Reportage di Mario Rota

La festa dei gitani in Camargue In bianco e nero da un altro mondo

La festa dei gitani in Camargue In bianco e nero da un altro mondo
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Photocredit BergamoPost / Mario Rota.

 

Siamo nel Sud della Francia, precisamente in Camargue, una regione tra Marseille, Arles e Montpellier, costituita dal più grande delta fluviale dell'Europa Occidentale: una pianura comprendente vaste lagune di acqua salata divise dal mare da banchi di sabbia e circondate da paludi coperte da canneti, a loro volta attorniati da pascoli e grandi aree coltivate. Les Saintes-Maries-de-la-Mer, piccolo centro di quasi duemilacinquecento anime abbarbicato tra mare, terra e cielo, ne è il capoluogo.

Famosa per i fenicotteri rosa che camminano lentamente nell’acqua bassa, per i maestosi tori neri che pascolano nella brughiera, per i cavalli bianchi di razza camarguais che ancora vivono allo stato brado, per il riso coltivato con acqua salmastra, per le candide saline, per le sansouries, le praterie dal suolo anch’esso salato, per i campi di lavanda di mare, per il vento impetuoso e per i tramonti mozzafiato, questa terra è da lungo tempo meta di turismo proveniente da tutto il mondo. Addirittura il famoso pittore impressionista Vincent van Gogh, che nel 1888 risiedeva ad Arles, a pochi chilometri, decise di trascorrere un breve periodo in questo tranquillo paesino di pescatori. Di questo soggiorno ci restano alcuni dipinti e disegni.

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La leggenda delle Marie del Mare. Ma questa terra è famosa anche per la sua antiche tradizioni religiose: una leggenda vuole che, durante l’impero di Claudio, precisamente nel 48 d.C., approdassero a Les Saintes-Maries-de-la-Mer le "Marie del Mare", Maria Maddalena, Maria Jacobé (sorella di Maria madre di Gesù), Maria Salomé (moglie di Zebedèo e madre degli apostoli Giacomo Maggiore, venerato a Compostela, e Giovanni evangelista), insieme a Lazzaro e a Sara la Nera, loro serva, in fuga dalle persecuzioni in Terra Santa. Una volta messo piede sulla rena alcuni si divisero per andare ad evangelizzare altri luoghi, mentre Maria Salomé e Maria Jacobé,insieme a Sara, si fermarono qui. Questa tradizione è molto antica (se ne trova traccia nella Légende dorée del XIII secolo) ma Sara non figurerà prima del 1521 ne La Légende des Saintes-Maries, mentre la devozione a lei sarà nota solo dopo il 1800.

Sara, la patrona dei gitani. Ma è proprio Sara la Nera o Sara-la-Kali, serva delle Marie (che fosse di origine egiziana, o una nobile del posto, o identificata con la dea Kalì indiana, riconoscendo così le origini indiane dei gitani che arrivarono in Francia nel IX secolo o, secondo un’altra eretica tradizione, figlia di Gesù e di Maria Maddalena), che venne scelta dalla “nazione” della Gens de Voyage come la propria patrona ed attorno alla sua figura ruota l’annuale rito del pellegrinaggio: la Sainte Sarah, santa mai riconosciuta dalla Chiesa, ma acclamata tale a furor di popolo da clero e fedeli.

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Una grande festa. Per festeggiare Sarah e le Maries-de-la-Mer ogni anno alla fine di maggio dai quattro angoli dell’Europa si radunano le etnie romanì: Rom, Manouches, Tzigani, Gitani oltre a bohémiens e persone che hanno deciso di fare vita nomade. Quest’anno a  Les Saintes-Maries-de-la-Mer erano 25mila. Le prime roulottes e i primi carri hanno cominciato ad arrivare attorno al 18 di maggio e hanno iniziato a formarsi i primi campi temporanei: ogni parcheggio, camping, area di sosta, spiaggia attrezzata si è andata via via riempiendo. Non è solo una festa religiosa: è un’importante evento che permette a clan e gruppi familiari sparsi in tutta Europa di ritrovarsi, festeggiare matrimoni e battesimi, concludere affari, piangere e ricordare i propri defunti.

Ovunque sono ostentati i simboli religiosi che verranno portati in processione mentre bambini e ragazzi vanno in giro armati di pistole giocattolo (e vere), sotto gli sguardi attenti degli uomini della Gendarmerie, che lasciano correre. Tra musica, canti, balli, vestiti dai colori sgargianti, tante grigliate di carne, vino a fiumi, zingare che leggono la mano predicendo il futuro ma anche notti passate a parlare in italo-franco-spagnolo-inglese con nomadi di tutto il mondo, arriva il clou della festa.

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La solenne cerimonia. La mattina del 24 di maggio trascorre tra l’interminabile processione di fedeli e turisti che rendono omaggio alla statua della Sainte Sarah situata nella cripta della chiesa di Notre-Dame-de-la-Mer, addobbandola con vestiti, mantelli e gioielli, e partecipano alla messa solenne alla presenza di un arcivescovo, di due vescovi, dei membri della Confraternita delle Saintes Maries e dei fortunati che riescono entrare in una chiesa eufemisticamente definibile come stracolma. Il clima della celebrazione è molto festoso ed è costellato da canti dal sapore gitano e da continue acclamazioni alle sante: «Viva le Saintes Maries, Viva le Sainte Sarah». Al momento dell’Eucarestia l’arcivescovo si raccomanda che solo chi si è preparato si accosti alla comunione ma è chiaro che molti dei presenti si comunicano senza conoscere bene cosa stiano facendo e per puro spirito di partecipazione a un rito collettivo.

