E' partita la Vuelta

Come mai il ciclismo è finito nelle ultime pagine dei giornali

Come mai il ciclismo è finito nelle ultime pagine dei giornali
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Diceva Adriano De Zan con quella voce raschiata e bellissima: «Il ciclismo, per lungo tempo, è stato un dolce racconto mediatico che ha fatto leva sulla fantasia del narratore e di chi ne ha fruito». E oggi? È ancora così? E ancora: è lo sport che fa il racconto o la narrazione incide su quello che stiamo guardando? All'alba del terzo grande giro, la Vuelta di Spagna, ci siamo però posti un altro interrogativo: perché il racconto, «il dolce racconto mediatico», è stato confinato alle ultime pagine dei quotidiani sportivi italiani? Negli anni in cui la televisione era un lusso e l'automobile pure, quelle lunghe gare in bicicletta accendevano la fantasia della gente. Erano la perfetta simbologia dell'esistenza: pedalare voleva dire andare avanti, cercare di raggiungere il traguardo, la vetta, qualche volta l'affermazione. Bartali e Coppi dividevano l'Italia, ma insieme la salvavano. E anche la stampa italiana aveva un obbligo quasi morale di concedere al ciclismo pagine nobili, pagine di storia. Prime pagine.

 

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Cosa è cambiato in questi anni? È davvero colpa (o merito) della popolarità del calcio? Il doping è certamente il primo dei grandi vizi capitali del ciclismo. Il male oscuro della forza, la lotta tra la belle e avvincenti imprese e le furbizie mascherate col sudore. Senza andare tanto lontano, quest'anno (2015) gli italiani positivi nel ciclismo sono già sei, e nessuno ha fatto meglio noi.  Poche ore fa è stato trovato positivo anche Giampaolo Caruso, corridore della Katusha. Una squadra che fa la sua bella parte: c’era già stata la positività di Luca Paolini, beccato per cocaina al Tour de France. Sembrava che la squadra si dovesse fermare per non uscire dal movimento per il ciclismo credibile. E invece? Un cavillo, e andiamo avanti. Dicevamo: gli enti. Sono nate associazioni, battaglie, rivoluzioni. Non è bastato niente. La Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha portato a dieci anni il periodo utile per riesaminare i campioni di sangue e urine prelevati agli atleti. In pratica: se uno si dopa oggi avrà l'incubo di essere beccato per dieci anni. E non sono pochi.

 

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Per noi che viaggiamo su Internet, oltre a scomodare i rapporti ufficiali su Wikipedia possiamo trovare questo: List of doping cases in cycling, la lista di tutti i casi di doping nel ciclismo. Il primo risale al 1886, ma la cosa impressionante è osservare l'aumento esponenziale negli anni Novanta e Duemila. Secondo il New York Times, in un articolo apparso nel 2012, tutti i vincitori del Tour fino a quell'anno (tranne due) sarebbero stati coinvolti in casi di doping. Eppure se guardiamo agli anni recenti, per esempio il 2010, i ciclisti che hanno fallito i test antidoping somministrati dall'Agenzia mondiale antidoping sono stati l'1,19 %. Meglio hanno fatto solo i triatleti con l'1,09%. Di più. Prendendo tutti gli sport, il tasso in bicicletta è davvero mediocre. Gli atleti coinvolti nel sollevamento pesi arrivano al 2,42%, nel pugilato al 1,94%, e nel tiro con l'arco al 1,47% con i beta-bloccanti per stare fermi. E allora perché l'attenzione mediatica è così alta? Soldi. Il vincitore assoluto del Tour de France porta a casa oltre 500mila euro più milioni in sponsorizzazioni. Quello del Giro d’Italia (dato 2015) 115.668 euro più 90.000 di premio speciale (e 1.000 euro ogni giorno in maglia rosa). Un top fondista potrebbe guadagnare circa 400 mila euro in una stagione intera (se va bene).

 

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Piano piano, scandalo dopo scandalo, i giornali italiani hanno relegato il ciclismo al fondo, nascondendolo quasi. Anche qui. Basta dire «sono tutti dopati» per chiudere il discorso? Forse anche i formati che cambiano (i giornali sono sempre più tabloid), le esigenze editoriali, il web (dove non si legge romanticamente), molte cose hanno contribuito a rendere il ciclismo una specie di sport minore secondo la gerarchia delle pagine. E allora perché le strade sono ancora piene di gente? Perché a vedere la Roubaix, o sulle strade del Tour si sono riversate migliaia e migliaia di persone? Perché la Vuelta che sta arrivando si annuncia come qualcosa di grandioso, piena di campioni e spettacolo? Provate, se non l'avete mai fatto: un giorno andate sulla strada (è gratis) e aspettate i corridori. Dura un attimo, passano come un vento o allungati nello sforzo, ma è un attimo così breve che verrebbe voglia di dire «ma come, è già finito?». Ne vale davvero la pena? C'è qualcosa di fragile e umano in quel momento. Una vicinanza allo sforzo, al dolore, al sacrificio. Il resto, come ha detto De Zan, è fantasia. E accenderla con pagine e pagine di giornali era proprio bello.

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