Ecco cosa cambia

La svolta della Caritas bergamasca spiegata proprio da don Trussardi

La svolta della Caritas bergamasca spiegata proprio da don Trussardi
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Don Trussardi, lei ha fatto il parroco e il curato in oratorio. Ora invece gestisce la Caritas. Come si trova in questo ruolo?

«Eh, all’inizio ho fatto un po’ fatica».

Ma è vero che c’è una svolta?

«Sì. Il fatto che il vescovo abbia scelto un parroco vuol pur dire qualcosa...».

Quindi la svolta c’è, ma in quale direzione?

«La volontà è quella di dare un’attenzione diversa alle nostre parrocchie e alla nostra gente».

Traduco: il vostro impegno principale non è più per gli immigrati.

«Esatto, perché l’emergenza è finita. Nelle strutture diocesane siamo passati da mille e settecento a cinquecento richiedenti asilo. Questo ci permette di seguirli meglio, come dimostra anche l’Accademia dell’integrazione, un progetto condiviso con il Comune e con Confindustria. La Caritas non deve perdere di vista gli immigrati, ma adesso può e deve guardare anche a tante altre realtà e persone che sul territorio di Bergamo chiedono aiuto».

Vuol dire che non accoglierete altri immigrati?

«Per ora no. Se dovessero arrivare e ci verrà chiesto, valuteremo. I migranti che sbarcano sulle nostre coste ora si fermano tutti al Sud e dovremmo domandarci perché. Comunque, intanto, con Caritas italiana continuiamo ad accogliere le persone che arrivano attraverso i corridoi umanitari».

 

 

Visto che è anche lei a domandarselo, perché si fermano al Sud?

«Lì molti hanno capito che sono una risorsa, che ospitarli porta un movimento nuovo, perché tanti di loro sono giovani».

Avrebbero dovuto capirlo anche le nostre valli...

«Un po’ l’hanno capito».

Un po’ poco...

«In effetti li abbiamo confinati in paesi molto piccoli e mi chiedo se sia stata una scelta opportuna».

Glielo dico io: è stato un errore. Era un problema persino fargli fare qualcosa per le comunità.

«Adesso possiamo dirlo che non abbiamo sfruttato l’occasione, ma allora l’emergenza era grave e ci sembrava ovvio che si potesse ospitarli anche là. Ma innanzitutto la Chiesa di Bergamo ha pensato all’accoglienza diffusa: tre, quattro o cinque immigrati per paese. Alcune parrocchie hanno aperto le porte, e le ringrazio di cuore, altre non l’han fatto e non le critico, perché quello degli immigrati è un tema che divide. Ho fatto il parroco fino all’anno scorso e so che in una comunità non è sempre così facile. Tutti crediamo nell’accoglienza, ma quando sei sul campo si creano situazioni delicate».

Quindi non solo i sindaci della Lega, ma anche alcuni parroci han detto “io non ospito immigrati”.

«I parroci non han detto di no: hanno elegantemente fatto presente che non avevano l’appartamento pronto...».

Ah, ok. Tiriamo le somme allora. A Bergamo, dal 2011, sono arrivati 4602 migranti. E nelle vostre strutture ce ne sono ancora 570.

«Sì, e un migliaio in quelle delle cooperative che fanno accoglienza come noi».

Otto su dieci non ottengono il permesso di soggiorno. Dove finiscono?

«Una buona parte, tra il 25 e il 40 per cento, va nel Nord Europa. Un buon numero invece va al Sud e, purtroppo, spesso finisce nel giro del caporalato. Su questo dobbiamo interrogarci, perché se dopo tutto il cammino dell’accoglienza fatto in uno, due o tre anni, non riusciamo a offrire loro qualcosa di trasparente e onesto, abbiamo fallito. Infine, un 30-40 per cento resta qua».

A far che?

«Qualcuno si arrangia con lavoretti in nero e si fa ospitare da amici. Tanti altri arrivano ancora in Caritas per chiedere un letto o una cena e noi li ospitiamo sempre e comunque, ma così non si va da nessuna parte».

E come si risolve il problema?

«La legge prevede i rimpatri, ma se ne fanno pochissimi. La nostra idea è far nascere un centro dove, a spese nostre, accogliamo questi ragazzi e vediamo cosa costruire con loro. Però non è facile, perché significa andare contro una legge dello Stato. Io sono molto riconoscente al Patronato che con tanti di loro sta facendo un lavoro davvero incredibile, e non solo...

 

Articolo completo a pagina 5 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 10 ottobre. In versione digitale, qui.

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