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Sofia Goggia, la serata tutta per lei e la gioia di Giulia per un autografo

Sofia Goggia, la serata tutta per lei e la gioia di Giulia per un autografo
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«È bello alimentare i sogni dei più piccoli». La saggezza e la spontaneità di Sofia Goggia ci raccontano, in sintesi, il senso della vita. Le parole le ha pronunciate al termine della festa che il Comune di Bergamo ha organizzato per lei al Palanorda sabato 24 sera, prima della partita di campionato della BB14 (evento condotto dal giornalista Fulvio Giuliani, noto speaker radiofonico di Rtl 102.5). Sofia, medaglia d’oro olimpica di discesa libera e vincitrice della coppetta del mondo nella medesima specialità, ha risposto così ai tanti giornalisti che le hanno chiesto cosa significasse per lei essere abbracciata, baciata, fotografata, da decine e decine di piccoli fan. E lei ha risposto, dopo essersi concessa a tutti (ma davvero a tutti, dal sindaco Giorgio Gori fino all’ultimo dei tifosi), che l’aspetto più bello e concreto è alimentare i loro sogni. Del resto, le persone che lasciano il segno e che verranno ricordate per sempre sono proprio quelle che tracciano un solco - più o meno grande - nella vita degli altri. Sofia Goggia è tra queste persone e ieri l’ha certificato dispensando - sempre con spontaneità, convinzione, decisione, consapevolezza - insegnamenti ed esempi. Ai bambini prima di tutto, perché le loro voci acute che invocavano «Sofia! Sofia! Sofia!» erano piene di stima, affetto, amore. Per una sera le nuove generazioni hanno ritrovato nella loro testa un idolo in carne e ossa.

 

 

Il simbolo dei baby fan è la piccola Giulia, troppo piccola per farsi largo nella folla che si è creata attorno a Sofia per un autografo o un selfie. Demorde e, in lacrime, si siede in disparte con la madre che cerca di consolarla. Ma, all’improvviso, è proprio la mamma di Sofia che esce dalla ressa con una cartolina della figlia in mano e il suo autografo marchiato sopra. Si avvicina a lei e glielo consegna, specificandole che è proprio per lei. C’è un attimo in cui le lacrime di tristezza si mischiano con quelle di gioia. Giulia ha l’espressione dei bambini bergamaschi quando si svegliano la mattina del 13 dicembre. Abbraccia e bacia la mamma di Sofia, poi si porta la cartolina al cuore: un gesto quasi antico che impressiona per genuinità e sentimento.

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Ma Sofia Goggia (che per tutti ormai è “La Goggia” e a Bergamo si sa che quando l’articolo determinativo precede il nome o il cognome di un personaggio significa che questo è entrato nel cuore della gente) è un esempio anche per tutte le donne. La medaglia d’oro al collo ha sostituito qualunque tipo di futile gingillo, la coppa di cristallo in mano, al posto di una borsa griffata e l’esempio concreto ha preso il posto di qualunque tipo di proclamo fine a se stesso. «Impegno, strategia, programmazione, fatica - ha detto Sofia Goggia - sono le mie armi. Bisogna crederci sempre, poi vada come vada». E a chi ha cercato di metterla ancora sul piano della “rivincita” delle donne, Sofia ha risposto: «È stato bello vedere tre atlete lombarde trionfare alle Olimpiadi (lei, insieme a Michela Moioli e Arianna Fontana, ndr.), ma mi sarebbe piaciuto che fossero arrivate più medaglie “miste” e quindi anche dai nostri colleghi maschi». Della differenza tra donne e uomini, neanche l’ombra. Quasi a dire che parlarne non serve: basta vincere e portare risultati per perorare la causa, semmai.

Goggia poi ha portato una ventata di novità e di passione attorno allo sci italiano. Ci riuscì la valanga azzurra per prima, poi Tomba e Compagnoni (citati dalla stessa campionessa) e ora lei. Sono quei momenti in cui uno sport meno popolare conquista appassionati grazie a un atleta. Sono quei momenti in cui i piccoli iniziano a sciare “per diventare come La Goggia”, sono quei momenti in cui si acquista lo stesso abbigliamento tecnico della propria beniamina e in cui, pur non capendo nulla di sci, ci si ferma per vedere la gara della propria concittadina o per spendere un sabato sera al Palazzetto ad applaudirla.

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Infine è il team di Sofia Goggia che ha lasciato un piccolo insegnamento, perché la bellezza di questa ragazza sta anche in tutto quello che lo circonda, ad iniziare dalla famiglia. In sala stampa, a premiazione finita, Sofia sta rispondendo alle domande dei giornalisti. Spunta la sua testa tra luci, telecamere e microfoni ben puntati su di lei. Improvvisamente, il profilo del padre si incunea in uno spiraglio. Da circa mezzora sta aggirandosi nel Palazzetto con in mano un mazzo di fiori consegnato a Sofia durante la cerimonia. Lo conserva come fosse più prezioso della medaglia d’oro, con lo sguardo disincantato di chi cerca di destreggiarsi in una situazione nuova. Ora è nella selva di giornalisti e non appena trova il varco, chiede ad un cronista con la voce bassa e preoccupata: «Se la sta cavando?». Nella sua domanda c’è un padre che spera di aver cresciuto a dovere una figlia, che spera di vederla a proprio agio, che spera di averle trasmesso valori forti e principi sani, che si augura possa parlare correttamente e con tutti, che possa stare bene al mondo. Delle vittorie, degli autografi, dei selfie, della celebrità, poco importa. Forse è più importante un mazzo di fiori che una medaglia d’oro in certi momenti: il primo è un dono ricevuto da altri, l’altro un onore sportivo conquistato.

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