Con qualche eccezione

La Germania fa shopping in Italia Italcementi è solo l'ultima della lista

La Germania fa shopping in Italia Italcementi è solo l'ultima della lista
Pubblicato:
Aggiornato:

Italcementi è la punta dell'iceberg. Solo la più grande di un cospicuo numero di società che, negli ultimi anni, sono finite sotto il controllo di multinazionali tedesche. «L’industria italiana in svendita», hanno tuonato i giornali all’indomani dell’operazione che ha portato il gruppo Italmobiliare e la famiglia Pesenti a cedere le quote di maggioranza della più grande azienda cementiera del sud Europa, che controllava da più di un secolo. 10,60 euro ad azione, 1,67 miliardi totali in cambio del 45 percento delle azioni della società: sono queste le condizioni dello scambio che ha portato una delle punte di diamante dell’industria bergamasca - 60 milioni di tonnellate di cemento prodotto ogni anno, 2,3 miliardi di capitalizzazione, quotata in Borsa dal 1925 - a passare sotto il controllo della tedesca Heidelberg, che con l’acquisizione si garantisce la leadership europea.

 

Italcementi

 

È stato detto: la classe dirigente italiana getta la spugna. Rinuncia per sempre a una politica industriale, attratta dagli enormi profitti garantiti dalla finanza. Si è tirato in ballo il caso di Alitalia ceduta a Etihad, di Pirelli, acquisita dalla conglomerata cinese a controllo statale Chem-China, della Indesit passata in mani americane, di Ansaldo Breda e Sts, cedute a Hitachi. Qualcuno ha azzardato che tutto, dalla crisi dello spread in poi, fosse già stato pianificato: un programma volto ad indebolire e compromettere definitivamente il tessuto economico italiano, per farlo diventare facile preda di investitori stranieri.  Ma, al di là delle teorie del complotto e dei proclami allarmistici, quanto c’è di vero? Il made in Italy è realmente in svendita? Le aziende teutoniche stanno facendo shopping in Italia?

Come fanno i tedeschi a comprarci. Ad un primo sguardo, purtroppo, parrebbe di sì. Negli ultimi sette anni, in effetti, le imprese italiane cedute ai tedeschi sono 72, secondo un rapporto di KPMG. Più di 10 all’anno. E la metà, aggiunge l’autorevole società di revisione olandese, apparteneva al comparto industriale, per un valore complessivo delle acquisizioni pari a 15 miliardi di euro. Con un volume di interscambio bilaterale tra Italia e Germania pari a 103 miliardi di euro e due sistemi economici così interconnessi (l’Italia è il quinto fornitore mondiale di prodotti alla Germania, e la Germania il settimo paese da cui importiamo merci), la strategia è chiara: le aziende tedesche puntano ad inglobare dei potenziali concorrenti, togliendoli dal mercato. Esattamente ciò che è successo nel caso di Italcementi.

 

MERKEL INSISTE, PIÙ POTERI A BRUXELLES SU FINANZE STATI UE

 

Ma come ci riescono? I vantaggi competitivi di cui gode il tessuto imprenditoriale tedesco sono molteplici, come riportava in un’efficace analisi l’Huffington Post a dicembre dello scorso anno. Innanzitutto, il surplus commerciale: la Germania produce ed esporta 200 miliardi di euro più di quanto consuma, comportandosi, a livello continentale, come la Cina si comporta a livello globale. Questo avanzo commerciale primario soffoca, in primo luogo, i diretti concorrenti, ovvero le altre due principali economie manifatturiere d’Europa: Francia e Italia. Non solo: le imprese tedesche possono indebitarsi con molta più facilità e a costi nettamente più bassi. Ciò accade grazie all’intervento della KfW (equivalente della Cassa Depositi e Prestiti), che presta il denaro pubblico senza che ciò contribuisca ad un aumento del debito pubblico del Paese, ed alla maggiore liquidità delle banche teutoniche: i criteri a cui gli istituti finanziari devono attenersi a livello europeo,  contenuti negli accordi ribattezzati Basilea II e Basilea III, sono stati modellati sulla base delle caratteristiche delle banche del nord Europa e mettono indirettamente in difficoltà gli istituti italiani. In un tessuto economico come quello nostrano, se manca ossigeno dagli istituti di credito, muore rapidamente anche il sistema produttivo.

