«E il più forte che ho allenato è...»

Intervista a Reja a tutto campo «Io, la salvezza e il vino»

Intervista a Reja a tutto campo «Io, la salvezza e il vino»
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Mister Edy Reja è uno dei protagonisti più importanti del momento atalantino. Non scende in campo, non segna dei gol e non ne salva alcuno sulla riga di porta, ma il suo contributo alla causa nerazzurra è stato determinante. Con 13 punti in 10 partite, una sola sconfitta e ben 9 risultati utili il tecnico goriziano ha costruito la salvezza insieme ai suoi ragazzi. Lo abbiamo incontrato a Zingonia adesso che manca solo un mattoncino. Ci ha raccontato il suo mondo parlando del presente ma anche del futuro. Abbiamo scoperto un uomo innamorato del calcio, appassionato di vini e della buona cucina. Che ha iniziato a giocare a pallone nonostante il papà lo volesse attivo nel vigneto di famiglia, a fare l’allenatore spronato dalla moglie mentre pensava ad un futuro come produttore di scarpe da calcio. E che sogna di sentire un giorno la musichetta della Champions League. Magari, sulla panchina della Dea.

Il momento della Dea. Mister Reja, obiettivo ormai raggiunto? «Stiamo vivendo un momento positivo, indubbiamente. Però non possiamo abbassare la guardia perché manca un punto e dobbiamo farlo. Al più presto. Il Cagliari ha tre partite in cui, sulla carta, può ottenere il bottino pieno. Domenica arriva il Genoa che sta molto bene e vuole vincere, siamo messi molto bene, ma fino a quando la certezza aritmetica non ti conforta devi stare sul pezzo. Martedì ho già parlato chiaro ai ragazzi: spingiamo al massimo fino alla fine». Scaramanzia a parte, conquistato il punto che manca possiamo dire che lei resterà a Bergamo? «Abbiamo un accordo che prevede il prolungamento in caso di salvezza. Dunque, prima di dire che sarò l’allenatore dell’Atalanta anche l’anno prossimo dobbiamo aspettare la matematica. A parte questo discorso, devo dire che a Bergamo ho trovato un ambiente ottimo per lavorare e molto adatto alla mia dimensione. In passato ho trovato città calde, anche a Bergamo c’è una partecipazione grandissima: è stupendo quando entro in campo e vedo le bandiere, gli striscioni, il grandissimo calore che ci circonda. Ho lavorato in piazze dove la pressione era costante, arrivavo a fine anno stanco: è successo anche a Roma con la Lazio, ho detto basta nonostante Lotito volesse andare avanti. Dopo 10 anni di esperienze fatte di grandi pressioni e grande tensione, con l’Atalanta sento la responsabilità ma c’è una dimensione che sento molto adatta per me. Possiamo dirlo: se non mi cacciano via, resto all’Atalanta».

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Immagini del primo allenamento di Reja, mercoledì 4 marzo.

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Immagini del primo allenamento di Reja, mercoledì 4 marzo.

ALBERTO MARIANI ATALANTA- CAMPIONATO LEGA PRO GIRONE A TIM 2014-15
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BERGAMO 05-MARZO-15 CENTRO SPORTIVO CESARE E ACHILLE BORTOLOTTI PH ALBERTO MARIANI ATALANTA 2014-15 NELLA FOTO, LA PRESENTAZIONE DEL NUOVO ALLENATORE DEL ATALANTA EDDY REJA

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BERGAMO 05-MARZO-15 CENTRO SPORTIVO CESARE E ACHILLE BORTOLOTTI PH ALBERTO MARIANI ATALANTA 2014-15 NELLA FOTO, LA PRESENTAZIONE DEL NUOVO ALLENATORE DEL ATALANTA EDDY REJA-ANTONIO PERCASSI

Un punto, ma non solo. Qual è il suo obiettivo da qui al 31 maggio? «Mi piacerebbe affrontare le ultime tre partite come se fossero finali di Champions League. Significherebbe continuare nella crescita della squadra, vedere un progetto che continua e che arriva fino in fondo. E poi, superare quota 40 vorrebbe dire aver centrato l’obiettivo con pieno merito e non per demerito degli altri. Sarebbe importante per i ragazzi: ho sentito qualcuno dire che questo gruppo non valeva molto o che non ci fossero elementi di qualità. Ecco, arrivare sopra ai 40 punti e giocarsela fino alla fine significherebbe dare, come gruppo, una risposta fortissima a tutti».

