760 sono bambini

La drammatica situazione di Samos, 2500 migranti in un hotspot da 700

Nicolò Govoni, giornalista italiano impegnato da qualche mese come operatore sull’isola, racconta dei tanti minori e di condizioni inaccettabili

La drammatica situazione di Samos, 2500 migranti in un hotspot da 700
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di Chiara Vitali

Hotspot significa letteralmente “punto caldo”. Il termine è utilizzato negli ultimi mesi per indicare le zone dell’Europa meridionale che si trovano in prima linea nella gestione dei flussi migratori. Gli hotspot (ne avevamo parlato qui) dovrebbero essere centri di identificazione, primo step di un percorso che porta un migrante, nei due casi estremi, all’ottenimento del permesso di soggiorno o all’espulsione.

L'hotspot di Samos. È certamente calda (tragica, meglio) la situazione di Samos, isola greca che si trova a pochi chilometri dalla costa turca: i flussi di arrivo sono iniziati nel 2006 e continuano, i profughi sono principalmente siriani che scappano dalla guerra. A parlarne è Nicolò Govoni, giornalista italiano impegnato da qualche mese come operatore sull’isola: «Il campo di Samos è stato pensato per accogliere 700 persone; attualmente ne sono presenti 2500, di cui 760 bambini». I profughi dormono in tende, che però non sono sufficienti: molti sono costretti a passare la notte fuori, all’addiaccio. I bambini non possono andare a scuola e c’è tanta violenza, esercitata sia dalle autorità greche che dai migranti stessi. A Samos lavorano alcune ONG che tentano, per quanto possibile, di migliorare le cose.

 

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La denuncia di Govoni. La denuncia arriva via Facebook: «Se l’inferno esiste, deve essere simile a questo posto», racconta Nicolò in uno dei tanti video-denuncia pubblicati sulla sua pagina Facebook. Nicolò ha passato quattro anni in India, dove ha vissuto facendo il volontario in un orfanatrofio, ha studiato giornalismo e ha collaborato con alcune delle più importanti testate internazionali; «In India pensavo di aver visto il peggio. Non era così». Nicolò si occupa soprattutto dei minori presenti nel campo: «Questo ambiente li danneggia ogni giorno un po’ di più» racconta «e io ce la metto tutta per spiegare loro che questa non è la vita normale. La normalità è un’altra cosa». Govoni si inventa attività per i piccoli, soccorre chi ha bisogno, organizza lezioni di scuola improvvisate.

I bambini nel campo. «I bambini che sono qui hanno subìto traumi inimmaginabili e questo campo non è adatto a loro. Qualche giorno fa due si sono messi a litigare, all’improvviso uno ha colpito il labbro dell’altro, con violenza, facendolo sanguinare. Ci sono rimasto: sono atti che non si addicono ai piccoli. Loro sono estremamente affettuosi ma la tensione generale li fa diventare ciechi.  Questo luogo li sta sfregiando». Nel campo c’è anche una sezione speciale per i minori non accompagnati, che dovrebbe essere una zona protetta. Non è così: capita che di notte le porte vengano lasciate aperte. Alcuni adulti entrano per sfogarsi: spaccano finestre, urlano. A volte arriva la polizia che tenta di controllare la situazione con la violenza. Alcuni bambini preferiscono dormire fuori dal campo, nel porto dell’isola. Nicolò sta lanciando un appello ai giornalisti italiani e agli attivisti per i diritti umani: la situazione, a Samos, deve cambiare.

 

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Il caos nel campo. Vedere una via d’uscita, però, è difficile. Il governo greco, racconta Nicolò, sta cacciando le associazioni che operano all’interno del campo per evitare scandali e azioni di denuncia. La permanenza in un hotspot dovrebbe essere temporanea, giusto un paio di giorni, il tempo necessario all’identificazione del migrante. Attualmente a Samos i profughi si fermano per un periodo che va da quattro a sei mesi. La situazione è destinata a precipitare nel caos, per tre ragioni: «Non c’è acqua. I rubinetti del campo chiudono a mezzogiorno, dopo quell’ora ne rimane uno solo per 2500 persone che devono cucinare, bere e lavarsi. Il secondo fattore è il tempo: fa sempre più freddo. La gente dorme fuori e non ci sono abbastanza coperte; l’UNCHR dovrebbe distribuire il materiale necessario ma c’è ritardo nelle consegne. Quando inizieranno le piogge le tende si riempiranno di acqua e la gente inizierà ad ammalarsi». L’ arrivo dell’inverno sembra essere il problema più grosso. «Il terzo fattore è la gestione del campo. Gli impiegati che gestiscono le identificazioni non vengono pagati da quattro mesi, il meccanismo è rallentato. Per questo è molta più la gente che arriva rispetto a quella che se ne va». Nicolò legge la disperazione negli occhi dei profughi, la sua voce è severa: «Se la situazione va avanti in questo modo, la gente morirà».

