23 luglio 1939 e 24 dicembre 1940

Le lettere (mai arrivate) che Gandhi scrisse a Hitler

Le lettere (mai arrivate) che Gandhi scrisse a Hitler
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Sono due lettere, scritte a poca distanza l’una dall’altra: la prima nel 1939, la seconda nel 1940. La penna è quella del Mahatma Gandhi, l’indirizzo è quello di Adolf Hitler. I due documenti non giunsero mai a destinazione, perché la censura indiana impedì che varcassero il confine. Rimaste tra le carte del minuto avvocato, sono state conservate per molti anni e poi pubblicate in un volume che contiene tutti gli scritti del padre dell’India (Collected Works of Mahatma Gandhi, vol. 79, pp. 453-456).

Gandhi si rivolge al dittatore tedesco su richiesta di alcuni amici e incomincia pressappoco così: caro amico, ti scrivo perché vorrei che tu facessi il bene dell’umanità. Ingenuo finché vi pare, ma ci vuole del coraggio non indifferente per osare parole simili. La lettera poi prosegue su questo tono, estremamente cortese, quasi fosse un invito a un the. La politica non c’entra per nulla e la richiesta è semplice: rinunciare alla guerra, anche se ciò vorrebbe dire rinunciare ai progetti di grandezza sognati per la Germania. Come abbiamo detto, la lettera non venne spedita e tornò indietro al mittente. Quando Gandhi impugnò la penna per scrivere la seconda probabilmente sapeva (ingenuo forse, ma sciocco no) che anche questa non sarebbe mai arrivata fino a Berlino. Però Gandhi ci si mette lo stesso, allo scrittoio, e scrive come scriveremmo noi a un amico immaginario che sappiamo non condividere le nostre idee.

Mahatma Gandhi
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Ghandi, der grosse Führer der indischen Freiheitsbewegung ist in der Haft in den Hungerstreik getreten! Der indische Freiheitskämpfer Ghandi, bei der Arbeit.

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Anche in questo caso, il tono è pacato: caro amico, ti chiamo amico perché io non ho nemici. Sono talmente forte che posso permettermi il lusso di non avere nemici. Così scrive Gandhi, e continua illustrando il suo progetto, quello della resistenza non violenta, dell’opposizione pacifica al dominio coloniale inglese. Come a dire: fra me e te, fra il suo esercito e i miei digiuni, ci corre proprio un abisso, hai ragione, e la parte giusta, quella senza carri armati, è anche quella che avrà successo. Questa volta andrà così, che ti piaccia o no: perciò, se vuoi, sei ancora in tempo per salire sul carro dei vincitori. Forse Gandhi un po’ ingenuo lo era davvero e scriveva in una lingua che Hitler non avrebbe mai inteso. Perché, diciamocelo: parlare al Fuhrer di rivoluzione dei cuori era davvero un po’ troppo pretenzioso.

Oppure no e Gandhi era molto più arguto di quanto (ingenuamente) pensiamo noi. E Hitler era solo un destinatario fittizio e al tavolino il Mahatma ci s’era messo per noi, per voi, per quelli insomma che sarebbero venuti dopo. I famigerati posteri. E ci diceva di fare come lui, come loro, gli indiani, e lasciare stare la violenza, ché tutto sarebbe andato per il meglio e i sopravvissuti avrebbero goduto di un mondo migliore, ma nel senso letterale, senza retorica. Se solo tutti avessero fatto così.

 

Di seguito i testi integrali delle due lettere:

 

23 luglio del 1939

Caro amico,

alcuni amici mi hanno chiesto con insistenza di scriverle una lettera per il bene dell’umanità. Io ho resistito alla richiesta, a causa della sensazione che qualunque lettera da parte mia sarebbe stata interpretata come un atto di impertinenza.

Tuttavia, qualcosa mi spinge a fare lo stesso un tentativo, qualunque valore esso possa avere. E’ evidente che lei oggi è l’unica persona al mondo che possa scongiurare una guerra che potrebbe riportare l’umanità ad uno stato selvaggio. E’ disposto a pagare questo prezzo per raggiungere il suo obiettivo, qualunque valore questo obiettivo possa avere per lei? Ascolterà l’appello di uno che ha deliberatamente rinnegato il metodo della guerra, non senza considerevoli risultati?

In ogni caso le anticipo le mie scuse se in qualche modo ho sbagliato decidendo di scriverle.

