Mercoledì sera a Bergamo

«Vi racconto la tragedia siriana e a voi cristiani dico: urlate!»

Mercoledì 10 settembre, a Bergamo, nel salone del Convento dei Frati Cappuccini il giornalista Samaan Daoud ha parlato della sua Siria. Cristiano cattolico, Daoud vive a Damasco ed è stato testimone diretto del massacro di Maaloula. Questi gli appunti dell’incontro.

«Vi racconto la tragedia siriana  e a voi cristiani dico: urlate!»
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Siria: un crocevia di culture
«Buonasera a tutti. Mi sento commosso davanti a un pubblico così numeroso. Dio vi benedica. Mi chiamo Samaan e vengo da Damasco, dove vivo ancora. Credo ancora in questa città, e nel fatto che la Siria riesca a risollevarsi da tutto ciò che sta accadendo. Ho già avuto la fortuna di visitare Bergamo nel 1992, mentre studiavo al Politecnico di Milano. Nel 1994 sono tornato in Siria, dove ho iniziato a fare la guida turistica portando i pellegrini a visitare i luoghi sacri del Paese. Agli italiani in pellegrinaggio dicevo: “Voi studiate la storia della Chiesa, noi la viviamo”. Dicevo questo perché in Siria ci sono otto chiese diverse. In Italia c’è solo la chiesa latina di rito romano, con l’unica eccezione del rito ambrosiano. In Siria abbiamo tanti riti quante le culture che vi si sono radicate. La Siria era un crocevia: da lì passavano la via della seta, quella del rame e dell’incenso, e alla fine, la via delle tinte - dei pigmenti per la colorazione dei tessuti - comandata dai genovesi e portata avanti fino al 1910. Anche i veneziani, già nel XVI secolo, avevano compreso l’importanza del mio paese. I legami non soltanto economici con l’Europa sono sempre stati molto attivi. Oltre alle chiese cristiane in Siria ci sono ebrei e musulmani. Io sono nato nel quartiere ebraico. Abbiamo sempre vissuto nel rispetto reciproco».

Siria, 2014.

«Oggi le cose sembrano cambiate: 180.000 civili sono morti, 3 milioni di case sono state abbattute, il 50 percento dei siriani non ha un lavoro, 1300 scuole sono state distrutte. L’economia risulta danneggiata per più del 70 percento. Assad è un dittatore, certo: ma chi non direbbe, di fronte a tanto sangue, che è meglio un dittatore che uno spettacolo come questo? Per non parlare di chi dice di volerlo abbattere: tagliatori di teste e mangiatori di cuori. Provo a raccontarvi come ci siamo arrivati.
Tutto ha preso avvio da manifestazioni pacifiche che si sono progressivamente trasformate in azioni di tipo militare. Che cosa ha prodotto questa militarizzazione? chi la dirige? Un nucleo di fanatici composto da militanti provenienti da 80 paesi diversi. È la sintesi del mondo, la Siria. Fra i militanti è stato calcolato che 3000 circa provengano dall’Europa. Mille di questi sono tornati nei loro paesi dopo un periodo di addestramento. Gli italiani sarebbero una settantina. Il più noto era Giuliano, un genovese convertitosi all’islam e morto in Siria l’anno scorso. Il fatto più rilevante è che il 90 percento degli jihadisti europei sono immigrati di seconda generazione, ossia nipoti di emigrati mediorientali in Germania, Francia, Inghilterra».

Le origini del disastro.