Segreti di squadra. La squadra segna, strappa punti importanti e soprattutto convince. Il segreto?  «Non ci sono segreti, le otto partite consecutive in cui siamo andati in rete sono il risultato di un certo tipo di lavoro. Ho cercato di lavorare sulle soluzioni che ci permettessero di arrivare con maggior concretezza possibile negli ultimi metri, abbiamo provato a Parma il 4-3-3 perché pensavo che questo gruppo potesse farlo. Pian piano mi sono spostato sul 4-2-3-1 perché pensavo che fosse la soluzione migliore. Ma ogni giorno, in allenamento, vedevo la squadra e sono tornato sulla mia idea iniziale. Quando ho visto Gomez e D’Alessandro così in crescita ho pensato subito che dovevo sfruttarli. Certo, una scelta del genere penalizza Maxi ma non è una bocciatura. Attenzione: se avessi più copertura e più solidità difensiva, anche Moralez potrebbe starci. È un discorso di equilibrio, con Maxi a centrocampo gli altri due mediani sarebbero costretti ad un super lavoro. Adesso nel nome dell’equilibrio sto sacrificando forse uno dei migliori giocatori in rosa, però in futuro toccheremo anche questo discorso con Sartori e con gli altri uomini mercato».

Chi viene e chi va. Pensando all'anno prossimo, in che misura il gruppo dell’Atalanta può essere riconfermato? «È presto, il mercato si farà e ci sono tantissime variabili. Bisogna vedere chi resta e chi va, chi rinnova, chi avrà richieste e in base a queste richieste che scelte verranno fatte. Io credo che in questo gruppo ci siano dei valori importanti, e che ci siano tanti giocatori da confermare: non ci sono grossi interventi da fare, ma gli elementi che verranno introdotti dovranno essere decisivi. Credo che 3-4 innesti siano quello che serve, il progetto che si può sviluppare è corposo: si partirà sempre dalla salvezza come obiettivo principale, ma ci sono tutti i presupposti per lavorare bene. E a me piace lavorare così: in una piazza come Bergamo e con un presidente come Percassi si possono fare ottime cose. Io sono abituato a dare indicazioni generali con una serie di caratteristiche: darò indicazioni su chi c’è, su chi serve per fare il gioco che ho in mente. Dirò se un giocatore mi serve alto, basso, veloce, fisicamente possente. I dirigenti mi presentano un ventaglio di soluzioni e io dico cosa preferirei. L’aspetto economico lo lascio gestire ad altri, io penso solo al campo e a come fare il massimo».

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BERGAMO STADIO AZZURRI D'ITALIA 15-MARZO-15 PH ALBERTO MARIANI ATALANTA- UDINESE-CAMPIONATO SERIE A TIM 2014-15 NELLA FOTO, ALLENATORE ATALANTA EDY REJA

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BERGAMO STADIO AZZURRI D'ITALIA 15-MARZO-15 PH ALBERTO MARIANI ATALANTA- UDINESE-CAMPIONATO SERIE A TIM 2014-15 NELLA FOTO, ALLENATORE ATALANTA EDY REJA

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Atalanta coach Edoardo Reja gestures during a serie A soccer match between Parma and Atalanta at Parma's Tardini stadium, Italy, Sunday, March 8, 2015. (AP Photo/Marco Vasini)

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Reja sconsolato / ATALANTA - TORINO CAMPIONATO SERIE A TIM 2014-15

Il miglioramento del gruppo. La squadra, per come gioca, dimostra di seguirla al 100%. «Siamo migliorati molto, sia in termini di lunghezza della squadra che di fuorigioco avversari. Con la Lazio è stata forse la partita migliore da questo punto di vista: la squadra si è mossa in 35 metri, e anche se abbiamo ancora qualche problema sono soddisfatto. Quando andiamo in vantaggio abbiamo quasi paura di vincere, spesso ci abbassiamo troppo e non va bene. Nelle ultime gare, Cesena e Lazio ad esempio, abbiamo piazzato 5-6 fuorigiochi importanti. A Palermo, l’espulsione ha cambiato le carte in tavola e ci siamo arroccati. Era difficile fare diversamente ma fortunatamente abbiamo vinto. Dal punto di vista personale, la gara con la Lazio ha dimostrato in pieno le reali potenzialità di questa squadra: altre volte siamo stati spesso sotto di un uomo, con i biancocelesti abbiamo fatto pressing alto, proponevamo continuamente soluzioni in velocità e siamo stati molto corti. Quella gara è l’esempio da seguire».