 

 

LA CRISI UMANITARIA A SAMOS RAGGIUNGE IL PUNTO DI ROTTURA

- Oltre 2500 persone vivono in un campo pensato per 700
- Le persone sono forzate a dormire in tende da campeggio NON impermeabili al di fuori del perimetro del campo
- Oltre 100 minori non accompagnati vivono senza adeguate misure di sicurezza in un campo che ospita oltre 760 bambini

Questa è la situazione peggiore in cui il campo di Samos si sia mai trovato. Sono iniziate le piogge, e presto centinaia di persone rimarranno senza un posto in cui dormire. Dobbiamo agire, adesso.

Condividete più che potete e rivendicate i diritti fondamentali di questi esseri umani con lo slogan #NonSottoIMieiOcchi

Pubblicato da Nicolò Govoni su Domenica 15 ottobre 2017

 

Le drammatiche storie dal campo. Nel campo c’è chi fa finta che vada tutto bene: «Ho sentito la conversazione al telefono tra un ragazzo e sua mamma. Lui le dice che qua è tutto perfetto. Non vuole deluderla perché lei si è indebitata per farlo scappare dal conflitto». Nicolò ha partecipato anche alle prime azioni di accoglienza che seguono lo sbarco: «Tra le persone appena sbarcate c’era questa famiglia con un bambino chiaramente disabile che non riusciva a muovere le gambe, ho dovuto mettergli io le scarpe. Siamo le prime facce amichevoli che vedono da sei o sette mesi. Tutti mi chiedono informazioni: per loro l’Europa è un gigantesco posto spaventoso, di cui non sanno nulla. Mi chiedono se avranno una cabina, se avranno una coperta. L’unica cosa che posso fare è dire che non lo so. Ed è vero: nessuno qui sa niente».

Ma, come in tutte le situazioni, non c’è una verità assoluta. Il bianco e il nero, il buono e il cattivo non sono definibili con certezza. Nicolò racconta che le violenze avvengono anche tra rifugiati e non nasconde i risvolti scomodi della situazione: «Ci sono persone che faranno fatica a integrarsi perché hanno una mentalità e una cultura completamente diversa dalla nostra; c’è anche chi ha subito traumi talmente grossi da aver perso la capacità di stare un contesto sociale. Ma queste persone sono solo una piccolissima percentuale di quelle presenti nel campo». Nicolò lavora in prima linea, il suo compito è difficile, fisicamente ed emotivamente, ma niente elimina la sua determinazione: «Ogni giorno mi sento più consapevole, più forte, più incazzato. Un ragazzo mi ha detto che siamo l’unica scintilla di speranza nella sua vita. Ogni essere umano si merita di essere trattato in un modo diverso da questo».

 

Ho iniziato a lavorare come reporter ed educatore nel campo rifugiati di Samos. Mi unisco a un team di medici e...

Pubblicato da Nicolò Govoni su Lunedì 18 settembre 2017

 

La soluzione esiste. Sta di fatto che oggi, a Samos, nel bel mezzo dell’Europa, i diritti fondamentali sono calpestati. L’accordo che lo scorso marzo è stato siglato con la Turchia avrebbe dovuto risolvere la situazione ma, evidentemente, la cosa non ha funzionato nel modo giusto. Esiste una soluzione? Sì, un modo ci sarebbe: si chiama “collaborazione europea” e non dovrebbe essere una novità. L’articolo 67 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea parla chiaro: «[L’Unione] sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri». Una solidarietà che dovrebbe palesarsi con un impegno comune nella gestione del fenomeno migratorio, con un controllo congiunto delle frontiere e con una ripartizione equilibrata dei migranti tra i vari paesi. Ma questa condivisione di responsabilità, purtroppo, ancora non si è realizzata. E a Samos se ne possono toccare le tristi conseguenze.

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