Intervista all'ex pm Avella

Bergamo non ha mai fatto i conti con gli Anni di Piombo

Bergamo non ha mai fatto i conti con gli Anni di Piombo
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Foto in apertura: folla il 13 marzo 1979 in Città Alta. L'appuntato Gurrieri era appena stato ucciso

 

Gianfranco Avella è il magistrato che ha sconfitto il terrorismo a Bergamo, che ha aperto una breccia nel terrorismo nazionale, soprattutto quello dell’organizzazione Prima Linea. Grazie al lavoro di Avella, al tempo sostituto procuratore della Repubblica a Bergamo, oggi in pensione, si è compresa tutta l’importanza del fenomeno pentiti per scardinare le organizzazioni criminali, che avessero una matrice politica oppure semplicemente malavitosa.

 

[L'appuntato Gurrieri, ucciso nel 1979 da Manenti]

 

Dottor Avella, si pensava di avere chiuso con il terrorismo a Bergamo, una pagina ormai dimenticata. Invece questa vicenda di Battisti riapre una questione dolorosa anche nella nostra città: Ciso Manenti, condannato all’ergastolo per l’omicidio Gurrieri del 1979, è ancora in libertà.

«Sì, Ciso Manenti è ancora libero, in Francia. Una questione delicata perché la procedura penale francese è diversa da quella italiana. Per esempio non è possibile, in Francia, celebrare un processo su crimini di questa gravità con l’imputato assente, cioè in contumacia. E Manenti è stato condannato in contumacia».

Una condanna all’ergastolo.

«Manenti è stato riconosciuto colpevole di omicidio. Erano in due, ma secondo la sentenza ad avere sparato è stato Manenti. In realtà, in quel pomeriggio di marzo del 1979, Manenti e il complice erano saliti in Vespa in Città Alta per sparare alle gambe del medico del carcere, il dottor Gualteroni che, tra parentesi, era una bravissima persona. Gualteroni era il medico condotto di Città Alta, si trovava nel suo studio per le normali visite dei mutuati».

E quindi?

«E quindi accadde che l’appuntato dei carabinieri Gurrieri si trovava a fumare nel cortile dell’edificio, perché aveva accompagnato il figlio di dieci anni alla visita medica. Ha visto questi due giovani, ha capito che qualcosa non andava e ha cercato di fermarli, li ha affrontati, Ciso Manenti ha perso la testa, ha sparato cinque colpi di pistola, poi è fuggito insieme al complice».

Non volevano uccidere l’appuntato.

«Io penso di no, erano lì per il ferimento del medico. Poi l’imprevisto li ha sconvolti, hanno reagito da improvvisatori inesperti. Ma hanno provocato una tragedia terribile. Un uomo, un carabiniere morto, il figlio piccolo che scende e trova il padre in un lago di sangue e resta lì solo, con un dolore che non si può immaginare, che l’ha seguito di certo per tutta la vita. Il complice, Enea Guarinoni, venne arrestato, processato e condannato. Manenti invece fuggì, riuscì a riparare in Francia».

Perché, dopo la condanna definitiva all’ergastolo, Manenti non fu estradato in Italia?

«Per diverse ragioni, ma credo che la principale sia quella che ho già citato: l’ordinamento della giustizia, la questione della contumacia. E ci fu la famosa “dottrina” Mitterand».

Ma l’ergastolo fu una pena giusta?

«Per l’omicidio non premeditato non si dà l’ergastolo, di norma».

Ciso Manenti era un ragazzo di ventuno anni, di certo non pianificò lui l’attentato.

«Ci furono dei mandanti, ma io non ho approfondito quel caso perché l’ho stralciato dalla mia inchiesta. Questa vicenda fu seguita dal mio compianto collega, il sostituto procuratore Mafferri. Posso dire che sia Manenti sia il complice appartenevano a un’organizzazione terroristica locale che si chiamava Nact, Nuclei armati per il contropotere territoriale. Avevano un preciso organigramma e un ideologo che poi si decise a collaborare, sebbene con tentennamenti, con la giustizia».

[...]

Che cosa accadde in quegli anni a Bergamo? Quali furono le azioni violente?

«La rete terroristica a Bergamo era molto sviluppata, dopo Milano, Roma e Torino venivamo noi, purtroppo. Fra il 1976 e il 1980 gli attentati furono 118. Il primo atto terribile fu il ferimento dell’ingegner Herker, dirigente della Philco di Brembate Sopra. Sempre quell’anno si verificò un episodio che spaccò il movimento extraparlamentare di sinistra, l’assalto alla prefettura con lancio di molotov e di pietre, un episodio estremamente violento. Da lì, molti lasciarono il movimento. Altri confluirono nell’ala più violenta, quella dell’Autonomia Operaia, che fiancheggiò e alimentò le formazioni terroristiche».

Non ci furono altri omicidi oltre a quello di Gurrieri.

«No, se ne organizzarono altri, ma che fallirono per imprevisti. Per esempio per ben....

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 7 del BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 24 gennaio. In versione digitale, qui.

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