Il vero Edy Reja. Mister, parlano tutti bene di lei: ci dice un difetto che si riconosce? «Difetti ne ho un sacco, non ne vengono fuori perché mi conoscono ancora poco. Scherzi a parte, io sono uno che cerca sempre il dialogo. Sempre. Non racconto balle ai miei giocatori e adesso che alleno l’Atalanta, i miei sono i più forti del mondo. Tutti. Nessuno escluso. E tutti partono allo stesso livello. Se in campo dobbiamo fare un lavoro e siamo in troppi, lo spiego ai miei giocatori e non lascio indietro nessuno. Il lavoro che viene svolto è per tutti alla pari, se durante una esercitazione non c’è posto per uno del gruppo il lavoro viene recuperato dopo con un collaboratore. Gli abbracci a fine gara a Palermo sono il coronamento di un lavoro settimanale e la soddisfazione viene fuori. Completamente. Con chi ha giocato o con chi è solo venuto in panchina. Mi sento parte del gruppo, ho sempre usato questo approccio e ha sempre pagato. Se un giocatore capisce di essere importante e funzionale anche giocando poco, il mister ha vinto. La considerazione del gruppo è fondamentale».

Edy Reja - Atalanta
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Chi può servire. Del vero Edy Reja, calcisticamente parlando, quanto abbiamo visto? «Non si è ancora vista la squadra che davvero vorrei proporre io. Quando subentri devi adattarti al gruppo che trovi, io ancora oggi dopo 10 partite non ho ben chiaro tutto ciò che ogni singolo elemento può dare. La caratteristica migliore che un allenatore deve avere è quella di tirar fuori il massimo dai giocatori che ha a disposizione per raggiungere l’obiettivo. Il sistema di gioco è sempre legato ai migliori: se hai 20 giocatori di movimento, bisogna chiedersi chi sono i migliori. E di questi se ne prendono 10 cercando di metterli in campo in modo che fruttino al massimo per la squadra. Se questo riesce, un allenatore ha già raggiunto un grandissimo obiettivo. Ci sono colleghi che sono monotematici in termini di modulo, io ho provato a giocare in tutti i modi anche se non li conosco bene tutti. Mi piace il 4-3-3 ma servono le ali che fanno un certo lavoro, i centrocampisti che accompagnano e la difesa che tiene. Adesso giochiamo così ma servono i gol: la punta da doppia cifra, il Gomez di turno che vale 6-7 gol all’anno senza problemi e giocatori al centro che danno equilibrio. È sempre una questione di equilibrio».

Il rapporto con la tavola. Adesso qualche curiosità. L’abbiamo vista molto abile con il taglio del prosciutto crudo al coltello, che rapporto ha con la tavola? «Ho un rapporto eccezionale con la tavola. Qui a Zingonia mangio poco, ma vi assicuro che quando esco a mangiare mi piace andare nei posti dove mi sento trattato bene. Sono un assaggiatore, mangio pochissima carne e preferisco di gran lunga il pesce. Accompagno tutto con un buon bicchiere di vino e non ho preferenze tra bianco e rosso. Ovviamente, da friulano, abbiamo la cultura del calice: già al mattino, un friulano doc che incontra un amico o un conoscente beve un calice di vino. Il vino è cultura. La tavola, lo stare insieme, il calore di un focolare sono cose che abbiamo dentro, fanno parte della nostra cultura. Mio padre Antonio, classe 1901, era un piccolo produttore di vino. Non voleva che giocassi a calcio, il primo contratto con la Spal lo firmai a 17 anni falsificando la sua firma. La paga era da circa 150mila lire al mese, quando un operaio ne guadagnava solo 30mila: mio padre, quando lo vide, restò molto colpito. Lui voleva che io continuassi a lavorare nelle vigne, amava zappare la terra e curava tutto con grandissimo amore. Ricordo che quando si trovava con gli amici ed era il momento di stappare il vino appena imbottigliato, stava in silenzio e aspettava l’assaggio. Al primo complimento, si scioglieva in un sorriso pieno di soddisfazione».

