25 anni fa, a Berlino

Il giorno in cui venne giù il Muro

Il giorno in cui venne giù il Muro
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Venticinque anni fa - un giorno come oggi - venne giù il muro di Berlino. Venne giù: lo tirarono giù, lo abbatterono moralmente. Fisicamente sarebbe stato fatto a pezzi in seguito.

Dov’eravate la sera in cui lo annunciarono? È la domanda che serve a verificare l’impatto di un evento nella popolazione. Dov’eri quando hai saputo della morte di Kennedy? E quando hai saputo che avevano rapito l’on. Moro? E quando hai saputo dell’attentato alle Torri Gemelle?

Tutti se lo ricordano dov’erano. Perché in certi casi si intuisce, magari senza saperlo, che il tempo ha fatto una curva a gomito. Che indietro non si può tornare. Non era solo il muro che veniva bucato dalla fiumana dei berlinesi dell’est. Era la storia, la nostra storia, che veniva squarciata dall’impossibile, dall’incomprensibile. A diversi anni di distanza Giulio Andreotti ebbe a dire che ancora non aveva capito bene come potesse essere successa una cosa simile. Un vero mistero, secondo lui. E nei libri di fantascienza anche nelle storie immaginate negli anni molto, molto futuri, c’erano sempre gli Americani da una parte e i Russi dall’altra.

La sequenza dei fatti è ormai ampiamente accertata. Il 18 ottobre Erick Honecker, l’indiscusso capo della DDR (la Germania fedele a Mosca) rassegnò le dimissioni dicendosi certo che il muro avrebbe retto altri cent’anni. Lo sostituì, a stretto giro di posta, Egon Krenz, che aveva capito perfettamente che non era più tempo per la dittatura feroce cui ci aveva abituati il suo predecessore. (vedere il film: Le vite degli altri; pessima traduzione dall’originale Das Leben der Anderen: La vita …).

Inoltre erano giorni che affluivano in Germania profughi dai paesi d’oltre cortina (Bergamopost lo ha già raccontato, qui). Questi profughi crescevano come The Blob, la creatura gelatinosa che invadeva - in un vecchio film - una cittadina della Pennsylvania. E così Krenz, d’accordo con le autorità comuniste cecoslovacche, riuscì a convincere il Politburo (cioè Mosca) che sarebbe stato meglio per tutti lasciar andare quella fiumana di gente direttamente oltre confine attraverso punti di passaggio noti e stabiliti. La regola doveva valere anche per il passaggio da Berlino Est a Berlino Ovest.

Fu così che in data 9 novembre 1989 - e qui comincia il mistero vero e proprio - l’amministrazione della DDR decise, in assoluta autonomia, di estendere l’iniziativa anche ai cittadini tedeschi che volessero recarsi in Occidente per un breve periodo di svago. Si trattava di un fatto di per sé fuori da ogni possibile previsione, soprattutto perché non era l’esito di una decisione politica, ma il frutto spontaneo dell’iniziativa di qualche funzionario. Ma noi, di qua, non ne avevamo saputo niente perché l’ordinanza avrebbe dovuto entrare in vigore soltanto il giorno dopo, il 10 novembre.

A questo punto entra in scena Günter Schabowski, segretario del Partito Socialista di Berlino nonché portavoce di quello nazionale. Sarebbe spettato a lui il compito di dare l’annuncio del provvedimento in una conferenza stampa già fissata per le 18 di quel fantastico giovedì. C’era solo un problema: Schabowski non ne sapeva niente. O meglio: non ne seppe niente fino a quando, pochi minuti prima di entrare in sala, gli passarono un biglietto con la variante dei viaggi all’estero per i cittadini tedeschi. Niente altro. Nessuno si premurò di fargli presente che il regolamento sarebbe andato in vigore il 10 per avere il tempo di diramare l’informativa ai vari punti di confine con le istruzioni allegate. I tedeschi sono molto precisi in fatto di tempistica amministrativa.

