Fu Mazzone a trasformarlo

Pirlo, quanto ci mancherai

Pirlo, quanto ci mancherai
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Le parole più adeguate sono forse quelle comparse sul sito internet della Juventus per annunciarne l’addio: «Per chi invece professionista non è, conoscere la raffinata semplicità del suo gioco è una rivelazione continua, è come scoprire l’essenza stessa del calcio». Che Andrea Pirlo fosse in procinto di lasciare il nostro calcio lo si era intuito durante la notte di Berlino. Quelle lacrime così intense di rammarico e sconforto lasciavano intendere che nella testa del numero 21 bianconero stava già frullando l’ipotesi di cimentarsi con un’altra sfida, un altro campionato, un altro mondo. Così sarà, e ieri se n'è avuta l'ufficialità: il New York City lo attende. La Champions con la Juve sarebbe stata molto di più della ciliegina sulla torta di una carriera infinita da parte di un giocatore che ha vinto, e rivinto tutto, sia con i club che con le Nazionali. Lascia un vuoto immenso nel calcio italiano la partenza di Andrea Pirlo, soprattutto perché rende orfana la Serie A di un giocatore del genere (l’unico che gli si avvicina, anche se molto lontanamente, gioca titolare al PSG, Marco Verratti, e non a caso è destinato ad essere l’erede del 21 nell’Italia).

 

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La divina arte delle punizioni. Non ci sono al momento in Italia giocatori nostrani in grado di fare la differenza come Pirlo; anche l’ultimo Pirlo, quello che per intenderci decide un derby all’ultimo secondo o pennella assist durante le partite in cui ormai le gambe non lo assistono più. Non c’è al momento in Italia un giocatore in grado di decidere con un calcio da fermo le sorti di un intero match: parole come “maledetta” o “effetto Magnum” ci mancheranno moltissimo nel prossimo periodo, ma forse ci mancherà di più la reverenza da parte dei compagni e il terrore negli occhi dei portieri quando Andrea posizionava la palla sul punto di battuta. Ridurlo alla divina arte di calciare le punizioni sarebbe fargli un torto immenso, anche perché ci metteremo poco ad accorgerci che giocatori come il centrocampista bresciano ne passa uno ogni 50 anni: «Pura e semplice intelligenza», «Saper prima di tutti cosa accadrà», sono solo alcuni passi del ringraziamento che la Juve ha voluto a fare a Pirlo e che documentano che, vedendolo in campo, si è assistito a qualcosa di eccezionale. Come fosse una supernova.

 

 

Come lo cambiò Mazzone. Cercare di descrivere la carriera di Pirlo è un esercizio che rischia di essere selettivo e per nulla completo verso l’arte espressa dai piedi del bresciano, un po’ come catalogare l’attività letteraria di Dante o l’arte pittorica di Picasso o le abilità cinematografiche di Sergio Leone. L’inizio poi è noto a tutti: «Dove non osò Tardelli, potè Mazzone». Il vulcanico allenatore delle Rondinelle, conscio che quello era “il Brescia di Baggio”, ridisegnò la posizione in campo dell’allora trequartista con il 21, tornato al Rigamonti dopo le stagioni agrodolci all'Inter. Non lo sapeva all’epoca Carletto, ma aveva appena creato il regista che, assieme a Xavi, avrebbe padroneggiato nel mondo per 15 anni.

 

 

I capolavori di una carriera. Troppi i capolavori della carriera del centrocampista bresciano: i trionfi con l’Italia Under 21, la squadra, assieme alla prima Juve di Conte, dove lui era l’unico vero fuoriclasse, la salvezza con la Reggina con l’amico Roberto Baronio, la formazione tattica a Brescia a innescare Baggio, la consacrazione nel Milan di Ancelotti e nell’Italia, portata sul tetto del mondo, il tutto prima di diventare uno dei massimi artefici, se non il principale, della rinascita juventina degli ultimi quattro anni. Ora lo sbarco in MLS in America ai New York City a fare coppia in mezzo al campo con Frankie Lampard, a formare un duo che se mette paura ora, figuratevi 5 anni fa cosa sarebbe stato. Mentre noi qui in Italia ci troviamo a sperare che possa esserci all’Europeo, certi, come ha detto su di lui un certo Johan Cruijff, che «il calcio si gioca con la testa. Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano». Buon viaggio, Pirlo.

 

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