L'amore per l'amarone. Il vino, insomma, è una passione di famiglia. «A casa ho ottime bottiglie, mi piacciono vini toscani ma non solo. Ne ho trovati di ottimi in Abruzzo e in Sicilia, apprezzo molto i vini biologici ma anche i vini d’annata. Amo particolarmente l’amarone, ovviamente con 14 gradi non puoi esagerare, ma non mi tiro indietro. Il Brunello di Montalcino con una bella Chianina, la tagliata, una bella bistecca di Fassone con il vino piemontese. I vini sono come i calciatori. Ci sono quelli buoni, quelli ottimi e i fuoriclasse. Palando di vino, è la stessa cosa. A me piace molto andare cantina per cantina a cercare il vino buono. Ho girato tutto il Piemonte, sono stato nelle Langhe ed anche se spesso non mi davano le bottiglie migliori non importa. Ricordo il “Bricco dell’Uccellone” e la “Monella della Bigotta”, due vini della cantina Braida del Piemonte: il primo molto tosto, il secondo frizzante e vivace. Barbera puro. Spettacolare».

La moglie Livia. È vero che sua moglie Livia è stata molto importante per il suo percorso in panchina? «Mia moglie Livia mi è sempre stata vicina, abbiamo una figlia che ormai è grande e quindi ci viviamo la vita noi due. Mi dispiace che in questo periodo non si possa vivere fianco a fianco ma lei deve accudire la mamma che ha raggiunto la veneranda età di 97 anni. Magari ci arrivassi io. E pensate, non fosse stato per mia moglie non avrei iniziato a fare questo mestiere. A 33 anni, quando smisi di giocare nella Spal, aprii un negozio che vendeva scarpe da calcio marchiate Edoardo Reja. Era un gran prodotto, le realizzava un artigiano del posto veramente molto bravo. Quando mi vide in negozio mi disse che dovevo continuare a fare calcio. Ho seguito il suo consiglio e ormai alleno da tantissimi anni. Ho fatto anche il responsabile del settore giovanile con il Pescara, avevo già lavorato con i ragazzi e poi negli anni ho fatto un po’ tutto».

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Palermo - Atalanta, Edy Reja. Foto Mariani

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Palermo - Atalanta, Edy Reja. Foto Mariani

Reja affetta il prosciutto crudo, Atalanta
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Il miglior giocatore. Il giocatore più forte che ha allenato? «Cristiano Doni. Ho lavorato con Klose, un attaccante fenomenale, e con Andrea Pirlo piuttosto che con Luca Toni e molti altri. Ma Doni resta Doni. L’ho avuto a Bologna e a Brescia. Con me giocava mezz’ala e poi a Bergamo ha trovato la sua consacrazione. Tecnica, capacità di leggere le situazioni di gioco, attaccante, centrocampista, uomo a tutto campo. Se avesse avuto un’altra testa, con le qualità che aveva, avrebbe giocato almeno 50 partite in Nazionale. Quando lo vedo, chiedo sempre se la testa è migliorata ma mi dice che è sempre la stessa. Peccato, meritava di giocare molto di più con la maglia azzurra e di raggiungere livelli molto alti. Doni aveva tutto: corsa, resistenza, tecnica, velocità, tiro, colpo di testa, fiuto del gol. Perfetto».

La Champions, le vacanze e la beneficenza. Mister, è sulla soglia dei 70 anni: c’è qualcosa che ancora cerca nel mondo del calcio? «Ho grandissima passione e mi sono tolto belle soddisfazioni ma quello che mi manca davvero è la qualificazione Champions. L’ho sfiorata tre volte. Addirittura con la Lazio sono arrivato quarto e andavano in tre alla massima competizione europea, l’anno prima sono arrivato quinto e in Champions ci andavano in quattro. Mi sarebbe davvero piaciuto sentire quella musichetta all’ingresso in campo, chissà che non si possa centrare un obiettivo simile con l’Atalanta e con il presidente Percassi. Sarebbe qualcosa di grandioso: ve l’immaginate?»

E le vacanze? Mamma mia, meglio non immaginarla una cosa del genere: succedesse davvero, verrebbe giù anche Città Alta. Chiudiamo in bellezza: già organizzata la vacanza in barca al mare?  «Sicuramente andrò al mare, magari poco con la barca a vela perché per godersela serve molto tempo e io invece vorrei partecipare assiduamente al lavoro qui a Zingonia. Farò andata e ritorno molto spesso, sicuramente. La prima settimana dopo la fine del campionato andrà certamente via. In particolare, in Costiera Amalfitana c’è un evento che dura 3 giorni e che raduna i 100 migliori chef stellati d’Italia. Si mangia divinamente, sempre a cena e si da un contributo importante per l’ospedale dei bambini Santobono di Napoli. Si mangia e si beve veramente bene».

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