Ecco pro e contro

La lite europea sulla bresaola

La lite europea sulla bresaola
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I salumi: un’eccellenza nostrana di primissimo piano, e di cui il popolo italiano va, giustamente, fierissimo. Eppure, c’è un dato di cui non si può non tener conto: ad esempio, per sostenere, quantitativamente, la quantità di salumi prodotti dal nostro Paese, ci vorrebbero circa il doppio dei maiali effettivamente presenti in Italia. Com’è possibile? In realtà la risposta non è poi così complessa, basta solo produrre bresaola valtellinese utilizzando carne di zebù brasiliani che le Alpi, ovviamente, non sanno nemmeno come siano fatte. Tutto ciò è legale? Per ora sì, poiché non c’è nessun vincolo che obblighi i produttori a segnalare l’origine della carne utilizzata. “Per ora”, si è detto, perché il Parlamento europeo sta discutendo di dare finalmente una disciplina a questo settore, anche se non tutti sono d’accordo.

La questione di cui si discute nell’Aula di Bruxelles riguarda l’opportunità o meno di formulare alla Commissione europea la richiesta di cominciare a redigere un’apposita legge sull’etichettatura delle carni trasformate, in modo da rendere esplicita l’origine della materia prima, come avviene già coi prodotti freschi, polli, manzi e affini. Il problema non è certamente di salute pubblica: i suini sudamericani, per fare un esempio, non sono meno sicuri di quanto non lo siano quelli italiani, anzi; ciò che rileva è semplicemente la consapevolezza del consumatore, che deve avere piena conoscenza dell’acquisto che sta compiendo in ogni sua sfaccettatura, compresa quindi, logicamente, la provenienza del prodotto. La Commissione Ambiente del Parlamento europeo ha già avuto modo di esprimersi in senso positivo a metà del mese di gennaio, ma il voto che attende gli eurodeputati si preannuncia decisamente combattuto.

 

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Naturalmente, coloro che sono più propensi ad una regolamentazione del settore sono i Paesi che, tradizionalmente, offrono un tipo di prodotto qualitativamente più elevato, come ad esempio quelli dell’area mediterranea. Contrari invece gli Stati che, da un punto di vista commerciale, possono godere di un regime di deregulation, come i Paesi del centro europa, Germania su tutti. Si cerca allora di trovare una mediazione, attraverso un punto di compromesso che possa soddisfare entrambi gli schieramenti, come ad esempio limitare l’intervento normativo ai soli prodotti monoingredienti, come il prosciutto, e lasciare fuori i misti, come il salame.

D’altra parte, un sondaggio promosso proprio dall’Unione europea certifica che più del 90 percento dei consumatori vuole aver la possibilità di conoscere l’origine della carni con cui è stato realizzato il prodotto che ci si appresta a comprare. Ecco allora che i possibili scenari legislativi sono tre: lasciare la legge invariata da un punto di vista degli obblighi, e lasciare che ciascun Paese possa facoltativamente decidere se apportare la segnalazione ai prodotti oppure no; oppure, limitarsi ad un’indicazione continentale, essendo sufficiente dire se si tratta di origine europea o meno; infine, specificazione precisa e omologata per tutti i tipi di derivati.

Le varie associazioni industriali hanno comunque fatto sapere che, qualora effettivamente la proposta di legge passasse e venisse sancito l’obbligo di segnalare la provenienza, i costi di produzione aumenterebbero, per finire a pesare sui portafogli dei singoli acquirenti: un aspetto su cui non si può sorvolare come se nulla fosse.

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