«Puntiamo su ciò che sappiamo fare»

A Bergamo il lavoro non è più il primo valore (e non è un bene)

A Bergamo il lavoro non è più il primo valore (e non è un bene)
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«No, non ho vinto io e non ha vinto Confindustria. Semmai, ha vinto Bergamo. Ci siamo pianti addosso a lungo, ci siamo detti che non siamo in grado di andare avanti... Poi, sulla Camera di commercio, per la prima volta nella storia abbiamo trovato un accordo per un apparentamento di sistema. Un obiettivo comune da raggiungere insieme, remando tutti nella stessa direzione». È uno Stefano Scaglia carico quello che, a qualche giorno dall’annuale Assemblea generale di Confindustria Bergamo (in programma martedì 12 novembre), fa il punto del suo mandato da presidente, giunto a un anno e mezzo dalla conclusione. E non si poteva non partire dall’ultimo successo strategico che ha portato a casa, in via Camozzi (sebbene la nuova sede al Kilometro Rosso sia quasi conclusa e il trasferimento dovrebbe avvenire a inizio 2020): la “presa” della Camera di commercio grazie a un’asse completato da Confartigianato, Lia, Cdo e Ance e che ha in testa un obiettivo chiaro, ovvero riportare in alto il sistema manifatturiero bergamasco.

 

[La futura sede di Confindustria al Kilometro Rosso]

 

Ok, ha vinto Bergamo. Ma anche Confindustria: avete ottenuto ciò che volevate.

«Allora diciamo che la visione di Confindustria, che è quella di puntare sulla specificità del nostro territorio e sulla valorizzazione dei suoi punti di forza, è stata sposata da tutti».

Ci spieghi meglio questa visione.

«Vogliamo fare in modo che chi pensa a Bergamo, pensi a una certa realtà».

Quella manifatturiera?

«Esattamente. È ciò che sappiamo fare meglio».

In questi anni, le scelte strategiche della città, dal punto di vista economico, sono però andate in un’altra direzione, favorendo il terzo settore. Tornare a puntare sul manifatturiero non è un... passo indietro?

«No. Anzi, secondo me significa guardare avanti. Io ho sempre pensato (e detto) che a Bergamo siamo sempre andati bene perché l’obiettivo di tutti, quello comune, era stato quello di creare lavoro. Il lavoro era un elemento di giudizio della persona, più importante, o quasi, di qualsiasi altro valore. Un elemento qualificante, ecco. Questa cosa credo che si sia un po’ persa».

In che senso?

«Ci siamo illusi che ciò che abbiamo raggiunto sia per sempre e quindi, indipendentemente dagli sforzi e dalle fatiche, pensiamo che tutto sia garantito. Ma non è così! Bisogna continuare a lavorare. E per farlo bisogna riportare al centro del concetto di lavoro ciò che noi siamo capaci di fare meglio. Non è un tornare indietro, tutto è manifattura. Viviamo di manifattura. Poi, ovviamente, c’è modo e modo di fare manifattura e noi proponiamo un modello che permetta un avanzamento, una innovazione nelle modalità e anche nel prodotto finale. Vogliamo valorizzare ciò che siamo capaci di fare».

Pensa che Bergamo abbia perso la sua stima per il lavoro?

«Un pochino sì. O meglio: la stima rimane, ma se prima il creare posti di lavoro e lavorare superava ogni ideologia, adesso non è più così».

Sta dicendo che Bergamo non crede più nel lavoro?

«Non esageriamo. Dico che il lavoro non è più un valore unificante e forte come era un tempo».

Non è una cosa da poco. In qualche modo sta dicendo che Bergamo ha perso la sua identità.

«Per certi versi, sì. Ovviamente, l’evoluzione ha cambiato il concetto di lavoro. E per fortuna, aggiungo. Ma c’è anche una cosa in più: lavoriamo tanto, ci stressiamo, ma il nostro sistema, e qui sto parlando a livello nazionale, è incredibilmente antiproduttivo. Tutto è complicato. Lavoriamo ancora tanto, ma concludiamo poco. Questo porta stress, non aiuta la...

 

Articolo completo a pagina 9 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 14 novembre. In versione digitale, qui.

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