Alla Gamec fino a maggio

La mostra su Raffaello in 5 capitoli Perché «l'arte ha bisogno di storie»

La mostra su Raffaello in 5 capitoli Perché «l'arte ha bisogno di storie»
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«L’Arte ha bisogno di storie» scriveva Francesco Bonami lo scorso aprile, riferendosi alla mostra di Damien Hirst a Venezia. E il parallelo non sembri blasfemo: per proporre un’esposizione che “funzioni”, anche di arte antica, come nel caso di Raffaello e l’eco del mito, bisogna costruire una storia. Abbiamo sempre più bisogno di mostre che nascano attorno a un’idea, a un progetto di ricerca che abbia l’ambizione di aumentare la conoscenza. Ed è attorno al San Sebastiano, capolavoro giovanile di Raffaello, parte delle raccolte della Carrara, che l’esposizione, a cura di Maria Cristina Rodeschini, Emanuela Daffra e Giacinto Di Pietrantonio, racconta una storia: la formazione del maestro urbinate, la sua attività giovanile e la sua fortuna tra l’Ottocento e il contemporaneo.

Tra le prime opere note di Raffaello, non ancora ventenne, il San Sebastiano, è certamente un’immagine sacra destinata alla devozione privata. Se ne persero le tracce per lungo tempo e riapparve a l l’inizio dell’800 nella collezione dei marchesi Zurla a Crema, poi di Giuseppe Longhi a Milano, per passare infine nella raccolta di Guglielmo Lochis che la donò alla Carrara. Dolcissimo, col capo leggermente inclinato, lo sguardo che pare scivolare di lato, i gesti quieti e rallentati, il Santo è raffigurato a mezzobusto, mentre, con la mano sinistra, tiene una freccia, attributo iconografico che rimanda al suo martirio. La cronologia del dipinto ha indirizzato lo sguardo sull’a mbiente in cui Raffaello crebbe.

 

Giovanni Santi, Madonna con il Bambino e due angeli, 1481-1489 circa

 

Primo Capitolo: le opere dei maestri. Le opere dei “maestri” come il padre, Giovanni Santi, e con lui Perugino, Pinturicchio e Luca Signorelli, raccontano la formazione di Raffaello contestualizzata storicamente n e l l’Urbino prima di Federico poi del figlio Guidobaldo da Montefeltro. Quella Urbino “irripetibile” condensata nella mostra in opere emblematiche dell’ambiente che circonda Raffaello agli esordi, gli fornisce i primi riferimenti, rende possibile la sua crescita futura. Avendo quindi come punto di riferimento specifico il San Sebastiano, la mostra presenta, come dicevamo, i “maestri”: in un’ideale genealogia il primo posto spetta al padre Giovanni sia nell’educazione artistica del figlio sia come figura di riferimento capace di incarnare un esempio emblematico della nuova figura di pittore umanista. Seguono Pinturicchio, che il San Sebastiano evoca nei raffinati decori delle vesti (in mostra, tra gli altri, il suggestivo Il Bambin Gesù delle mani) e Pietro Vannucci, il Perugino, «la cui presenza si legge in filigrana nella tavola bergamasca», in mostra con la splendida pala: Madonna con Bambino in trono tra i santi Giovanni evangelista e Agostino. Segue la sala che presenta il raro e poco noto Libretto veneziano o Libretto di Raffaello: una testimonianza interessante, attribuibile forse a un artista molto vicino a Raffaello che, ai primi del Cinquecento, ha messo in ordine e replicato, in bella copia, una serie di appunti grafici radunati dal giovane urbinate in anni di studi e di viaggi. Ancora una testimonianza che conferma l’ampiezza della cultura figurativa di Raffaello nonché uno sguardo attento e senza preclusioni sui fatti più moderni della pittura dell’Italia Centrale.

 

Perugino, San Sebastiano, 1495 circa

 

Secondo Capitolo: Raffaello Magister. Si racconta qui l’inizio della vorticosa attività di Raffaello che alterna grandi dipinti, evocati in mostra dalle pre delle della Pala di san Nicola da Tolentino, a piccoli arredi liturgici (bellissima e preziosa la piccola Croce processionale del Museo Poldi Pezzoli di Milano). Si può così ammirare la crescente autonomia dai modelli del Perugino: straordinario il gioco di sguardi tra il Bambino e San Giovannino nella cosiddetta Ma donna Diotallevi, un’immagine viva, toccante. Ma il percorso trova un vero e proprio sigillo nel San Michele del Louvre realizzato per la corte di Urbino: il combattimento avviene in un luogo infernale, dove sono ancora una volta protagonisti i colori della terra (come accade in altri lavori di Raffaello), e dove spicca il rosso, sul lato sinistro della tela, proprio dove in lontananza si scorgono le mura di un castello in fiamme, identificato dagli studiosi come la città di Dite, dove Dante Alighieri colloca il Sesto cerchio dell’Inferno, quello degli eretici ed epicurei. Il giovane arcangelo affonda nello spazio, «dinamico fratello di San Sebastiano e come lui distaccato, elegante nell’abito e nei gesti».