La statua nel mare. Il pomeriggio è dedicato alla grande processione durante la quale la statua nera di Sainte Sarah, preceduta dai Gardians, i butteri in sella ai tipici cavalli bianchi, viene trasportata a spalla dai romanì per tutto il paese fino ad arrivare al mare, dove viene bagnata per purificarla. Dicono infatti che la statua, toccata tutto l'anno dai fedeli in cerca di aiuto, si carichi di energia negativa, e per questo è necessaria l'acqua, per darle di nuovo respiro. Una volta in spiaggia i Gardians a cavallo fendono la folla e prendono posto in acqua, seguiti dai portatori della croce; poi viene una bellissima ragazza di etnia rom in abiti tradizionali, che reca una piccola effigie della santa, precedendo la grande statua. Ci sono quasi 20mila persone ma quando giunge sulla battigia per un attimo tutto si ferma; lei prosegue nell’acqua, sola, mentre una donna la incita in spagnolo. Avanza alcuni metri nel mare freddissimo poi si bagna il capo e bagna la statuetta. Siamo in presenza di un rituale di purificazione senza tempo, pur essendo stato introdotto di fatto solo recentemente. Poi tutti escono dall’acqua e la processione se ne torna alla Chiesa come è venuta: tra canti religiosi, musiche tradizionali, acclamazioni ed il carillon delle campane.

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La processione delle Marie del Mare. Il giorno dopo, il 25 di maggio, è il turno della processione delle Saintes Maries; durante la notte buona parte dei nomadi convenuti per la festa di Sainte Sarah è partita, quindi la festa si preannuncia in tono minore. Sulla spiaggia dove è posizionata una vecchia, piccola barca da pesca che sembra essere uscita da un dipinto di van Gogh: è su di essa che l’arcivescovo salirà per dare il benvenuto alle sante a ricordo del loro approdo sulle spiagge della terra di Gallia. A poppa, laddove un tempo c’era il timone di governo dell’imbarcazione, siede fieramente Roger, il più anziano pescatore della zona, che con quella barchetta è uscito a pesca per sessant’anni. La processione che prevede il medesimo rito di purificazione delle statue delle sante in mare; pur essendoci “solo” 12mila persone in spiaggia l’evento ha il medesimo fascino del giorno precedente.

Volti e canti. Terminato il rito, passando per un accampamento di carri e roulottes, si è attratti dalla musica, dai canti, dalla bellezza di alcune ragazze. Si tratta di un unico gruppo familiare di gitani francesi di lingua spagnola ricongiuntosi per l’occasione. Il pater familias, che viene dal Périgord, ha cantato e suonato quasi ininterrottamente per tre giorni e tre notti; è una musica struggente, un canto a braccio che colgo piano piano e mi pare la cosa più simile al blues che abbia mai sentito: parla di amori andati male, della vita della strada, della musica, di Dio, di alcool. Un anziano suona uno strumento ritmico autocostruito mettendo insieme una canna di bambù, un pezzo di inferriata, campanacci e tamburelli; un musicista italiano si ferma e prende la chitarra mentre gli altri membri del clan osservano, ascoltano, approvano. Le foto dei parenti defunti campeggiano sul tavolo, sorridenti mentre Livia in abiti candidi balla tra le sedie.

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C’è Jan, olandese, un bohémien che gira l’Europa su un carro di legno trainato da un cavallo bianco; Loic, di origini siciliane che racconta del nonno, fuggito dalla mafia in Sicilia e del padre che costruiva organetti; Marcel, francese, laureato in informatica e diplomato al conservatorio, che spiega che la sua è la prima generazione che nasce e vive in una casa di mattoni costruita dal padre. C’è Manuel, di antiche origini slave, che abita vicino a Bergamo e lavora come giostraio e manovale.

E poi c’è Marious, in spiaggia. Ha una poesia tatuata sul petto e mi dice di essere un bohémien. Lavora «perché il lavoro è importante, ricorda ragazzo!» per guadagnare il tanto che basta per spostarsi da un luogo all’altro. «Io avevo una casa ed un buon lavoro; da qualche anno sono in viaggio perché solo viaggiare ti permette di vedere, conoscere posti, persone, di parlare, di condividere, di crescere. Siamo in un mondo dove tutti ti dicono cosa devi fare e cosa non puoi fare. Ci sono sempre più leggi che vietano qualcosa ed altre leggi che vogliono controllare tutto quello che fai. Leggi e divieti, leggi e divieti. E ad ogni legge, ad ogni divieto, ad ogni controllo tu sei un po’ meno libero non di fuori, di dentro. Viaggiare mi permette di vedere, conoscere, di capire; lentamente, per quello che posso vedere, capire e conoscere io. E questo mi rende libero, se non al di fuori almeno al di dentro».

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