Tanti i ricordi

I Viscardi, che da 400 anni coltivano i colli di Bergamo

I Viscardi, che da 400 anni coltivano i colli di Bergamo
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«Noi Viscardi siamo qui da quattrocento anni. Per la precisione, noi siamo i “Viscardù”, poi ci sono i “Viscardei”, rami dello stesso casato. Siamo qui come contadini su terreni nostri, già mio nonno aveva i suoi terreni qui in San Martino della Pigrizia. Se considera che mio padre era del 1900, mio nonno doveva essere del 1870. Quando io ero giovane, qui in San Martino della Pigrizia eravamo tutti contadini. Poi le cose sono cambiate, dai primi Anni Sessanta». Pietro Viscardi abita in questa bella e vecchia casetta scendendo da Borgo Canale, appena prima della chiesa di San Martino. Lo conoscono in molti, perché tutte le domeniche mattina lo si può vedere con il suo cappello di paglia fuori dalla casa, con le porte aperte e i vasi sulla soglia. E quando passa una bella donna, Pietro Viscardi, ottantasei primavere, non si tira indietro, regala un complimento e propone un fiore. Costanza, la figlia che vive in casa con lui per buona parte della settimana, sospira e sorride, dice: «È la sua vita».

Ancora oggi Pietro dà una mano al mercato ortofrutticolo dove tutte le mattine i Viscardi portano i loro fiori. Spiega Pietro seduto nella casa sopra il pendio con le serre: «L’intuizione la ebbe mio padre dopo la guerra del ’15-’18. Fino ad allora eravamo stati orticoltori, come la maggior parte degli abitanti di questa parte dei colli. Allora abitava tanta gente, qui. Ogni famiglia era numerosa, con cinque, sei, dieci figli. C’erano i contadini veri e propri, cioè quelli che avevano le mucche e il granoturco, il melgòt. Poi gli orticoltori che producevano insalate, la famosa scarola, i cornetti, le zucchine e anche tanta frutta: ciliegie, fragole, ma anche prugne, fichi, pere… Era una buona produzione che consentiva alle famiglie della zona di vivere abbastanza bene. Anche durante la guerra, non si è sofferta la fame; io me la ricordo bene la guerra perché quando è finita avevo quattordici anni. Sono gli anni che ti segnano».

Pietro elenca le famiglie che fino ai primi Anni Settanta popolavano questa zona: Caldara (erano dieci fratelli, avevano le mucche in San Vigilio), Viscardi (nei diversi rami), Lozza (che pure presentano diversi ceppi), Piazzalunga (due famiglie), Bonacina, Rota (pure in San Vigilio con le mucche), Mazzocchi, Milani, Vagoncini (sopra le piscine) e Ravasio. Di questi, resistono solamente i Viscardi, i Bonacina, i Ravasio, i Lozza. «I Ravasio, come noi hanno le serre e coltivano fiori, un fratello ha un bel negozio in centro, in largo Belotti. Altri due rami di Viscardi fanno gli orticoltori e anche i Bonacina e una parte dei Lozza resistono. Gli altri se ne sono andati tutti, l’attività è diventata sempre meno remunerativa, i terreni e le case in diverse situazioni sono diventate residenze di famiglie benestanti di Bergamo o di Milano, i terrazzamenti sono stati trasformati a prato o in giardino. Ci sono anche zone incolte di boscaglia. Un peccato. Noi resistiamo. C’è un figlio che lavora qui, abbiamo due lavoranti. In questo periodo nelle nostre serre stiamo coltivando i crisantemi, vengono seminati a giugno, saranno pronti in ottobre. Poi abbiamo begoniette, fiori di vetro, gerani, facciamo anche il basilico genovese. Sono piante tipiche d el l’estate, anche di questi mesi così caldi. Ma il lavoro è sempre più difficile, i margini di guadagno sempre più stretti per realtà piccole come la nostra. Soprattutto è la grande distribuzione che impone prezzi molto bassi».

Pietro Viscardi chiacchiera con piacere davanti al caffè e alla torta di mele preparata dalla figlia Costanza. Ricorda i racconti del nonno: «Qui nella via abitavano due generali, uno era Pastore, l’altro Coffaro, se non ricordo male. Mio zio Eugenio era soldato durante la Grande Guerra; suo padre, lo zio Tata Madù (“Tata” sig nifica zio, “Madù” sta per Amadio, ndr) un giorno incontrò uno dei due generali a cavallo e gli disse: “Sciùr general, iè desdot mìs che ede mia ol me sccet”. Due giorni dopo il figlio era a casa in licenza». Pietro ricorda le donne che salivano dalle cascine di Astino («de 'Stì») con il cadùr” (bilanciere) e i due secchi di latte alle estremità. Le scivolate con le slitte. La grandinata del Primo maggio del 1948: «Avevo diciassette anni. Ricordo che la grandine distrusse tutto, le serre non esistevano più, i terrazzamenti erano rovinati, su tutta San Martino. Arrivarono persino dei nostri parenti per aiutarci a rimettere in piedi l’azienda. Ma mio padre non era il tipo da arrendersi. Fu il primo della zona a mettere il telefono, poi a comprare il televisore,  giù dall’Andreini sul Sentierone. Venivano da tutta la vicinia a vedere la televisione a casa nostra».

Viscardi dice che il lavoro agricolo sui colli può andare avanti, ma che servono strutture, aiuti. Vengono in mente per esempio le “monorotaie” per i contadini che si inerpicano sui pendii delle Cinque Terre, in Liguria, dove pure si rischiò l’abbandono dei colli. Ma abbandono da parte dei contadini può significare degrado del paesaggio. Poi Viscardi torna a ricordare. Le feste della Vicinia di San Martino della Pigrizia che si tenevano alla terza settimana di ottobre gli mancano. E ritornando all’intraprendenza di suo padre dice: «C’erano periodi in cui andava spesso a Sanremo, andava a scegliere i fiori, per alcuni tipi faceva dei mazzetti e li metteva in valigia, altri li spediva all’interno di cesti fatti a mano con le canne. Arrivavano a Bergamo in fretta, pronti per essere venduti. Il fatto è che non puoi adagiarti, devi sempre avere delle idee, se no il tempo ti scavalca».

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