«A cosa si deve la situazione odierna? I fattori sono molti e fra loro diversi. Il più importante è lo scontro internazionale per il controllo dei flussi di petrolio e di gas. Un problema all’origine anche del conflitto in Ucraina.
Più in dettaglio: c’era in progetto un oleodotto che dall’Arabia Saudita - grande produttore di oro nero - arrivasse al Mediterraneo e alla Turchia attraversando Giordania e Siria. Il gas, a sua volta, doveva partire dal Quatar e raggiungere le stesse destinazioni sempre attraversando Giordania e Siria, Turchia ed Europa.
La Russia non ha mai visto di buon occhio questo progetto, capace di rendere l’Europa meno dipendente dal gas siberiano. La Siria, dal canto suo, non prevedeva di ospitare gratuitamente sul proprio territorio strutture di trasporto energetico così imponenti. L’Iran, altro paese petrolifero, avanzava richieste simili a quelle di Arabia Saudita e Qatar: se ci passavano loro, dalla Siria, perché non avrebbe potuto passarci il petrolio iraniano?
La situazione era in perfetto stallo quando, nel 2004, gli Stati Uniti decisero di occupare l’Iraq  - altro paese petrolifero, confinante con Siria, Giordania, Turchia e Arabia Saudita - con la scusa di abbattere Saddam Hussein. La conseguenza diretta del vuoto di potere così venutosi a creare è stato il fatto che l’ala  più propriamente militare di al-Quaeda si è spostata dall’Afghanistan, dove si sentiva eccessivamente combattuta, all’Iraq. E qui ha iniziato ad operare. Il terrorismo trova sempre nel sangue e nelle guerre un ottimo brodo di coltura.
I paesi arabi, tuttavia, non sono come quelli europei, in cui l’aspetto religioso è confinato ai bordi. Caduto Saddam, pertanto, l’Iran sciita ha pensato di poter banchettare ai danni dell’Iraq dove stavano convergendo tutti i sunniti del mondo, e in ispecie quelli radicali. E si è scatenato il caos: è la lunga stagione delle autobombe che esplodevano dappertutto.
Alla fine del 2012 la coalizione dei volonterosi - gli Stati Uniti - si ritira lasciando il Paese allo sbando. Ed è in questo vuoto che nasce l’Isis. Primo obiettivo: la Siria Orientale, per occupare la quale la nuova formazione ha potuto contare sul tacito consenso della Turchia, che ha offerto loro libero passaggio attraverso gli 800 km di confine siriano, con Damasco nel frattempo impegnata a reprimere le manifestazioni pacifiche di cui si è detto.
La Turchia continua anche adesso a mantenere un comportamento ambivalente nei confronti dei nuovi arrivati: da una parte li considera fratelli perché musulmani, dall’altra li teme perché li considera schegge impazzite in un ambiente geopolitico già terribilmente instabile.
Gli USA dal canto loro, proseguendo una lunga e consolidata tradizione diplomatica, tendono a raffreddare le tensioni fra il governo di Ankara e l’Isis (promettendo al primo uno scudo antimissile del tipo di quello israeliano anti-Hamas), perché scommettono - senza poterlo dire - sulla vittoria dei tagliagole. Washington ha infatti un solo grande interesse: far arrivare gas e petrolio arabo all’Europa così da ridurre la dipendenza del Vecchio Continente da quello che Bush jr. chiamava “l’asse del male”, il filo che ha tra le sue perle Corea, Iran, Iraq, Siria, Libano, Palestina. L’Isis, spezzando il filo (o l’asse), ha reso il terreno nuovamente disponibile a qualsiasi avventura.
Non credete a nessun discorso americano sulla distruzione dell’Isis in Siria. Forse cercheranno di mandarlo via dall’Iraq, ma solo perché in quell’ormai ex-Paese si è impossessato - senza che nessuno se l’aspettasse - di campi petroliferi importanti, come ad Arbil. Non lo avessero fatto, gli Stati Uniti avrebbero tranquillamente continuato a disinteressarsi dell’Iraq».

Qual è il racconto che l’Isis propone? Tornare alle radici.
«L’Isis è sunnita. Più precisamente ancora sono salafiti, da salaf, che vuol dire “tornare alle radici”. Sono sunniti che agitano la bandiera nera del ritorno alle origini dell’Islam. In realtà questo salto all’indietro ha il volto banale di un contrasto intransigente ad alcune consuetudini sociali per altro recenti: a chiamare i fedeli alla preghiera deve provvedere la voce di un muezzin, non un CD pre-registrato e diffuso tramite altoparlanti; i blue jeans sono la veste del diavolo, bisogna indossare il tradizionale khaftan; il ramadan deve essere vissuto come ai tempi del profeta. Anche la corrente elettrica sarebbe fuori legge se non servisse a realizzare i loro video e a far funzionare l’industria di guerra; è questo il solo motivo per cui ne hanno consentito l’uso alla popolazione per tre, quattro ore al giorno».

Il gioco dei media.
«Il salafita non riconosce “l’altro”. Nemmeno “l’altro” musulmano. Il musulmano che conosco io è quello con cui giocavo da piccolo, quando il salafismo non esisteva, in Siria. I salafiti dei nostri giorni all’inizio vestivano tranquillamente all’europea, con giacca e cravatta. A otto mesi dall’inizio del disordini a Damasco hanno indossato la tunica bianca all’afghana. E dopo altri otto mesi hanno iniziato a tagliare teste. Sono state oltre 500 le teste tagliate prima che il mondo si scandalizzasse vedendo cadere quelle dei due americani.
È un problema legato all’uso dei media. Accompagno tanti giornalisti: quindi so come si lavora, come vengono realizzati i servizi e come vengono montate le immagini. Nel 2011 è passato davanti a casa mia un gruppo di giovani con il cellulare. I filmati di questi ragazzi sono diventati servizi di Al Jazeera e CNN che davano notizie di rivolte contro Assad. Secondo i media internazionali nel 2011 ci sarebbe stata una grossa manifestazione a Hama - una città tra Homs e Aleppo. Hanno parlato di mezzo milione di manifestanti, ma vi assicuro che non superavano i 10.000. Secondo Al Jazeera nel 2011 la Siria era soltanto il teatro di manifestazioni continue anti Assad. E dopo Assad è stata la volta dell’esercito: l’“esercito del dittatore”. Non sono riusciti a distruggere né il primo né il secondo, così si sono buttati sull’economia».

