Sequestri e violenze

Cosa sta succedendo in Nigeria dove spadroneggia Boko Haram

Cosa sta succedendo in Nigeria dove spadroneggia Boko Haram
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«L’educazione occidentale è sacrilega»: questo il significato di Boko Haram, nome dell’organizzazione jihadista sunnita della Nigeria che si propone di realizzare uno Stato Islamico nel nordest del Paese e di estirpare il modello di istruzione occidentale. Era il 14 aprile 2014, quando, dopo il rapimento di 276 studentesse di un liceo della città di Chibok, Boko Haram ha iniziato a far parlare di sé. È stato allora che la comunità internazionale si è preoccupata di capire quello che stava avvenendo in Nigeria, dando il via al movimento #Bringbackourgirls, sollecitando il governo nigeriano a darsi da fare per ritrovare le studentesse. Come oggi #MeToo, #Bringbackourgirls ha avuto una risonanza mondiale: così, mentre Michelle Obama e il premio Nobel Malala Yousafzai si facevano portavoci dell’ appello alla liberazione, per qualche tempo la Nigeria è entrata nell’agenda politica internazionale, prima che la situazione tornasse, come spesso accade, ad essere quasi dimenticata, nonostante le duemila persone rapite da Boko Haram a partire dal 2009, alle quali si aggiungono oltre ventimila vittime della guerra civile e due milioni e mezzo di sfollati.

 

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Se molte donne sono riuscite nel corso degli anni a fuggire, l’organizzazione ne ha ancora tra le mani migliaia, rapite e poi ridotte in schiavitù oppure arruolate per attentati suicidi. È nella foresta di Sambisa, la più antica della Nigeria, stregata – secondo le credenze locali – da una maledizione, che le giovani vengono portate, prima di essere violentate e torturate. Secondo Boko Haram le donne non possono essere libere, né lavorare, né, soprattutto, studiare: sono semplicemente un mezzo di procreazione, uno strumento per generare nuovi adepti. «L’educazione occidentale non deve essere diffusa, le donne devono essere fatte schiave, vendute al mercato per ordine e con l’aiuto di Allah». Queste le parole di Abubakar Shekau, che dal 2009 è divenuto capo di Boko Haram, subentrando al fondatore Mohammed Yusuf.

Le donne che cadono nelle mani di Boko Haram hanno un destino segnato, che nemmeno la fuga riesce a salvare. È quello che racconta, dopo aver intervistato varie donne che sono riuscite a fuggire, il giornalista tedesco Wolfgang Bauer, autore del libro Le ragazze rapite, dove spiega come le giovani che riescono a scappare vengano spesso rifiutate dalle proprie famiglie, nel timore che dar loro protezione significhi firmare la propria condanna per mano di Boko Haram.

 

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Così, in un Paese di oltre 190 milioni di abitanti appartenenti a più di 500 gruppi etnici, mentre l’economia cresce rapidamente lo Stato si indebolisce e sempre più grande si fa il potere delle organizzazioni terroristiche. Ad oggi, infatti, anche se nel 2016 l’esercito nigeriano è riuscito a liberare varie zone dal controllo dell’organizzazione terroristica, gli interventi militari per fermare Boko Haram non hanno portato a nulla. La stessa uccisione del fondatore nel 2009 invece di indebolire l’organizzazione l’ha rafforzata, facendo di Yusuf il primo martire di una setta religiosa che ha rapidamente virato verso il terrorismo. Così rapimenti continuano, come dimostrato il 21 febbraio scorso, quando 111 ragazze di una scuola di Dapchi sono state sequestrate da miliziani di Boko Haram che si erano spacciati per soldati. Liberate dopo un mese, grazie ad accordi e all’azione del governo, sono state rimandate a casa lasciando alle loro famiglie l’avvertimento di non mandare più le figlie a scuola.

Una storia, quella della Nigeria e di Boko Haram, che sembra parte di un mondo che non ci riguarda. La crisi umanitaria nata dalla guerra in Siria e le sue conseguenze in Europa, però, dovrebbero farci ricordare che in un mondo globale come il nostro nessun Paese è davvero distante.

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