Il famoso titolo del "Manifesto"

Così nacque lo slogan (sbagliato) «Non moriremo democristiani»

Così nacque lo slogan (sbagliato) «Non moriremo democristiani»
Pubblicato:
Aggiornato:

Che significa l’espressione “Non moriremo democristiani”, e come mai la Lega ha portato in aula le fotocopie della prima pagina de Il Manifesto del 28 giugno 1983 con quel celebre titolo?

Cominciamo dalla seconda. L’iniziativa della Lega voleva mettere in evidenza il fatto che, per quanto avanzata dal segretario del PD Matteo Renzi, la candidatura di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica dimostra che la DC è risorta come l’araba fenice dalle sue ceneri e che la Lega si oppone recisamente a questa eventualità. Prima di confluire nel PD, il partito erede della tradizione comunista, Mattarella aveva infatti militato nella sinistra DC, assieme ad altri esponenti - Rosi Bindi, ad esempio - che avrebbero in seguito dato vita al progetto della Margherita e dell’Ulivo, poi confluiti nel partito di Matteo Renzi. La ripresa di quel titolo ha dunque voluto dire, in questa occasione: sembra la vittoria del PD, in realtà è la solita, vecchia DC che ritorna sotto mentite spoglie.

 

non

 

Il 28 giugno 1983, al contrario, quel titolo - opera del fondatore de Il Manifesto Luigi Pintor - intendeva significare esattamente il contrario: la DC dell’allora segretario De Mita aveva clamorosamente perso le elezioni politiche, nel senso che le aveva sì formalmente vinte, ma con uno scarto così ridotto sul PCI da consentire la speranza che - con un aiutino da parte della sorte - la sinistra poteva sperare di vederne interrotto il dominio che durava dal dopoguerra. Il sottotitolo, messo tra parentesi, recitava infatti: “Se questo terremoto sveglia PCI e PSI” - ossia comunisti e socialisti -: un’ipotesi e non una certezza, dato il perdurare dei reciproci dispetti che i due partiti continuavano a farsi. Il titolo si impose in modo così strapotente da rendere inutile l’articolo di fondo, a firma dello stesso Pintor: “Questa volta abbiamo vinto”, che non compare nemmeno tra gli editoriali del mitico direttore che la Fondazione che porta il suo nome mette a disposizione dei frequentatori del web.

La capacità di Pintor di analizzare i risultati politici in termini profondi senza farsi sviare dall’apparenza delle cifre emerse perfettamente in occasione della discussione sul nome che avrebbe dovuto prendere il partito (il Pdup) al quale lo stesso avrebbe dato vita uscendo dal PCI: “A Silvano Miniati, che già nel 1974 non voleva chiamare «Pdup per il comunismo» il Pdup, aveva obiettato: «L' idea di esser frainteso nel senso che comunista significhi brezneviano, mi terrorizza. Ma ci terrorizza molto di più lasciare a Breznev la bandiera del comunismo». [Corsera]. Leonid Breznev era l’allora segretario del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, e incarnava il penultimo, terrificante, sussulto del totalitarismo nel suo paese.

Non voleva che il comunismo morisse brezneviano, Luigi Pintor, come non voleva che il comunismo italiano dovesse restare eternamente succubo delle infinite forme in cui la proteiforme - a suo parere - DC sapeva continuamente ripresentarsi.

Illuminante in questa prospettiva è l’intervista che rilasciò al Corriere della Sera [la sinistra è morta] nella quale ammetteva amaramente la fine del sogno di tutta la sua vita: la sinistra è morta, uccisa dal suo desiderio di governare. Per usare le parole esatte: è morta perché “la sinistra e il suo ceto politico si sono interamente subordinati, assimilati, alla cultura dominante". E Matteo Renzi e Sergio Mattarella - nella provocazione della Lega - sono lì a testimoniare, contro gli auspici di un tempo, che proprio in forza di questa assimilazione la politica italiana non lascia scampo: moriremo democristiani. Per quanto a parti invertite dato che stavolta sembra che sia il PD ad aver vinto.

Ha detto in questi giorni Augusto Minzolini, il falco di Forza Italia ex direttore del Tg1, al Fatto Quotidiano: “Ma vi rendete conto che era dai tempi di De Mita che non c’erano due democristiani al potere? E vi vorrei far notare che anche all’epoca fu l’unico caso dell’intera Prima Repubblica in cui il presidente del Consiglio era contemporaneamente segretario del partito”.

Sulla scia di queste constatazioni ci permettiamo di avanzare una modesta variazione a quel titolo famoso. Non moriremo democristiani: moriremo uguali a noi stessi. A conferma proponiamo la visione e l’ascolto di un intervento dell’allora segretario del Partito Socialista, Bettino Craxi, in uno spot per le elezioni nelle quali a Botteghe Oscure (allora sede del PCI) si sperava che potesse avvenire il famoso sorpasso, e non avvenne. [guarda il video] Ricordare: 1983, trentadue anni fa. Come a dire: l’analisi è una cosa, la capacità di intervenire è tutt’altra.

 

Seguici sui nostri canali