Una scommessa riuscita

Il signor McDonald’s di Bergamo

Il signor McDonald’s di Bergamo
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La gigantesca M gialla a Bergamo ha un nome, un cognome e una storia tutta da raccontare. Una storia fatta di pregiudizi da combattere, di ricerca incessante di qualità, di investimenti coraggiosi e di alta tecnologia, di fatturati pesanti. Una storia, insomma, che comincia nel 2005, quando Fabio Bianchini decide di svestire i panni del direttore di finanza della Canon Italia per indossare quelli di imprenditore: «Quell’anno McDonald’s aveva puntato forte sul mercato italiano. Mi è sembrata un’occasione imperdibile per sviluppare l’azienda qui a Bergamo. Sono quindi andato in un locale nascosto in via Novara a Milano per fare il corso di licenziatario. Venivano i colleghi a prendermi in giro, chiedendomi cosa ci facessi io, alto dirigente di un’azienda importante, a “vendere bibite e patatine”. Io li avevo avvisati: ne avremmo riparlato di lì a qualche anno».

 

 

I sei locali McDonald's di Bergamo. E oggi, «tra qualche anno», la situazione ha dato ragione a Bianchini su tutti i fronti: attualmente gestisce sei locali McDonald’s tra Bergamo e provincia: i primi sono stati il ristorante di Bergamo Stazione e quello al centro commerciale di Curno, dopodiché sono arrivati Stezzano (Due Torri, aperto nel 2011), Dalmine (aperto nel 2014, cinquecentesimo locale di McDonald’s Italia, quello dei sei che fattura di più), Brembate (aperto quindici giorni dopo Dalmine, di fronte a Leolandia) e il modernissimo locale recentemente aperto sulla Briantea. «Abbiamo cercato di penetrare quello che è considerato da McDonald’s un mercato “vergine”, ossia quello di Bergamo. Potrebbe sembrare strano, ma sei locali rapportati alla popolazione della città sono pochissimi rispetto agli standard di McDonald’s. La gente ci considera a prescindere un colosso indistruttibile della ristorazione, ed in effetti McDonald’s lo è, però in Italia rappresentiamo solo il 2,25 per cento del mercato della ristorazione. In ogni caso stiamo crescendo costantemente, e nell’ultimo anno le casse dei sei locali che gestisco io hanno staccato in totale un milione e ottocentomila scontrini. Vuol dire, all'incirca, quattro milioni di visitatori».

 

Il McDonald's di Capriate

 

In cifre. Ma quali sono le cifre che girano dietro a un investimento in un locale McDonald’s? «Aprire un locale può costare dai settecento mila euro ai due/tre milioni. Dipende ovviamente dal tipo di accordi, specialmente per quanto riguarda l’acquisto o meno del terreno». Investimenti ripagati con ottimi fatturati: per i sei ristoranti gestiti direttamente da Bianchini i risultati sono costantemente in crescita. Si diceva che il ristorante che fattura di più è quello di Dalmine, grazie alla posizione strategica (immediatamente visibile dopo l’uscita della A4) e alla politica di apertura continuata ventiquattro ore al giorno; al secondo posto troviamo il McDonald’s del centro commerciale di Curno, seguito da quello sulla Briantea.

Prodotti garantiti. Se c’è un pregiudizio contro cui McDonald’s deve combattere in continuazione è l’etichetta di ristorante simbolo della cattiva alimentazione. Parliamoci chiaro, stiamo parlando pur sempre di hamburger, bacon, cheddar e via dicendo, di certo nulla che un dietologo raccomanderebbe. Ma, ed è un «ma» grosso come una casa, nulla di tutto questo significa che i prodotti siano di cattiva qualità. A tanti di noi sarà capitato di dire: «Meglio non sapere cosa ci mettono in quei panini». Ecco, forse invece saremmo molto più tranquilli se lo sapessimo. E bene, partendo dal presupposto che tutti i prodotti presentano, come da legge, la tracciabilità («Sappiamo con certezza tutto quello che succede dal momento in cui viene ucciso l’animale fino al momento in cui serviamo il panino»), Bianchini ci racconta le provenienze dei prodotti più venduti.

 

 

E scopriamo che la maggior parte della carne di manzo dei suoi sei locali arriva da Cremonini, il pollo da Amadori, il latte da Centrale del latte di Brescia, l’insalata da Bonduelle e le patatine dall’Austria («La produzione della varietà di patate che utilizziamo in Italia è pressoché inesistente»). Scopriamo poi che i formaggi sono tutti italiani, ad eccezione del cheddar che viene dalla Germania, così come le salse. E dall’America? «Dall’America non arriva nulla, soltanto le imposizioni per avere una cucina a norma con gli standard aziendali», ci dice Bianchini. Insomma, nulla che non potremmo tranquillamente trovare (e mangiare) altrove, tavola di casa compresa.

I clienti e i panini più amati. Infine parliamo con Carla, manager di Curno Drive sulla Briantea, che ci dice che la maggior parte dei clienti sono «famiglie o scolaresche», e che ci invita ad assistere al processo di preparazione di un panino nella nuova cucina ad alta tecnologia del locale. Ci spiega: «I manager hanno il compito di monitorare le vendite della giornata per cercare di prevedere quali potrebbero essere i prodotti più richiesti, e quindi di far apparire sui monitor degli addetti alla preparazione della linea i prodotti da tenere pronti a essere serviti. Gli addetti alla linea preparano quindi panini e altri prodotti e li mettono in cassetti termoregolati che mantengono la cottura per quindici minuti. Dopo quindici minuti, se il prodotto non è stato venduto, suona l’allarme del cassetto in cui era riposto e non può più essere servito. Avendo già la linea pronta, si tratta poi per gli altri dipendenti della cucina di preparare i panini, aggiungere le salse e i prodotti freschi, ad esempio le verdure, metterli nell’incarto e passarli ai cassieri. In novanta secondi dobbiamo servire al cliente un prodotto di qualità».

Insomma, meno sensi di colpa quando mangiamo il nostro Crispy McBacon (per la cronaca il panino più venduto, a parte quando ci sono promozioni speciali come quella di Joe Bastianich, che sta spopolando in questi giorni): el diavol l’è minga inscì brutt come el dipingsen.

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