È così che eccellenze dell’industria e del know-how tecnologico italiano sono passate in mani straniere. È così che le moto di MV Augusta sono diventate Mercedes, che la Acciai Speciali Terni S.p.A. è stata acquisita da ThyssenKrupp, che l’azienda specializzata in fitness HappyFit di Treviso è stata acquisita dal colosso tedesco McFit. E, a Bergamo, non è capitato solo a Italcementi. È così, infatti, che anche Clay Paky, una delle eccellenze della provincia orobica, è passata sotto il controllo di Osram. La società, fondata a Seriate nel 1976 da Pasquale Quadri, produce riflettori e impianti di illuminazione professionale ed è stata leader di settore a livello mondiale per parecchi anni: ha progettato l’illuminazione a LED per le Olimpiadi Invernali di Sochi 2014, per la Notte degli Oscar 2013, per concerti di artisti internazionali.

 

innowatio

 

Ma è anche vero il contrario. Allo stesso tempo, però, è vero anche che parecchie aziende italiane stanno acquisendo aziende straniere, a dimostrazione del fatto che in alcuni casi politiche industriali lungimiranti possono sopperire alle mancanze di un sistema-Paese in crisi. E non serve andare troppo lontano per trovare le “eccezioni”: basta guardare alla Innowatio di Stezzano, azienda attiva nel settore delle energie rinnovabili, che all’inizio di agosto ha portato a termine l’acquisizione del 12 percento delle azioni della Clean Energy Sourcing. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Innowatio, Fabio Leoncini, ha confermato che l’affare è solo la prima fase di un’operazione da 30 milioni di euro che, entro la fine dell’anno, porterà l’azienda bergamasca (che ha chiuso il 2014 con un giro d’affari di un miliardo di euro) ad inglobare il 100 percento della società tedesca. L’incorporazione di Clean Energy Sourcing, specializzata nella produzione di energia da fonti rinnovabili (eolico, idrico, solare e a biomasse) porterà alla costituzione di un «leader europeo nella gestione della domanda», ha spiegato per l’occasione Leoncini.

Dall’inizio del 2014 ad oggi, infatti, sono più di 30 le aziende italiane che hanno portato a termine operazioni di acquisizione all’estero. È il caso, ad esempio, di Gtech (ex Lottomatica), che per 4,7 miliardi ha acquisito la Igt di Las Vegas, uno dei leader mondiali del settore dei casinò e del gaming on line. O di Ferrero, che ha acquisito l’inglese Thorntons (leader nella produzione di cioccolato sul mercato britannico) per 157 milioni di euro. O, ancora, di Buzzi Unicem, che, attraverso una società del gruppo (la Dyckerhoff) ha acquisito una concorrente russa nel settore del cemento: Uralcement. L’operazione in questione è valsa 104 milioni di euro. È il caso anche di big come Luxottica, che ha rilevato il sito americano glasses.com, o Amplifon, che ha acquisito una società israeliana, Medtechnica Orthophone, e una brasiliana, Direito de Ouvir. Ma, per restare in tema di rapporti italo-tedeschi, come non citare la Ima, società emiliana di confezionamento degli alimenti, che ha acquisito non una ma ben cinque aziende in Germania? Si tratta di Benhil, Erca, Hassia, Hamba e Gasti: 8 stabilimenti nel mondo, 850 dipendenti, un fatturato stimato a più di 180 milioni di euro per l’anno in corso.

Seguici sui nostri canali