L’inversione delle priorità.
«L’Europa è politicamente ondivaga: cambia idea a seconda del vento. L’anno scorso sono  venuto in Europa e ho detto: “Signori, facciamo attenzione: il Medio Oriente sta per saltare”». Nessuno mi ha creduto, ma quest’anno tutti ripetono: “Dobbiamo stare attenti”. Un po’ tardi, ma bene. Dobbiamo stare attenti perché il nuovo fanatismo non ha confini come non ha confini l’istituto politico che ha generato: il califfato proclamato da al-Baghdadi, che ha già distrutto il confine tra Siria ed Iraq. Una realtà come questa non si combatte certo con l’arma preferita da Obama, ossia i droni. E nemmeno coi bombardamenti tradizionali, perché le bombe affratellano notoriamente i bombardati, che non stanno a guardare per il sottile le ragioni per cui cadono.
Aiutare i fratelli sotto le bombe è divenuta la priorità assoluta. Prima era la jihad spirituale la priorità. Ma aveva l’inconveniente che dovevi decidere di farla ogni volta che ti svegliavi, e poi dovevi fare i conti con la coscienza, e distinguere il giusto dall’ingiusto, e fare altre dolorose constatazioni. I bombardamenti hanno tolto di mezzo queste faticose prese di posizione: c’è un fratello da aiutare; e quindi al diavolo tutto il resto. L’Isis non rappresenta l’Islam, rappresenta solo la voglia di vendetta dell’Islam. Ma bisogna che a dirlo siano tutti gli intellettuali musulmani e le loro istituzioni religiose. Un cristiano non basta».

La perdita del cuore equivale alla perdita dell’identità.
«E poi c’è il fattore ancor più personale. Il cuore, come si dice. A volte mia moglie mi dice: “Ma se arrivano qui cosa faccio? Mi lascio andare? Mi faccio vendere al mercato come le donne cristiane?”. Provate a rispondere voi. Io mi limiterò a fornire alcune coordinate.
Maalula è un villaggio cristiano, 60km a nordovest di Damasco. Il 7 o 8 settembre dell’anno scorso il Papa ha detto: “Bisogna pregare e digiunare per la Siria”. Aveva capito che il diavolo era entrato in azione, perché Maalula è il cuore del cristianesimo nel mondo. C’è la grotta di Santa Tecla, con i suoi resti, e l’altare più antico del mondo. A Maalula i fanatici hanno attaccato immediatamente dopo la preghiera del Papa. Sono entrati nella cittadina 34 Km a nord di Damasco e hanno ucciso tre giovani. Li hanno chiamati fuori dalle loro case e hanno recitato la formula consueta: “O vi convertite all’Islam o vi spariamo”. Non si sono convertiti. Altri sei uomini sono stati rapiti: nessuno sa che fine abbiano fatto. Tre giorni fa è morta una bambina di dieci anni per un colpo di mortaio. Un mio amico, un cameraman che stava andando a filmare una manifestazione pacifica, è stato rapito. Quando è tornato mi ha detto che tutti i giorni gli strappavano qualche dente e che tutte le notti, coltello in mano, gli dicevano: “Domani ti uccidiamo”. Dopo una settimana gli erano rimasti solo due denti. Non voglio parlare di altri ottanta ragazzi e dei ventitré cristiani ortodossi nelle mani dell’Isis in questo esatto momento. Piccole gocce di quello che sta capitando. E sta capitando che il cristianesimo sta scomparendo dalla Siria. Così, quando tornerete a Damasco vi verrà detto: “Qui c’era la Chiesa in cui è stato battezzato San Paolo, da quel muro è stato calato San Paolo”. E se va bene vedrete solo il muro, ma niente più suore e case per orfani di là di quello. Se voi volete una cosa così, sappiate che noi non lo vogliamo. Come cristiani siriani diciamo ai cristiani d’Europa: Urlate. Non mandate armi. Ne siamo sazi. Non ce la facciamo più».

Un appello alle coscienze.
«Fra qualche giorno inizia la scuola: non sappiamo ancora se ci manderemo i nostri figli. Dovrò andare dai Salesiani per alcune traduzioni, ma non so se ci tornerò. Democrazia? No grazie. Perché prima ci arrivano gli jihadisti, a casa mia. Tanti musulmani non li vogliono, ma chi li ascolta? Vogliamo solo vivere rispettando “l’altro” come abbiamo sempre fatto. Ma è un progetto politico che non interessa a nessuno».

 

Qui sotto un video di Daoud sui tre ragazzi uccisi a Maalula.

 

http://youtu.be/AQcf6J2a4pM

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