La conferenza ebbe inizio. Schabowski disse quel che doveva dire. I giornalisti iniziarono a far domande. Erano le 18.53 quando l’inviato dell’ANSA Riccardo Ehrman (sessantenne, fiorentino), senza sapere cosa stava provocando, chiese semplicemente da che giorno avrebbero avuto validità le nuove disposizioni. Il segretario berlinese nonché portavoce del Partito Socialista della Repubblica Democratica Tedesca si trovò del tutto impreparato alla domanda. Farfugliò dapprima che secondo lui erano in vigore da quel giorno stesso e cercò di riprendersi con la frase imperitura: “Per quel che mi è dato di capire, hanno effetto immediato, da subito”. (Das tritt nach meiner Kenntnis… ist das sofort, unverzüglich.) E per difendersi dalla gragnola di domande successive confermò che la cosa, certo, riguardava anche i punti di passaggio fra le due Berlino, che fino a quel momento non aveva nominato.

Pochi minuti dopo (alle 19.15) la rubrica “Oggi” della ZDF (il secondo canale della televisione tedesca occidentale) girò la notizia a tutto il mondo e il telegiornale delle 20 dell’ARD - il principale gruppo radiotelevisivo pubblico - la riprese consacrandola. Pochi minuti ancora e anche i Tedeschi dell’Est si trovarono informati. Quando, più tardi, l’anchorman della trasmissione “Temi del Giorno” dell’ARD Hans Joachim Friedrichs urlò - educatamente, ma urlò: “Questo è un giorno storico. La Germania Est ha annunciato che, da ora subito, i suoi confini sono aperti per tutti. La DDR ha aperto i suoi confini …I varchi del Muro di Berlino sono stati aperti” uno tsunami di gente si precipitò ai sei checkpoint del muro ordinando alle guardie di aprirli immediatamente. I militari di turno, che non avevano avuto tempo di guardare la tv, furono colti di sorpresa: le linee telefoniche tra loro e i superiori divennero bollenti. All’inizio si sentirono rispondere - da chi evidentemente non aveva la minima percezione di quel che stava succedendo - di timbrare sui passaporti dei più scalmanati la scritta “Espulso”, per evitare che tornassero. Ma la ressa era tale da rendere impossibile l’esecuzione dell’improvvisata raccomandazione. Erano ormai migliaia le persone che, al grido di “L’ha detto Schabowski che si può!” travolsero cancelli, tornielli, transenne e quant’altro per spargersi come un’onda di piena nella notte, nella terra che era stata loro preclusa per tanto tempo.

E fu birra gratis per tutti e per tutta la notte.

Il Muro sarebbe stato smantellato in seguito, con procedure diverse. Chi scrive ricorda perfettamente dov’era quando accadde il fattaccio. Aveva in testa due cose: un tram di Berlino Est che aveva visto anni prima, fermo al capolinea, al confine di uno “spazio di morte” (un’area brulla disseminata di cavalli di Frisia e blocchi di cemento) che si stendeva dal muro - nei pressi di Potsdamer Platz - a dei palazzoni grigi e male illuminati dall’altra parte. Una tristezza infinita. Ogni sera i berlinesi salivano sul palco di legno fatto apposta per guardare di là, e stavano lì. In silenzio, per delle mezz’ore.

La seconda: una conversazione notturna propiziata dal ritardo di due ore del Berlino-Bruxelles alla stazione di Amburgo, con un tedesco che, al momento in cui era iniziata la costruzione del muro, si era trovato lui di qua e la famiglia di là. Da allora non aveva più saputo niente dei figli e della moglie. Aveva finito le vacanze, i soldi, e anche la bottiglia di whisky. Faceva così ogni anno: lavorava, andava in vacanza, finiva i soldi con l’ultima bottiglia. Aveva voglia di parlare. Avevamo tempo.

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