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Stefano Conti, da Dalmine a Tokyo per suonare il corno francese

Stefano Conti, da Dalmine a Tokyo per suonare il corno francese
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Per uno strumento ingombrante come la batteria, in casa Conti, non si era trovato lo spazio. Così Stefano, ultimogenito in una famiglia di musicisti, alla fine aveva dovuto accantonare l’interesse per le percussioni, e risolversi a imparare il pianoforte. «Me lo insegnava mia mamma Roberta e mi ci sono dedicato fino ai tredici anni, quando poi sono passato alla tromba - racconta il musicante dalminese, che di anni, oggi, ne ha ventitré. - Non avevo mai avuto una passione sfrenata per la musica, in realtà. Ma mio papà Alfredo diceva che avevo orecchio, che valeva la pena di tentare la strada del Conservatorio. Solo che non potevo presentarmi alle selezioni con la tromba, perché sapevo che su quello strumento la competizione sarebbe stata più alta».

 

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L'inizio di un amore. È per una pura questione di probabilità, dunque, che Stefano rivolge per la prima volta l’attenzione allo studio del corno francese. «In quel periodo della mia vita continuavo a preferire il pallone alla musica. Non mi dedicavo al corno francese mosso da una passione travolgente, come invece può capitare a molti. Con il tempo però le cose sono cambiate, e il mio interesse per lo strumento si è fatto sempre più forte». Senza clamore o grandi esibizioni, l’amore per la musica inizia lentamente ad occupare i suoi pensieri. È un amore che lo attraversa silenzioso ma al contempo costante, tanto che Stefano riesce a reggere sulle spalle il peso di due scuole: l’adolescenza lo vede infatti diviso tra le mattine, che passa sui banchi del Marconi di Dalmine, e i pomeriggi spesi invece nelle stanze del Conservatorio, che lo vedono immerso tra solfeggi e progressioni ar moniche. «Avevo anche la fortuna di avere un padre che dirigeva le bande. Questo mi ha aiutato a familiarizzare subito con l’ambiente. Senza nemmeno accorgermi ho cominciato la mia gavetta: se in un paesino sperduto della bassa bergamasca c’era bisogno di un corno francese, accorrevo io».

 

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In giro per il mondo. I suoi orizzonti si sono ampliati con gli anni, arrivando a toccare città come Istanbul, Muscat, Oslo, Stoccarda, Chicago. Angoli del mondo che Stefano ha raggiunto, sempre con il suo corno in spalla, e sempre con quella certezza che non si trattasse di traguardi di cui vantarsi, ma di tappe di un percorso ancora sconosciuto. «La strategia per continuare a migliorare è convincermi di non aver ancora imparato abbastanza. Io mi sento solo all’inizio dello studio del corno francese, sento di aver appena cominciato ad affacciarmi alla prospettiva dei concerti, delle tournée. Anche se, a conti fatti, ho dieci anni di esperienza alle spalle. Questo perché girare l’Italia e il mondo mi porta a conoscere artisti che possiedono una cultura musicale esorbitante, artisti che mi aiutano a ridimensionarmi e a capire che non posso pensare davvero di essere qualcuno io, a soli ventitré anni».

 

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«Sto vivendo di musica». Attualmente, la vita di Stefano corre su due binari paralleli: da un lato, sta portando a termine un biennio di studi di corno francese a Cesena, sotto la supervisione dei più grandi conoscitori dello strumento. Dall’altro, si sta godendo la quotidianità di musicista professionista a Bari, dove lavora al teatro Petruzzelli, per la fondazione lirico sinfonica di Bari, con cui l’anno prossimo andrà a Tokyo. «Sto vivendo di musica, e questo mi riempie di soddisfazione. Sarebbe un grande orgoglio anche se questo dovesse essere l’unico anno nella mia vita in cui sono stato in grado di farlo». Stefano guarda i suoi successi fuori dal comune sempre con una certa distanza, quasi con occhio diffidente: «Chi fa il musicista di professione sa che bastano due secondi per rovinare una sinfonia di quaranta minuti. Due secondi di errore per perdere la fiducia del direttore, dell’orchestra. Io non sono mai stato un bambino prodigio, tutt’altro. Nella vita ho fatto figuracce pazzesche, ma questo mi ha aiutato a tollerare meglio i miei errori. Mi ha insegnato a suonare pensando di fare il meglio che potevo, e non a fare meglio degli altri».

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