Sta per essere restaurato

Un Romanino imprevedibile e folle Il tesoro dentro Sant'Alessandro

Un Romanino imprevedibile e folle Il tesoro dentro Sant'Alessandro
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Spesso lo ignoriamo, ma le chiese di Bergamo sono spesso degli scrigni pieni di tesori, quasi dei piccoli musei, sempre aperti e per i quali non si paga neppure il biglietto. Fare, ad esempio, l’elenco delle opere custodite in Sant’Alessandro in Colonna rende bene l’idea: ci sono Lotto, Moretto, Cavagna, Salmeggia e Romanino. Bresciani e bergamaschi insieme, in bella compagnia.

Ma è il quadro di Romanino quello oggi al centro dell’attenzione. Per due motivi: è certamente l’opera più importante presente sotto quelle navate e sarà presto restaurato grazie all’intervento della Fondazione Credito Bergamasco.

La pala, che si trova nell’altare sinistro del transetto, rappresenta un’Assunzione: difficile non vederla, dato che è una tela alta quasi cinque metri e considerato che il Romanino è artista molto “chiassoso”, che quindi si fa facilmente notare. È un quadro assolutamente stupendo, imprevedibile e un po’ folle, come lo è spesso questo grande artista bresciano, così caparbiamente alternativo alla retorica della pittura rinascimentale.

Romanino, pittore non a caso amato sia da Testori che da Pasolini, è una bandiera dell’Italia che resiste alle lusinghe dei grandi centri di produzione artistica e resta invece legato a un linguaggio che un tempo si sarebbe detto della provincia. Ma il suo è un modo di essere “provinciale” che lo rende più moderno di tanta pittura coeva. Sappiamo che Romanino non ebbe vita facile, proprio per questa sua determinazione a non cedere alle mode. Più volte pagò il prezzo di committenze passate ad altri, come avvenne clamorosamente nella Cattedrale di Cremona dove l’arrivo del Pordenone, fresco di lezione michelangiolesca, indusse i committenti a rispedire a casa Romanino. Ma oggi il Pordenone è un buon pittore di secondo piano, mentre il Romanino è uno di quegli artisti che ogni museo vorrebbe vedere ben rappresentato nelle proprie sale.

L’opera conservata in Sant’Alessandro esprime bene questa natura un po’ selvatica, ma così libera, di Romanino. Notate innanzitutto l’attenzione di Romanino alla situazione atmosferica: sembra di essere nel clima di una sera bagnata da un acquazzone, con le nuvole ancora gonfie di pioggia e il bel paesaggio prealpino tutto madido. Ma il sole ha fatto in tempo a rispuntare e la sua luce accende di un bel bagliore la tela, venendo da sinistra.

Poi c’è l’aspetto antropologico dei personaggi di Romanino. Sono tutti un po’ scomposti, incuranti di mostrare i piedi nudi in primo piano, costretti ad indossare mantelli per esigenza di posa, in cui però non sono certo a loro agio. C’è una selvatichezza umana in questi apostoli, che Romanino sottrae al galateo un po’ formale imposto dalla pittura rinascimentale. Ma questa selvatichezza, questo ciacolare un po’ disordinato degli apostoli, questa loro concitazione, è l’accento attraverso il quale Romanino riporta la realtà al cuore della pittura, aprendo le porte così al grande Caravaggio, che – ricordiamocelo - proprio in terre bergamasche avrebbe mosso i suoi primi passi.

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