Terzo Capitolo: intorno al San Sebastiano. Il San Sebastiano è, all’interno del percorso espositivo, posto in dialogo con opere di autori che hanno affrontato sia lo stesso tema iconografico sia il genere del ritratto sullo sfondo di paesaggio - invenzione per eccellenza della cultura fiamminga - di cui sono presenti alcune testimonianze, dal Ritratto d’uomo di Hans Memling al San Sebastiano di Pietro de Saliba fino alle due opere Ritratto di giovane come San Sebastiano di Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d’Oggiono, allievi di Leonardo a Milano.

 

Francesco Diofebi, L’apertura della tomba di Raffaello al Pantheon nel 1833

 

Quarto Capitolo: Raffaello riscoperto. La fama di Raffaello, già mito in vita, è destinata a propagarsi come un’eco lungo i secoli, in particolare nell’Ottocento, dove il fascino esercitato dalla sua vicenda artistica, tanto breve quanto intensa, alimenta storie di fantasia di derivazione romantica, tra arte e umane passioni. Ne è l’emblema il dipinto La Fornarina in prestito dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma (Palazzo Barberini) inesauribile fonte di ispirazione di cui sono esempi in mostra le opere di Giuseppe Sogni, Francesco Gandolfi, Felice Schiavoni e Cesare Mussini. «Fu Raffaello persona molto amorosa et affezzionata alle donne, e di continuo presto ai servigi loro...». Così scrive il Vasari nel suo trattato su Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. E fra le tante donne, quella che più incanta e seduce il Pittore, è una giovane del Rione Trastevere, Margherita Luzi, conosciuta come “la Fornarina” in quanto figlia del fornaio del rione. Raffaello morirà improvvisamente proprio nel letto della donna a soli trentasette anni. Il dipinto di Cesare Mussini, Raffaello spoglia per la prima volta la Fornarina, è una delle tante rivelazioni dell’esposizione: creando una sottile trama di richiami e allusioni, Mussini raffigura qui Raffaello e la Fornarina insistendo sul potere ispiratore dell’amore, discostandosi quindi dalla visione del Vasari secondo il quale quella passione senza limiti avrebbe condotto il pittore alla rovina.

 

 

Quinto Capitolo: l’eco nella contemporaneità. Il fascino dell’opera di Raffaello, che ha proseguito il suo sviluppo nel Novecento e fino ai giorni nostri, è alla base di un ulteriore capitolo d’indagine. Un capitolo nuovo, inusuale, interessante. Il percorso espositivo si completa quindi di un corpus scelto di opere del XX e del XXI secolo realizzate dagli artisti che meglio ne hanno raccolto l’eredità. L’influenza dell’artista urbinate si ritrova infatti nei d’après di Luigi Ontani, Salvo e Francesco Vezzoli, nel tratto di Pablo Picasso, nella magia pittorica di stampo classico di Giorgio de Chirico e Antonio Donghi, nella figurazione celebrativa di Carlo Maria Mariani e nelle fotografie digitali di Mariella Bettineschi. E ancora, nell’opera “impacchettata” di Christo, nelle figure femminili ritratte da Omar Galliani, nella ricerca formale combinata a enigma di Pietro Roccasalva e nei lavori di tre artisti concettuali che dialogheranno con l’opera del Sanzio in un excursus attraverso i secoli: Ettore Spalletti, capace di fare propria l’intimità universale che ha attraversato la storia dell’arte; Luciano Fabro, che evoca uno dei capolavori di Raffaello, e Giulio Paolini, che presenta un’opera inedita realizzata proprio a partire dal San Sebastiano. Citazioni, tributi, ritratti “in veste di”, rivisitazioni iconografiche di celebri artisti un simbolo di dialogo tra Raffaello e gli artisti contemporanei e, soprattutto , di un importante collegamento ideale tra l’Accademia Carrara e la Gamec. Raffaello e l’Eco del mito spiega questa “storia” fatta di molteplici letture, dal Rinascimento ad oggi, una mostra in cui il racconto diventa immagini e le immagini si trasformano in racconti, una mostra che convince!

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