Sinceramente vostro,

M. K. Gandhi

 original

24 dicembre 1940

Caro amico,

se vi chiamo amico, non è per formalismo. Io non ho nemici. Il lavoro della mia vita da più di trentacinque anni è stato quello di assicurarmi l’amicizia di tutta l’umanità, senza distinzione di razza, di colore o di credo. Spero che avrete il tempo e la voglia di sapere come una parte importante dell’umanità che vive sotto l’influenza di questa dottrina di amicizia universale considera le vostre azioni. Non dubitiamo della vostra bravura e dell’amore che nutrite per la vostra patria e non crediamo che siate il mostro descritto dai vostri avversari. Ma i vostri scritti e le vostre dichiarazioni, come quelli dei vostri amici e ammiratori, non permettono di dubitare che molti dei vostri atti siano mostruosi e che attentino alla dignità umana, soprattutto nel giudizio di chi, come me, crede all’amicizia universale. È stato così con la vostra umiliazione della Cecoslovacchia, col rapimento della Polonia e l’assorbimento della Danimarca. Sono consapevole del fatto che, secondo la vostra concezione della vita, quelle spoliazioni sono atti lodevoli.

Ma noi abbiamo imparato sin dall’infanzia a considerarli come atti che degradano l’umanità. In tal modo non possiamo augurarci il successo delle vostre armi. Ma la nostra posizione è unica. Noi resistiamo all’imperialismo britannico quanto al nazismo. Se vi è una differenza, è una differenza di grado. Un quinto della razza umana è stato posto sotto lo stivale britannico con mezzi inaccettabili. La nostra resistenza a questa oppressione non significa che noi vogliamo del male al popolo britannico. Noi cerchiamo di convertirlo, non di batterlo sul campo di battaglia. La nostra rivolta contro il dominio britannico è fatta senza armi. Ma che noi si riesca a convertire o meno i britannici, siamo comunque decisi a rendere il loro dominio impossibile con la non cooperazione non violenta. Si tratta di un metodo invincibile per sua natura.

Si basa sul fatto che nessun sfruttatore potrà mai raggiungere il suo scopo senza un minimo di collaborazione, volontaria o forzata, da parte della vittima, I nostri padroni possono possedere le nostre terre e i nostri corpi, ma non le nostre anime. Essi non possono possedere queste ultime che sterminando tutti gli indiani, uomini, donne e bambini. E’ vero che tutti non possono elevarsi a tale grado di eroismo e che la foza può disperdere la rivolta, ma non è questa la questione. Perché se sarà possibile trovare in India un numero conveniente di uomini e di donne pronti, senza alcuna animosità verso gli sfruttatori a sacrificare la loro vita piuttosto che piegare il ginocchio di fronte a loro, queste persone avranno mostrato il cammino che porta alla liberazione dalla tirannia violenta. Vi prego di credermi quando affermo che in India trovereste un numero inaspettato di uomini e donne simili. Essi hanno ricevuto questa formazione da più di vent’ anni.

Con la tecnica della non violenza, come ho detto, la sconfitta non esiste. Si tratta di un «agire o morire senza uccidere nè ferire. Essa può essere utilizzata praticamente senza denaro e senza l’aiuto di quella scienza della distruzione che voi avete portato a un tale grado di perfezione. Io sono stupito dal fatto che voi non vediate come questa non sia monopolio di nessuno. Se non saranno i britannici, sarà qualche altra potenza a migliorare il vostro metodo e a battervi con le vostre stesse armi. Non lascerete al vostro popolo un’eredità di cui potrà andare fiero. Non potrà andare orgoglioso raccontando atti crudeli, anche se abilmente preparati. Vi chiedo dunque in nome dell’umanità di cessare la guerra. In questa stagione in cui i cuori dei popoli d’Europa implorano la pace, noi abbiamo sospeso anche la nostra stessa lotta pacifica. Non è troppo chiedervi di fare uno sforzo per la pace in un momento che forse non significherà nulla per voi, ma che deve significare molto per i milioni di europei di cui io sento il muto clamore per la pace, perché le mie orecchie sono abituate a sentire le masse silenziose.

Avevo intenzione d’indirizzare un appello congiunto a voi e al signor Mussolini, che ho avuto l’onore di incontrare all’epoca del mio viaggio in Inghilterra come delegato alla Conferenza della tavola rotonda. Spero che egli vorrà considerare questo come se gli fosse stato indirizzato, con i necessari mutamenti.

M. K. Gandhi

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