Un capolavoro misterioso

Il nuovo allestimento a Brera del Cristo morto del Mantegna

Il nuovo allestimento a Brera del Cristo morto del Mantegna
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Un blu intenso ci accoglie nel sala lunga e stretta, che è la più ricercata della Pinacoteca di Brera. È qui che si trova la vera icona del Museo. L’immagine che, come il Cenacolo, qualunque turista vuole vedere, una volta arrivato a Milano. È il celebre Cristo morto di Mantegna che il nuovo direttore di Brera, l’inglese James Bradburne, ha voluto sistemare in un nuovo allestimento. Tre anni fa per il celebre Cristo di “scurto” era stato progettato un allestimento molto coinvolgente di Ermanno Olmi: il grande regista aveva tolto il quadro dalla cornice e lo aveva incassato su una parete nera, posizionandolo in basso, quasi come invito ad inginocchiarsi davanti a quell’icona della sofferenza. Un allestimento affascinante ma molto discusso, che aveva una sua ragion d’essere solo in quanto pensato come allestimento a tempo. Ma mettere mano all’idea di una star come Emanno Olmi comunque è sempre operazione mediaticamente delicata, e ci è voluta l’energia del nuovo direttore “straniero” per far “liberare” il Cristo morto.

 

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Ora il quadro è stato messo su una paretina che taglia la lunga sala progettata negli anni settanta da Vittorio Gregotti. Un tramezzo che evidenza subito la presenza del capolavoro a chiunque entri in quello spazio. Per rimarcare questo ritorno, Bradburne ha proposto un affiancamento: ha presentato Mantegna con due quadri di autori famosi, ispirati da questa immagine. Uno è uno stupendo e famoso Cristo morto di Annibale Carracci; l’altro è un analogo soggetto di Orazio Borgianni, pittore caravaggesco romano.

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Il capolavoro di Mantegna è un quadro misterioso, perché non se ne conosce la storia né tanto meno la committenza. Secondo alcune testimonianze sarebbe stato trovato in casa del maestro al momento della sua morte, ma è tesi che lascia qualche dubbio, perché il quadro dal punto di vista stilistico viene riferito al 1483, mentre lui morì oltre vent’anni dopo. È raro anche il soggetto: Cristo viene rappresentato disteso sulla pietra dell’Unzione (quella che oggi è conservata alla Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme: ma non sarebbe l’originale). Infatti ai lati si vedono i vasi degli unguenti, mentre tre figure, schiacciate quasi sul limite della tela, piangono premia di adoperarsi al rito.

Ovviamente la cosa prodigiosa del quadro è l’audacia di questa prospettiva, che non è precisa dal punto di vista delle regole geometriche (se si alzasse in piedi, Cristo avrebbe un volto gigantesco e fuori proporzione), ma è potentemente drammatica dal punto di vista dell’effetto complessivo. Il Cristo di “scurto” visto dai piedi è emblema della libertà che il cattolicesimo concedeva agli artisti quando li chiamava a reimmaginare la storia sacra. E dall’altra è un’immagine piena di una tale energia visiva, da scuotere l’anima anche degli uomini del nostro tempo. Si direbbe oggi che è un’immagine “che buca”. Che perfora lo spazio non solo in direzione del fondo della tela, ma anche in direzione di chi guarda. Un’immagine che “inchioda” il visitatore. E che rende ragione di questo colore blu intenso che Bradburne ha voluto per la sala: è il colore adatto a rendere la carica di energia che il 400 italiano sapeva sprigionare e che trova nel capolavoro di Mantegna un proprio apice.

 

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Perché, altro titolo di merito del neo direttore, i quadri sono messi in sequenza cronologica. Così si può vedere la pittura italiana cambiare, per approdare nel 1510 alla dolcezza della Madonna di Bellini, che è posizionata sulla parete di fondo. In questo modo si crea un magnifico “cannocchiale visivo” capace di tenere dentro un solo sguardo Mantegna e il capolavoro di colui (il Giambellino) che, tra parentesi, era anche suo cognato.

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