Assegnati i Nobel per la Pace

A Oslo hanno vinto i bambini (nient'altro da dire)

A Oslo hanno vinto i bambini (nient'altro da dire)
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C’era chi diceva Denis Mukwege, un ginecologo che cura le donne vittime di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo, e chi diceva gli attivisti giapponesi contrari alla revisione dell’Articolo 9 della Costituzione, che stabilisce la “rinuncia alla guerra come diritto sovrano della nazione”. Altri avrebbero voluto premiare il periodico russo Novaya Gazeta (quello di Anna Politkovskaja) impegnato nella denuncia casi di corruzione nell’amministrazione pubblica e nella politica della Russia. C’erano poi i sostenitori di papa Francesco e quelli di Edward Snowden. Invece il premio Nobel per la Pace è stato dato a una ragazzina, Malala Yousafzay, e a un uomo dal nome difficile da pronunciare, Kailash Satyarthi. Il presidente del comitato per il Nobel, Thorbjoern Jaglan, ha così motivato l’assegnazione dell’importante riconoscimento, comprensivo di 975 mila euro: «per il loro impegno contro la sopraffazione nei confronti dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini a un’istruzione».

Non c’è chi non conosca Malala Yousafzai. (E se c’è, questo è il momento buono per fare ammenda). Quando aveva 13 anni, nel 2009, aveva preso a due mani il coraggio di scrivere sulla e contro guerra che dilaniava il suo paese, il Pakistan. Solo che lo faceva pubblicamente, sul sito in urdu della BBC. Andò avanti per tre anni, ricevendo “un premio nazionale per la pace” dal primo ministro pakistano e affermando di volere fondare un partito politico, di volersi dare da fare per le ragazze della sua regione, Mingora. Sembra che la sua determinazione fosse dilagante e, quando Malala aveva 15 anni, il preside della sua scuola, insieme a qualche insegnante, sfidò il divieto dei talebani, richiamando tutti in classe. Il 9 ottobre 2012, però, il pulmino che la stava portando a lezione insieme a compagni e maestri venne fermato da un gruppo di talebani, che chiesero chi di loro scolare fosse “quella che scriveva”. Una delle ragazze indicò Malala e un talebano sparò ad entrambe. Il colpo di pistola diretto contro Malala la ferì alla testa e al collo.

Venne operata d’urgenza in Pakistan, a Peshawar e poi a Birmingham in Inghilterra. Perché non si voleva fare morire, la ragazzina che scriveva. Così è sopravvissuta, per diventare ambasciatrice delle Nazioni Unite, e per raccontare la sua storia, Io sono Malala. Il titolo è semplice e prezioso, come una presentazione a mano tesa. Prima di essere insignita del Nobel, a Malala è stato riconosciuto anche il premio Sakharov per la libertà di pensiero.

L’altro vincitore, Kailash Satyarthi, è indiano ed è nato nel 1954. Membro di un’ organizzazione internazionale, l’International Center on Child Labor and Education, un associazione di NGO, insegnanti e sindacalisti, è un attivista per i diritti dei bambini sin dagli anni Novanta. Il suo impegno contro il lavoro minorile è anche una battaglia contro la povertà, la disoccupazione, l’analfabetismo. Ed è una battaglia seria, che ha ottenuto importanti vincite sul campo: l’organizzazione di Satyarthi, Bachpan Bachao Andolan, ha liberato più di 80 mila bambini da varie forme di schiavitù e gli ha aiutati fornendo loro cure, affetto e educazione. Ha fondato Rugmark, il primo sistema di certificazione per i tappeti realizzati senza l’impiego del lavoro infantile. Inoltre, Satyarthi è intensamente impegnato nell’elaborazione di legislazioni nazionali e internazionali volte a garantire la protezione dell’infanzia.

Queste le storie e i meriti dei due che hanno vinto il premio. E c’è poco da dire, per questa volta quelli del Nobel un «ben fatto» se lo meritano proprio.

 

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