L’intervista

«Basta sandali e occhiali a goccia Tanto io faccio ridere lo stesso»

«Basta sandali e occhiali a goccia Tanto io faccio ridere lo stesso»
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A Bergamo c'è già stato lo scorso anno, il 17 marzo, con Io ci sarò. Ma lo spettacolo continua a piacere, fa tutto esaurito ovunque, e allora Andrea Sasdelli, in arte Giuseppe Giacobazzi, lo riporta al Creberg stasera (venerdì 16) e domani (sabato 17). È pensato da un genitore maturo (Sasdelli ne ha 54) che a un certo punto, davanti allo sgambettare della sua bimba (nata da una fecondazione assistita), si chiede: sarò ancora qui quando nasceranno i miei nipoti? E sarò in grado di comunicare con loro, di raccontare il mio tempo? Nel dubbio, Giacobazzi decide di mettere in scena un monologo registrato di serata in serata, parlando direttamente a quell’adolescente che in un futuro ancora lontano magari vorrà sapere di lui, di come andava il mondo prima di nascere. Lo fa con quel bell’accento, romagnolo doc. Ed emana un’energia umoristica immensa, accompagnata da grande bravura nel saperla trasformare d’improvviso in commozione. Grazie anche a quella straordinaria arma che è l’empatia.

 

 

Doppio spettacolo, dopo il sold out dell'anno scorso. Non male.

«Non so quanti abitanti abbia Bergamo, ma evidentemente c'è un sacco di gente che mi vuole bene».

È cambiato qualcosa, nel testo?

«Ho asciugato alcuni pezzi, però alla fine la durata è sempre uguale: evidentemente si è arricchito di alcune sfumature che non avevo immaginato».

 

 

Cosa si augura per il futuro, nello spettacolo?

«Che ci sia ancora qualcuno che suoni uno strumento musicale, perché sempre di più si usa il computer. Che non ci siano più militari, perché spero che sette miliardi e mezzo di persone abbiano imparato a convivere. Metto a confronto un po’ di tecnologia: ricordo le cabine telefoniche. Spero che il cinema esista ancora: è sempre più in crisi, mentre per noi era bello e importante».

Con la maturazione artistica è venuto meno anche il lato macchiettistico.

«Un percorso di maturità o di vecchiaia, a seconda se si è ottimisti o pessimisti (ride, ndr). Ho rinunciato a sandali e occhiali con la ribaltina. Il primo che me lo disse fu Giobbe Covatta: "Guarda che non ti servono. A me è successa la stessa cosa: una volta andavo in giro sempre con il saio, poi l'ho lasciato a casa ed ero terrorizzato. La gente rideva lo stesso, quindi non l'ho più portato"».

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 49 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 22 febbraio. In versione digitale, qui.

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