Gente nuova questi millennials

Il futuro sarà tutto sharing La risposta dei giovani alla crisi

Il futuro sarà tutto sharing La risposta dei giovani alla crisi
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Gente nuova questi millennial. Sono la generazione dei nati dopo il duemila, che i ricercatori allargano di una quindicina d'anni, radunando sotto uno stesso ombrello tutti gli under trenta. In Italia non sono molti perché sono i sopravvissuti dal grande declino demografico. Non guadagnano molto perché vivono in un Paese che ha drenato tutte le risorse a favore delle altre generazioni. Ma dimostrano di sapersela cavare con intelligenza e con poco. Il loro segreto sta in un verbo inglese che ormai detta le regole della nuova economia: "to share", cioè condividere. Da cui il participio "sharing" che oggi viene applicato a qualsiasi azione del vivere.

 

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Si parte dalle auto, naturalmente. L'idolatria dell'auto è faccenda di altre generazioni lontane. Oggi i giovani hanno altri oggetti-idolo, lo smartphone innanzitutto. E poi non hanno certo soldi per mantenere un'auto con tutti i costi connessi. Per questo hanno la doppia soluzione. Car sharing in città e modello Blablacar quando si esce dalle mura. Il car sharing secondo il Censis ha una percentuale di abbonati giovani nettamente superiore alle altre fasce di popolazione. Si usa l'auto quando se ne ha bisogno. Si paga per il tragitto e poi finisce lì. È in formula condivisione anche il discusso modello Uber, che in Italia trova l'opposizione dei taxisti, ma che in città come Londra è diventato concorrenziale addirittura al carissimo trasporto pubblico. Un'applicazione contatta l'auto più vicina e se si accetta di viaggiare condivisi, facendo salire altri utenti durante il tragitto, i costi si abbattono.

Se il tragitto si trasforma poi in vero viaggio, ecco la risorsa Blablacar o simili. Un'applicazione ti mette in contatto con chi sta prendendo l'auto verso la tua stessa meta, e puoi salire a bordo dando un contributo alle spese.

 

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Una volta che ci si muove si apre la questione del dormire. Esclusi gli hotel, cari e troppo "borghesi", si apre la grande miniera delle case messe a disposizione. Il sito di riferimento è Airbnb. Per fare un esempio: chi dovesse fermarsi a Bergamo il prossimo mese di settembre potrebbe contare su oltre 300 proposte, prezzi medi 98 euro per tre persone. Ma ci sono anche soluzioni più low cost, che vanno dalla semplice stanza, sino al più radicale couchsurfing, cioè al semplice divano sul quale dormire qualche ora. Secondo il Censis il 2,5 percento dei millennial ricorre a questo rimedio estremo.

Ma non finisce qui. Il suffisso "co" coinvolge anche la ricerca di risorse. Hai un'idea e non sai dove trovare le risorse per realizzarla? Ci sono le piattaforme di crowdfunding che ti aspettano. Metti online il tuo progetto, cerchi di essere più convincente possibile, alletti con la promessa di qualche privilegio quelli che ti sostengono e poi aspetti guardando il contatore delle donazioni. Se si è bravi, non si è esosi, e se le proposte sono a loro volta progetti a forte valenza social, il successo è quasi garantito.

 

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L'unico buco nero nel meraviglioso mondo sharing è quello del lavoro. Perché si condividono i consumi, ma è difficile che qualcuno ti proponga la condivisione delle fonti di reddito. Ma i millennial hanno trovato una risposta. Si chiama co-working. Luoghi dove si lavora insieme condividendo spese e mettendo in rete competenze e relazioni. Certo il lavoro bisogna inventarselo. Ma avuta l'idea, almeno si eliminano le mille altre complicazioni che la burocrazia mette davanti. E poi soprattutto non si è soli.

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