto di reciproco apprezzamento assoluto: «Fra noi c’era grandissima stima, una stima esagerata. Io pensavo che lui fosse un musicista straordinario, lui pensava che io fossi un grande poeta», ha avuto modo di raccontare Mogol. Insomma, con il passare del tempo Giulio ha saputo apprezzare il talento di Lucio. E non solo lui: pare che Battisti, su spinta di Paul McCartney che ne possedeva tutti gli album, sia stato corteggiato anche dalla casa produttrice dei Beatles, che volevano farlo sfondare negli Stati Uniti. Lucio però declinò, non convinto da quel 25 percento sugli introiti che i produttori si sarebbero voluti tenere.

01 Nel 1968
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Nel 1968.

02 Mogol (a sinistra) nei primi anni Sessanta, con Carlo Donida
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Mogol (a sinistra) nei primi anni Sessanta, con Carlo Donida.

03 Mogol, con la prima moglie Serenella, nel 1961
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Mogol, con la prima moglie Serenella, nel 1961.

04 Mogol e Lucio Battisti negli anni Settanta
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Mogol e Lucio Battisti negli anni Settanta.

L’orgoglioso Mogol. Oggi Mogol è uno di quei cimeli che meriterebbero un posto d’onore in un ipotetico museo della musica italiana, uno dei fattori che hanno maggiormente contribuito a renderla unica al mondo. È letteralmente oberato di impegni, fra eventi in giro per l’Europa e progetti tutti italiani: dice di aver avviato un interessante discorso con molti conservatori nostrani per aprire reparti di musica pop, e di aver messo in cantiere una canzone che vorrebbe proporre a Mina e Celentano, per un duetto di altri tempi. Guarda alla musica italiana di oggi storcendo non poco la bocca, e anche con un tocco di superbia: il rap è appena appena accettabile, nei talent show musicali non c’è la minima competenza, il livello medio degli artisti è decisamente basso, colpa dei produttori e delle dinamiche di mercato.

Sono passati i tempi in cui lui e Battisti, e lo dice con sommo orgoglio, crearono «una magia, una poesia, canzoni immortali», che ancora oggi ragazzini che quando Lucio morì, nel 1998, nemmeno erano nati, cantano per strada. Sentirlo parlare della musica di oggi è un po’ come quando Arrigo Sacchi o Umberto Eco dicono la loro sul calcio o sulla letteratura odierna: non male, ma ai tempi era tutta un’altra cosa. Privilegio concesso a chi di qualcosa ne è stato non solo interprete eccellente, ma forse addirittura uno degli artefici.

Potrà anche non andare giù a molti, ma in effetti di gente che oggi è capace di mettere in musica cose come "Che ne sai tu di un campo di grano? Poesia di un amore profano” o che si chiede “Perché quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore” non ce n’è mica tanta in giro.

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